Gli immigrati servono a pagarci le pensioni. Lo dice il governo Meloni nel Def

Mentre monta la polemica sulla protezione speciale e sulla 'sostituzione etnica' evocata da Lollobriggida, nel documento del governo è scritto nero su bianco come l'apporto dell'immigrazione sia considerato irrinunciabile per i conti pubblici.

Come specco accade, la politica si nutre di slogan mentre si trova in realtà a fare i conti con la realtà delle cose. Mentre in Parlamento infuria la polemica sulla rimozione della ‘protezione speciale’ da parte del governo a chi ne aveva diritto – si tratta di poco più di 10mila immigrati già presenti sul territorio italiano – e sulle parole del deputato di FdI Francesco Lollobriggida, che ha evocato la “sostituzione etnica” in corso, nel Def l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha messo nero su bianco come il conto del welfare italiano non possa prescindere dall’apporto del lavoro degli immigrati.

Immigrati: la Meloni al Salone del Mobile

“Abbiamo sempre più persone da mantenere e sempre meno persone che lavorano, al di là della valutazione però questo problema si risolve in vari modi. E il modo sul quale lavora il governo non è risolverlo con i migranti ma risolverlo con quella grande riserva inutilizzata che è il lavoro femminile”. Lo ha detto la premier Giorgia Meloni a margine dell’inaugurazione dell’edizione 2023 del Salone del Mobile, alla fiera di Milano a Rho.

A chi le faceva notare che nel Def viene evidenziato come i migranti migliorano i conti pubblici ribatte: “È oggettivo che noi in Italia abbiamo un problema di tenuta del nostro sistema economico e sociale dato dal fatto che per troppi anni non abbiamo investito sulla natalità e sulla demografia. Alzando i livelli del lavoro femminile e portandoli alla media Europea già i nostri dati cambierebbero molto – ha aggiunto Meloni – e anche lavorando sulla demografia e quindi sull’incentivazione della possibilità da parte delle famiglie di mettere al mondo dei figli. Questo è quello su cui il governo lavora”.

Immigrati: cosa c’è scritto nel Def

E in effetti il capitolo è ben chiaro, a pagina 125 del Documento di economia e finanza. Dove si legge che la riduzione o l’aumento dei flussi migratori in Italia avranno un impatto (in positivo o in negativo) fino a 30 punti percentuali. […] un aumento della popolazione di origine straniera del 33% farebbe calare il debito pubblico di 30 punti. Se invece l’apporto dell’immigrazione sul totale dei residenti in Italia dovesse rallentare o calare, peggiorerebbero gli equilibri della finanza pubblica dal momento che da un lato verrebbe meno la manodopera necessaria a sostenere lo sviluppo economico e dall’altro aumenterebbe la domanda di prestazioni assistenziali e sanitarie.

L’immigrazione – sempre secondo l’analisi che accompagna il def – non è l’unica variabile demografica che rischia di impattare sui conti pubblici: ci sono anche l’allungamento delle speranze di vita e la fertilità (“che cala e fa aumentare il debito”).

Il problema del calo demografico

Del resto il problema direttamente connesso è quello del calo demografico nel Belpaese. Entro il 2100 la popolazione italiana si ridurrà di 8,8 milioni di individui, registrando il calo più consistente fra i Ventisette in termini assoluti, davanti ai polacchi, che perderanno 8,1 milioni di persone entro fine secolo. E’ quanto emerge dalle statistiche Eurostat sulla popolazione, secondo cui la popolazione italiana scenderà dai 59 milioni del 2022 a 50,19 milioni, al netto del saldo negativo fra nascite (29,9 milioni) e morti (57,5 milioni) e del saldo positivo fra emigranti ed immigrati (18,7 milioni).

In termini percentuali, la riduzione registrata dall’Italia la colloca in una fascia intermedia fra il 10% ed il 20%, mentre la riduzione maggiore in UE si registrerà in Lituania (-36,7%) e Lettonia (-37,8%).

L’età media in Italia sarà anche la più elevata in UE (53 anni) e la colloca subito dopo i maltesi (53,3 anni).