Cosa sappiamo dell’accordo Italia – Arabia Saudita, già al centro di polemiche

Italia e Arabia Saudita discutono di investimenti nel settore automobilistico, minerario, petrolifero: ma cosa prevede e cosa sappiamo di preciso dell’accordo?

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Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

Italia e Arabia Saudita discutono di investimenti nel settore automobilistico, minerario, petrolifero. Secondo il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, si tratterebbe di un accordo strategico per lo “sviluppo di un contesto, normativo e industriale, che favorisca e acceleri l’autonomia strategica nel settore delle materie prime critiche”. La potenziale crescita e le opportunità prospettate, però, non sono oggi tali da mettere a tacere le diverse polemiche che la partnership ha scatenato.

Ma andiamo con ordine, e vediamo cosa prevede e cosa è emerso di preciso al riguardo.

Urso in Qatar per definire l’accordo Italia – Arabia Saudita

Lunedì 27 novembre il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso è arrivato a Riad (Arabia Saudita), per dare il via alla seconda giornata della missione ufficiale nella penisola Arabica.

Dopo essere stato a Doha, capitale del Qatar e prima tappa della missione, il ministro ha incontrato il Presidente della Commissione Reale per Jubail e Yanbou, Khalid Al Saalem. “Italia e Arabia Saudita sono impegnate nello sviluppo di un contesto, normativo e industriale, che favorisca e acceleri l’autonomia strategica nel settore delle materie prime critiche“, ha dichiarato, aggiungendo poi: “A questo scopo, oltre a condividere le rispettive best practice, con il presidente Al Saalem abbiamo approfondito la possibilità di partnership e investimenti congiunti soprattutto nel comparto estrattivo, sia nei rispettivi Paesi, sia in aree terze, come il continente africano, in coerenza con il Piano Mattei che il nostro governo sta sviluppando”.

Nel corso del colloquio, Urso ha inoltre illustrato le principali caratteristiche del Fondo Sovrano per il Made in Italy, che è in fase di adozione in Parlamento con il ddl Made in Italy. Il Fondo italiano ha l’obiettivo di integrare risorse pubbliche con quelle private, aprendo il capitale dei fondi a sottoscrizioni di investitori globali che possono essere istituzionali o altri fondi sovrani.  In questo modo, di fatto, si stanno concretizzando le intenzioni di Giorgia Meloni, il primo ministro italiano infatti ha cercato di stringere legami più stretti con il Golfo fin dalla sua entrata in carica, spesso ignorando le preoccupazioni sui diritti umani nella regione delle precedenti coalizioni .

I settori su cui si vogliono attirare nuovi investimenti

Al centro degli incontri di Urso in Arabia Saudita le strategie dei due Paesi nel settore minerario e nella filiera dell’approvvigionamento e della lavorazione delle materie prime critiche. Ma non solo.

Altro argomento affrontato nel corso della riunione è stato la realizzazione di investimenti nei reciproci settori industriali di interesse, come l’automotive, l’oil & gas, la difesa, la nautica, l’agroalimentare e i progetti ad alto tasso di innovazione tecnologica, come le tecnologie green, l’idrogeno e lo Spazio.

A questo scopo, hanno partecipato al meeting anche i rappresentanti apicali di alcune aziende italiane presenti in Arabia Saudita, tra cui Pirelli, che ha recentemente sottoscritto un accordo per uno sviluppo produttivo nel Paese, EuroPort, Maire Tecnimont, Prysmian, Roboze, Deloitte, Poseidon LNG Hub e Gruppo San Donato.

Inoltre, il ministro ha incontrato, sempre a Riad, i vertici del Public Investment Fund (PIF), per discutere in questo caso delle opportunità riguardo investimenti congiunti nelle filiere del Made in Italy e riguardo investimenti sauditi in Italia in settori come energia, veicoli elettrici, petrolchimico, immobiliare, lusso e sport.

Al termine della seconda tappa della missione nella Penisola Arabica, Urso ha infine incontrato a Riad il ministro saudita degli investimenti, Khalid Al-Falih, confermando la volontà reciproca di rafforzare ulteriormente le sinergie industriali e commerciali con l’Italia, in settori strategici quali quello petrolchimico, difesa, infrastrutture, cantieristica, immobiliare.

Perché l’Italia si è rivolta all’Arabia?

Questa riunione bilaterale fa seguito all’incontro tenutosi a settembre 2023 al Forum per gli investimenti Italo-Saudita di Milano, a cui hanno partecipato oltre 1300 aziende dei due Paesi e copresieduto da Urso e Al-Falih. L’Italia è quindi in trattativa con l’Arabia Saudita da diverso tempo e sempre con lo stesso obiettivo: attirare investimenti e avere maggiori risorse da impiegare nel Fondo Sovrano per il Made in Italy.

Per questo Fondo, approvato a maggio, è stata prevista una dotazione iniziale di 700 milioni di euro nel 2023 e ulteriori 300 milioni l’anno prossimo. Tuttavia, si tratta di risorse statali e pubbliche non facili da trovare, soprattutto se si considera il fatto che il governo sta già facendo i conti con un deficit di bilancio critico. Da qui l’iniziativa di chiedere ai regimi arabi di sostenere le aziende italiane che operano nei settori strategicamente più importanti, mirando anche a incrementare l’approvvigionamento e il riutilizzo delle “materie prime critiche”.

Il problema dei diritti umani e la posizione dell’Italia

Di fatto, il Fondo per il “Made in Italy” quindi aiuterebbe a sostenere la produzione italiana e a rendere il Paese meno dipendente dai fornitori esterni, ma non per questo non presenta criticità. In primis perché, ad oggi, non è stato chiesto nessun impegno all’Arabia Saudita in materia di diritti umani e ambientali.

Già a settembre il ministro Urso, ai giornalisti presenti al Forum di Milano, aveva anzi detto: “Dobbiamo partire dal presupposto che il mondo è molto diverso dai valori ai quali rimaniamo fermamente impegnati”. Infatti, a maggio, Giorgia Meloni aveva revocato il divieto di vendere le armi ai sauditi, rispondendo a un’interrogazione parlamentare di Laura Boldrini (Partito Democratico), che gli aveva chiesto di prendere in considerazione la reintroduzione del divieto. La deputata aveva citato un rapporto di Human Rights Watch, secondo il quale centinaia di migranti e richiedenti asilo etiopi in fuga dalla guerra civile nel Tigray erano stati uccisi dalle guardie di frontiera saudite tra marzo 2022 e giugno 2023 con l’uso di mortai, granate e mitragliatrici, mentre tentavano di entrare in Arabia Saudita. Proprio con le armi su cui l’Esecutivo aveva tolto il veto.
“Il contesto è cambiato”, era stato detto. Ma è davvero così?

Negli ultimi anni, l’Arabia Saudita ha investito in partnership con istituzioni occidentali come la PGA, la Formula 1 e la World Wrestling Entertainment, attirando anche i migliori giocatori di calcio come Cristiano Ronaldo nel suo campionato nazionale e usando Lionel Messi come influencer per promuovere il regno. Recentemente, ha segnalato il suo interesse persino a organizzare tornei di tennis femminile e la Coppa del Mondo FIFA 2030.

Tuttavia, Human Rights Watch e molti attivisti ed esperti di diritto umanitario hanno descritto questi interventi come semplice “sportswashing”, un tentativo cioè di distrarre l’attenzione del mondo dalle continue violazioni dei diritti umani internazionali.

In Arabia Saudita, le libertà e i diritti politici restano strettamente limitati e controllati dal regime. Nonostante le iniziative volte ad allentare alcune restrizioni sulle donne e sulle minoranze religiose, queste riforme sono paradossalmente accompagnate da misure sempre più dure nei confronti dei dissidenti pacifici. Solo l’anno scorso, per esempio, le attiviste Salma al-Shehab e Nourah bint Saeed al-Qahtani hanno ricevuto pene detentive rispettivamente di 34 e 45 anni per aver criticato con un post sui social media il regime.

Più recentemente, diversi membri della tribù Howeitat sono stati condannati a morte con l’accusa di terrorismo per aver protestato pacificamente contro un progetto di megalopoli che minacciava il loro villaggio ancestrale.