​​I negozi che rischiano di chiudere in Italia

I negozi continuano a diminuire e il trend sottolinea un rischio marcato di chiusura per alcune attività commerciali più di altre: cosa ci aspetta quindi?

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Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

I negozi continuano a diminuire e il trend dei prossimi anni, purtroppo, non è rincuorante, ma fa luce su un rischio marcato di chiusura per alcune attività commerciali più di altre.

Lo studio

Il rallentamento della spesa dei consumatori, la ridotta disponibilità di credito e la crescente penetrazione dell’e-commerce potrebbero contribuire alla chiusura di un numero significativo di negozi nei prossimi anni. Lo sottolinea il report “Il Commercio oggi e domani”, uno studio sul futuro della distribuzione commerciale condotto da Confesercenti e IPSOS, presentato oggi a Roma alla Sala di Vibia e Adriano a Roma, alla presenza del Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso.

Per l’occasione, Confesercenti e IPSOS hanno condotto un’indagine intergenerazionale su mille consumatori di tutte le età, dai Baby Boomer alla Generazione Z, per vagliare la preferenza per il canale d’acquisto online e offline. E cosa è emerso dall’analisi dei dati raccolti?

I veri “nemici” dei commercianti, specie dei più piccoli, al contrario di come si potrebbe erroneamente dedurre, non sono solo le multinazionali e gli e-commerce. Acquistare offline è infatti ancora il canale preferito di molti: “Nonostante la progressiva affermazione dell’eCommerce, i negozi fisici continuano ad essere ancora il canale d’acquisto preferito per sei delle nove categorie merceologiche prese in esame – si legge nello studio -. L’insieme di chi ha acquistato nell’ultimo anno esclusivamente, prevalentemente o qualche volta online è maggioritario, infatti, solo nel comparto ‘viaggi e vacanze’ (dove raggiunge il 72%), elettronica e prodotti tecnologici (62%) e moda (52%). La quota di clienti che, nello stesso periodo, ha comprato solo, prevalentemente o qualche volta nei negozi fisici, invece, è maggioritaria per tutte le altre sei tipologie: articoli e abbigliamento sportivo (54%), cosmetica, profumeria e cura del corpo (58%), arredamento e complementi d’arredo (69%), cibo e bevande d’asporto (69%), prodotti per la pulizia della casa (77%) e alimentari (82%)”.

Considerando la tendenza attuale, hanno concluso gli esperti, è possibile stimare nei prossimi sette anni – da qui al 2030 – una contrazione di circa 73 mila attività commerciali di vicinato (-11% sul totale), ad un ritmo di 18 negozi spariti al giorno.

Cosa minaccia gli affari?

Secondo l’analisi Confesercenti-IPSOS, non sorprendentemente, i Baby Boomers costituiscono la fascia d’età più votata agli acquisti offline, mentre le generazioni Y e Z sono più orientate all’online.

Ma mentre la preferenza per l’eCommerce è particolarmente spiccata per la generazione Y, formata dai nati tra il 1981 e il 1996, la successiva generazione Z sembra tornare a valutare positivamente l’esperienza dello shopping nei negozi fisici. I cosiddetti Zoomers, infatti, pur se più ‘online’ della generazione X e dei Baby Boomers, superano la propensione media all’acquisto in rete solo per alimentari e prodotti per la pulizia di casa, cibo e bevande d’asporto, cosmetica ed elettronica.

Ma se il rischio posto dal commercio online – peraltro usato sempre di più anche nel commercio vicinato – appare dunque ridimensionato, lo stesso non si può dire per lo stato di incertezzacreato dalla frenata dei consumi.

A minacciare gli affari, infatti, sono l’inflazione e il calo del potere di acquisto dei redditi.

“L’erosione dei redditi reali è stata infatti particolarmente forte già nel 2022, durante il quale si è registrata una perdita di potere d’acquisto di 11,8 miliardi di euro – viene spiegato -. Una tendenza che purtroppo continuerà anche quest’anno: secondo le nostre stime, nel 2023 il potere d’acquisto delle famiglie subirà un’ulteriore riduzione di 2,9 miliardi di euro e la capacità di spesa raggiunta nel 2021 non sarà recuperata prima del 2027”.

Quello che pesa di più, infatti, è il trend al rialzo dei prezzi dell’energia e del gas, cresciuti velocemente, riversandosi sui costi di produzione, trasporto e distribuzione, fino a portare inevitabilmente ad un incremento generalizzato dei prezzi finali di prodotti e servizi.

Per fronteggiare la spinta inflazionistica, quindi, diverse famiglie hanno dovuto ricorrere ai propri risparmi e, nonostante ciò, il sacrificio spesso non è bastato a mantenere alti i consumi. Tant’è che molti, invece di acquistare, hanno preferito rinunciare a determinati beni.

I negozi più a rischio

Non è esagerato affermare oggi che molte famiglie si siano ritrovate, nel corso degli ultimi mesi, a dover rinunciare anche a servizi di prima necessità. Con il Paese che si è ritrovato ad attraversare una crisi del genere, quindi, anche il resto dei consumi ne ha risentito.

Se ci siamo ritrovati in una situazione in cui molti hanno dovuto scegliere tra cosa escludere o includere nel carrello della spesa, inevitabilmente a risentirne di più sono stati i negozi e le attività che offrono prodotti per così dire “non essenziali”. Lo studio Confesercenti-IPSOS infatti non fa che confermarlo: “A diminuire rispetto al 2019, in numeri assoluti, sono soprattutto i negozi di moda (-8.553 unità rispetto al 2019, con un calo del -6,3%), anche se le riduzioni percentuali più elevate vengono registrate da Giornali e articoli di cartoleria (-13,5%, per 3.963 imprese in meno). In forte contrazione anche le imprese attive nella vendita di pane e torte (-6,1%, per 679 attività in meno) e di carni (-5,7%, -1.663 imprese). Più contenuta la perdita per le librerie (-2%, o -112 imprese)”.

Vanno meglio le cose per le imprese specializzate nella vendita di frutta e verdura, che rispetto all’ultimo anno prima della pandemia crescono del 2%, per un totale di 432 imprese in più. Bene anche i negozi specializzati in Pesci, crostacei e molluschi (+107 attività, per una variazione positiva del +1,2%) e quelli della distribuzione bevande, che aumentano di 291 attività sul 2019, con una crescita del +4,5% rispetto al periodo precedente alla pandemia.

Perché è un problema se i negozi chiudono?

A causa della natura del nostro sistema economico e del modo in cui funziona il credito, le recessioni sono destinate a verificarsi di volta in volta. Un rivenditore che si aspetta che la propria attività resista alla prova del tempo dovrebbe quindi essere pronto a gestire tale attività durante una recessione, fino a quando non si esaurisce.

Le recessioni portano con sé redditi più bassi. Redditi più bassi portano a consumi più bassi. Minori consumi significa minori vendite. Vendite inferiori significano chiusure di negozi. La chiusura dei negozi significa meno posti di lavoro. Meno posti di lavoro equivalgono a redditi ancora più bassi. È un ciclo che va avanti per un po’ e deve essere interrotto, di solito da un programma di stimolo del governo.

Falsi miti e dati di fatto

Un primo mito che bisogna sfatare è quello relativo al settore delle vendite online. Se il negozio in fondo alla strada rischia di chiudere, al netto di altri problemi che non consideriamo adesso, probabilmente non è colpa dell’avvento di Internet (non solo).

Il mercato Retail diventa ogni giorno più esigente. Con così tanta competitività e, ovviamente, l’e-commerce, non c’è spazio per un lavoro di vendita che non tenga conto di una strategia di espansione anche digital.

Ora un dato di fatto: sì, i negozi stanno soffrendo perché sono sempre meno redditizi.

Una (possibile) soluzione

Alla luce di tutte le considerazioni fatte, quindi, è importante dare spazio e analizzare quelle che potrebbero essere le possibili soluzioni. Il futuro può essere cambiato, ma come? Il primo suggerimento arriva da Confesercenti, che ha proposto una doppia piattaforma di interventi, per la ripresa dei consumi e per il sostegno di negozi e botteghe: “Per far ripartire la spesa delle famiglie e contrastare il caro-vita, è necessario dare attuazione velocemente alla delega fiscale, riducendo la pressione delle imposte sulle famiglie. In particolare, sarebbe opportuno detassare gli aumenti contrattuali per il prossimo biennio: una simile misura potrebbe generare 3 miliardi di euro di consumi aggiuntivi già a partire dalla prossima tornata contrattuale”.

Ma non solo, quello che suggeriscono gli esperti è anche di “sostenere le attività di vicinato”, con misure strutturali, un pacchetto di formazione per gli imprenditori, sostegni all’innovazione, una fiscalità di vantaggio e tutta una serie di agevolazioni per ridurre l’erosione delle quote di mercato delle piccole superfici, “recuperando 5,5 miliardi di euro di vendite, e salvando quasi 30mila attività commerciali di vicinato dalla scomparsa nei prossimi sette anni”.

Si torna quindi a parlare di digitale, innovazione e nuove tecnologie, che sempre più analisi di mercato suggeriscono essere linfa vitale per le aziende fisiche che vogliono sopravvivere e, idealmente, prosperare nei prossimi anni, evitando l’impatto finanziario della recessione. Le nuove tecnologie quindi hanno il potere di dare una spinta alle vendite e alla spesa dei clienti. Basta pensare a una buona campagna pubblicitaria sui social (di un evento, un prodotto, qualsiasi cosa si voglia far acquistare) e a come una strategia di marketing possa indirizzare e influenzare gli utenti (e quindi i clienti) di riferimento. Chi non si è mai ritrovato ad acquistare qualcosa pubblicizzata sui social alzi la mano.

In definitiva, un’attività di vendita al dettaglio ha bisogno di una buona affluenza, attraverso qualsiasi porta di accesso (fisica e virtuale), se vuole raggiungere le vendite necessarie per rimanere a galla. Se le persone non mettono piede nel negozio, l’alternativa è far arrivare il negozio – figurativamente – a casa loro. Magari con una nuova tecnologia che li metta al corrente delle offerte, che gli permetta di ordinare online o di sfogliare digitalmente il catalogo dei prodotti e dei servizi offerti.

Insomma, se i clienti non attraversano porte fisiche, il proprietario del negozio può sempre attraversare gli schermi dei loro smartphone.