Secondo i dati dell’ultimo Economic Outlook dell’OCSE, anche se il PIL in Zona Euro è destinato a crescere, ma a rilento, l’Italia non riuscirà a mantenere il passo, restando sotto la media sia nel 2023 che nel 2024. Ma cosa ci dicono esattamente questi dati? E quali saranno gli effetti sui mutui?
Indice
Le prospettive economiche: il rapporto Economic Outlook dell’OCSE
Stando a quanto emerso dal rapporto OCSE: “L’economia globale continua a confrontarsi con le sfide dell’inflazione e delle prospettive di bassa crescita. La crescita del PIL è stata finora più forte del previsto nel 2023, ma ora si sta moderando a causa delle condizioni finanziarie più restrittive, della debole crescita del commercio e del calo della fiducia delle imprese e dei consumatori”.
Per questo motivo, nel breve termine, il rischio maggiore è che le prospettive di crescita rimangano orientati al ribasso, soprattutto se si tiene conto dell’intensificarsi delle tensioni geopolitiche, ad esempio tra Hamas e Israele. Questa situazione, inevitabilmente, ha un impatto maggiore del previsto dell’inasprimento della politica monetaria.
“Si prevede che la crescita globale sarà del 2,9% nel 2023 e si indebolirà al 2,7% nel 2024. Con l’ulteriore diminuzione dell’inflazione e il rafforzamento dei redditi reali, si prevede che l’economia mondiale crescerà del 3% nel 2025”, spiega l’OCSE. Inoltre: “In assenza di ulteriori forti shock sui prezzi dei prodotti alimentari e dell’energia, si prevede che l’inflazione complessiva ritorni su livelli coerenti con gli obiettivi delle banche centrali nella maggior parte delle principali economie entro la fine del 2025. L’inflazione complessiva annuale dell’OCSE dovrebbe scendere gradualmente al 5,2% e 3,8% rispettivamente nel 2024 e nel 2025, dal 7,0% nel 2023”.
L’analisi tiene conto anche di quella che è la situazione delle singole economie, confermando la crescita a rilento del PIL mondiale (dal 2,9% del 2023 al 2,7% del 2024 prima di risalire al 3% nel 2025) e nella Zona Euro, dove l’aumento sarà più modesto (0,6% nel 2023, per poi salire dello 0,9% del 2024 e dell’1,5% nel 2025). In questo caso, però, l’Italia farà peggio della media con un + 0,7% nel 2024 (come nel 2023) e un + 1,2% stimato per il 2024.
I dati, di fatto, ci dicono che oggi il rapporto debito pubblico/PIL si colloca a livelli elevati, con i governi che si trovano ad affrontare crescenti pressioni fiscali, derivanti da molteplici fonti, tra cui l’invecchiamento delle società e la necessità di affrontare il cambiamento climatico. “Le proiezioni meccaniche stilizzate mostrano che, in assenza di un’azione governativa, il rapporto debito pubblico/PIL è destinato a continuare ad aumentare fino a raggiungere livelli elevati”, viene specificato dagli esperti OCSE.
Quali gli effetti sui mutui?
Quando si chiede un mutuo, la salute finanziaria dei richiedenti è uno dei fattori che maggiormente influenza il tasso di interesse che verrà loro offerto. Più si è considerati “affidabili”, ovvero più sono le garanzie economiche che si presentano alla banca, migliore sarà il tasso di interesse offerto.
In generale, però, i fattori economici e la politica monetaria del governo influenzano l’intero universo dei tassi ipotecari. Ci sono dinamiche e situazioni che entrano in gioco – a livello nazionale e globale – che determinano, in una forma o nell’altra, le regole fondamentali della domanda e dell’offerta in questi casi.
1) Inflazione
Il graduale movimento al rialzo dei prezzi dovuto all’inflazione è un riflesso dell’economia generale e un fattore critico per gli erogatori di mutui. L’inflazione erode nel tempo il potere d’acquisto del denaro, per cui le banche devono mantenere i tassi di interesse alti, o a un livello almeno sufficiente a superare tale perdita e avere maggiori rendimenti, o comunque un profitto netto reale.
Ad esempio, se i tassi ipotecari sono al 5% ma il livello di inflazione annuale è al 2%, il rendimento reale di un prestito in termini di potere d’acquisto che il creditore riceve è solo del 3%. Se l’inflazione scende, dunque, anche i tassi di interesse sono destinati a seguire questo trend.
2) Incertezza economica e geopolitica
Gli organismi di regolamentazione e i governi seguono da vicino le dinamiche sia dell’incertezza economica che dei rischi geopolitici, poiché rappresentano aspetti di rischio.
Le preoccupazioni per la frammentazione economica e finanziaria globale si sono intensificate negli ultimi anni a causa delle crescenti tensioni geopolitiche – delle tensioni tra Stati Uniti e Cina all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia fino al recente conflitto tra Israele e Hamas – con importanti implicazioni per la stabilità finanziaria globale.
Si tratta di crisi che si trasmettono alle banche attraverso dinamiche che hanno effetto su quella che possiamo definire “economia reale”. Le interruzioni delle catene di approvvigionamento e dei mercati delle materie prime, come è successo per esempio, influenzano l’andamento dei prezzi in un Paese e nei Paesi con cui questo spesso scambia merci e provvigioni (e la guerra in Ucraina e il conseguente taglio delle forniture di gas russe ha già fatto scuola in Italia).
La lenta crescita interna e l’inflazione, inoltre, esacerbano le perdite di mercato e di credito delle banche, riducendone ulteriormente la redditività e la capitalizzazione. Che vuol dire questo? È probabile che se le tensioni aumentano e i rischi si fanno maggiori, la capacità di assunzione del rischio delle banche diminuisce, spingendole a tagliare i prestiti o a concederli ma a tassi più elevati.
3) Rapporto debito pubblico – PIL
Il rapporto debito/PIL è il parametro che confronta il debito pubblico di un paese con il suo prodotto interno lordo (PIL). Confrontando ciò che un paese deve pagare (uscite in senso lato) con ciò che produce (entrate in generale). Quindi, il rapporto debito/PIL indica in modo affidabile la capacità di quel particolare paese di ripagare i propri debiti. Spesso espresso in percentuale, questo può anche essere interpretato come il numero di anni necessari per ripagare il debito se il PIL è interamente dedicato al rimborso del debito.
Di norma, quanto più alto è il rapporto debito/PIL di un paese, tanto maggiore diventa il suo rischio di default. Ora, quando un paese va in default sul proprio debito, spesso innesca il panico finanziario nei mercati nazionali e internazionali. Sebbene i governi si sforzino di ridurre il rapporto debito/PIL, ciò può essere difficile da raggiungere durante periodi di crisi, come in tempo di guerra o di recessione economica.
Questo vuol dire che l’Italia rischia il fallimento? Assolutamente no. Non ci dicono questo i dati. Quello che però bisogna dire e considerare è che i mercati del credito tendono ad essere più accoglienti e indulgenti nei confronti dei Paesi con una struttura finanziaria più stabile o con concrete prospettive di ripresa. Se, per esempio, un Paese dipende invece fortemente dai creditori esteri per finanziare gli investimenti, le conseguenze saranno – probabilmente – una crescita economica più lenta, con ripercussioni sui suoi cittadini e le sue imprese. E questo, proprio ora, sta succedendo in Italia, con il governo che si è rivolto ai sauditi per finanziare il Fondo Made in Italy (per approfondire, vi rimandiamo all’articolo sull’Accordo Italia – Arabia Saudita).
Insomma, gli acquirenti e i venditori stanno già facendo i conti con tassi e interessi sui mutui decisamente alti (soprattutto paragonati agli anni passati), per cui la crescita incerta o addirittura lenta dell’Italia a livello economico e finanziario potrebbe potenzialmente non far scendere i costi di finanziamento così tanto.
Quando inizieranno a calare i tassi dei mutui?
Ad oggi, quello che molti si chiedono è: ma i tassi dei mutui torneranno a scendere? Se sì, quando? C’è la possibilità – anche alla luce dei recenti report – che questo accada nel 2024?
La maggior parte delle principali previsioni prevedono un calo dei tassi nel 2024. Secondo gli esperti, i tassi rimangano stabili per un po’ e poi scendano nella seconda metà dell’anno.
Insomma, nessuno può prevedere se e quando si verificherà un altro evento in grado di alterare l’economia ma, a meno che non accada qualcosa di estremo, probabilmente i tassi saranno meno alti.
La buona notizia è che, con la corsa inflazionistica che sembra andare rallentando, anche i tassi in Italia dovrebbero diminuire. La cattiva notizia, però, è che con la crescita economica lieve, lenta e sotto la media europea, probabilmente non torneranno ai minimi storici che abbiamo visto nel 2020 e nel 2021.