“Dal 5 febbraio del 2019 a ieri (23 marzo 2023, ndr) penso di essere stato al servizio del Paese e pronto ad ascoltare i bisogni di tutti”. Sono state queste le ultime parole con cui Gian Carlo Blangiardo si è congedato da presidente dell’Istat durante la sua audizione resa lo scorso 24 marzo davanti alle Commissioni Affari Costituzionali del Senato e della Camera, in cui i parlamentari di tutti gli schieramenti si sono riuniti in seduta comune per ascoltare i dati da lui snocciolati sulla profonda crisi demografica del nostro Paese.
Proprio in quelle ore il suo mandato al vertice dell’Istituto di statistica è arrivato al scadenza e l’ex docente dell’Università Milano Bicocca ha tenuto a specificare come il suo operato sia stato dettato dalla “disponibilità” e dal “pieno rispetto di un’indipendenza che rappresenta il valore fondante del nostro istituto”. Blangiardo ha poi concluso ricordando agli eletti come ci siano voluti “competenza ed equilibrio” per gestire “un’organizzazione composta da oltre 2mila dipendenti, con sedi territoriali presenti in ogni regione, due dipartimenti, una direzione generale e ben 14 direzioni centrali“.
L’inflazione continua a crescere: il confronto tra l’Italia e gli altri Paesi Ue
Oltre alla preoccupante situazione sulla natalità che da anni caratterizza la nostra popolazione, l’ormai ex presidente dell’Istat – al cui posto è stato nominato pro tempore Francesco Maria Chelli in quanto membro più anziano del consiglio dell’istituto – ha parlato anche di un altro aspetto molto attuale (e altrettanto angosciante), ossia quello che riguarda l’aumento inarrestabile dell’inflazione.
Un fenomeno che accompagna la cronaca e gli articoli di stampa ormai da mesi: la sua crescita costante e imperterrita fin dallo scorso anno non ha precedenti nella nostra storia recente e Blangiardo non ha nascosto i suoi timori in merito alle ripercussioni su famiglie e cittadini che si trovavano già in difficoltà dopo i tre anni di emergenza pandemica.
La sua analisi si è resa necessaria anche perché nelle ultime settimane la questione è tornata ad occupare le prime pagine dei quotidiani e della agenzie con nuovi dati record: ad aprile infatti l’innalzamento dei prezzi sul nostro territorio nazionale ha toccato l’8,3%, assestandosi ad un livello superiore rispetto alle vicine Francia (+6,9%), Germania (+7,6%) e Spagna (+3,8%).
Come si calcola l’inflazione e quali sono i rischi per l’Italia
Per spiegare, in parte, perché l’Italia detenga questo triste primato occorre osservare le 4 componenti individuate dagli esperti che concorrono al calcolo complessivo dell’inflazione:
- il cosiddetto carrello della spesa (comprensivo di alimentari, bevande e altri prodotti di utilizzo comune);
- i servizi erogati dagli operatori del terzo settore;
- le spese per l’energia elettrica (altro tasto dolente dell’ultimo anno per il folle rincaro dei costi delle bollette);
- i beni e gli strumenti di produzione industriale.
Ebbene, per tutte le 4 voci citate, i prezzi medi riscontrati nella zona Euro negli ultimi 30 giorni sono cresciuti ad un andamento inferiore rispetto a quanto accaduto se si osserva solamente la situazione dell’Italia. Questo non significa che il nostro Paese viva la stessa condizione di Lettonia e Slovacchia – le due leader europee di questa speciale graduatoria – dove l’aumento dei prezzi su base annua supera rispettivamente il 15% e il 14%. Se però l’andamento italiano rimarrà questo, nulla esclude di poterle raggiungere in tempi brevi.