5 anni fa il referendum di Matteo Renzi: ecco quanto ci è costato

Era il 4 dicembre 2016, la riforma costituzionale voluta dall’ex premier divideva l’Italia: tra comitati promotori e sezioni elettorali, quanto ci è costato

Pubblicato: 4 Dicembre 2021 14:16

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Sembra trascorsa un’era geologica, come se stessimo parlando di un fatto avvenuto tanto tempo fa, un ricordo che l’Italia ha consegnato alla propria memoria storica. E invece sono trascorsi appena cinque anni da quel 4 dicembre 2016 che segnò il naufragio della riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi e diede il via ad un lento ma irreversibile declino politico per l’ex premier.

Il progetto di modifica della Carta prevedeva il passaggio da un sistema di bicameralismo perfetto (quale è ancora oggi) ad un impianto che differenziasse le funzioni di Camera e Senato: quest’ultimo non sarebbe più stato eletto dai cittadini ma nominato tra i rappresentanti degli enti territoriali (Regioni, Comuni, Città metropolitane), subendo anche una riduzione del numero dei suoi componenti (da 315 a 100).

Le scelte dell’ex premier e il testo della riforma

Di conseguenza, Matteo Renzi aveva fatto approvare in Aula anche una nuova legge elettorale (il cosiddetto Italicum), che avrebbe dovuto regolare l’elezione dei soli deputati con un sistema maggioritario a doppio turno (come per l’elezione dei sindaci). Un progetto ambizioso, che – ascoltando le voci favorevoli – avrebbe permesso al nostro Paese di velocizzare i farraginosi meccanismi burocratici nell’approvazione delle leggi.

La riforma prevedeva anche la soppressione del Cnel (il Consiglio nazionale per l’economia e il lavoro) e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione, ossia quella relativa al rapporto tra lo Stato centrale e gli enti locali (la legge Delrio del 2015 aveva appena abolito le provincie e introdotto le 11 Città metropolitane).

Le cifra stimata e il precedente dello stesso anno

I costi fissi per un referendum in Italia, che sia esso consultivo o abrogativo, variano tra i 170 e i 200 milioni di euro. Ma il dato è passibile di notevoli alterazioni a seconda del caso specifico. Nello stesso 2016, per il referendum abrogativo che si svolse ad aprile (riguardante la revoca delle concessioni per l’estrazione di idrocarburi in zone di mare), la cifra stimata è stata assai più alta, vicina ai 300 milioni di euro.

Questa spesa è servita per coprire soprattutto i rimborsi ai comuni e il costo tra presidenti di commissione e addetti scrutinatori. Inoltre, la stessa voce ingloba anche i soldi impiegati per il trasporto delle schede in tutta Italia e i diversi servizi di sicurezza attivi presso i seggi.

La (sgradevole) situazione dei comitati

Questo significa che anche il costo del referendum costituzionale 2016 dovrebbe aggirarsi attorno ai 300 milioni di euro, con le dovute differenze sul fronte dei comitati. Con 500mila firme raggiunte, scatta il rimborso statale automatico. Solo per il referendum abrogativo serve necessariamente che si raggiunga il quorum, per il referendum costituzionale basterà aver superato mezzo milione di firme.

Il costo del rimborso da parte dello Stato nei confronti dei comitati è facilmente calcolabile: un euro per ogni scheda, quindi mezzo milione di euro per ciascun comitato. Un esborso che – hanno fatto notare in molti – si sarebbe potuto evitare, in quanto il referendum si sarebbe comunque dovuto svolgere per la richiesta di un quinto dei membri del Senato, come specificato all’articolo 138 della stessa Costituzione.