Dove sono le centrali a carbone pronte a riaprire in Italia

Con il cosiddetto "decreto Ucraina" voluto da Draghi e approvato all'unanimità dal Consiglio dei ministri si apre la possibilità di un ritorno all'uso intensivo del carbone

Foto di Miriam Carraretto

Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Con il cosiddetto “decreto Ucraina” voluto da Draghi e approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri (qui tutto ciò che prevede, compreso l’invio di armi), il governo ha previsto alcune importantissime novità in campo energetico, piuttosto inattese prima della crisi ucraina. A causa del livello di rischio inaspettato per il normale funzionamento del sistema nazionale di gas naturale, è stato autorizzato l’anticipo, anche a scopo preventivo, dell’aumento dell’offerta e/o della riduzione della domanda di gas previste in casi di emergenza.

In pratica, significa che, se ce ne fosse bisogno a causa dell’acuirsi del conflitto tra Ucraina e Russia, sarebbe possibile ricorrere ai razionamenti di gas. Nel caso arrivasse una crisi in questo senso, si aprirebbe immediatamente alla possibilità di ricorrere ad altre fonti di approvvigionamento.

La norma rende immediatamente attuabile la riduzione del consumo di gas delle centrali elettriche oggi attive, attraverso la massimizzazione della produzione da altre fonti. Per farlo il governo ha deciso di coinvolgere direttamente Terna S.p.A., in qualità di gestore della rete di trasmissione nazionale.

Ma quali fonti verrebbero utilizzate? Qui viene il punto. Secondo quanto anticipato dal premier Draghi, resterebbe invariato il contributo delle energie rinnovabili, ma ci sarebbe una brusca frenata rispetto al processo di decarbonizzazione in atto nel nostro Paese, posto tra le linee di sviluppo prioritario. Perché proprio il carbone dovrebbe essere ripristinato.

Cosa prevede il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec)

Secondo il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) redatto dal Ministero dello Sviluppo Economico a dicembre 2019, infatti, le centrali termoelettriche a carbone dovranno essere dismesse o convertite in centrali a gas naturale entro la fine del 2025. Ma a questo punto tutto potrebbe cambiare.

Nel documento che noi di QuiFinanza abbiamo consultato, viene esplicitato come l’Italia intenda accelerare la transizione dai combustibili tradizionali alle fonti rinnovabili, promuovendo il graduale abbandono del carbone per la generazione elettrica a favore di un mix elettrico basato su una quota crescente di rinnovabili e, per la parte residua, sul gas. Questa trasformazione, epocale, passa dalla programmazione e dalla realizzazione degli impianti sostitutivi e delle necessarie infrastrutture, come ovvio.

L’Italia, si legge, attuerà le politiche e misure necessarie al raggiungimento degli obiettivi di riduzione di gas a effetto serra concordate a livello internazionale ed europeo. Per i settori coperti dal sistema di scambio quote EU ETS – innanzitutto il termoelettrico e l’industria energivora – oltre a un livello dei prezzi della CO2 più elevato rispetto a quello degli ultimi anni, contribuiranno l’addio al carbone, programmato entro il 2025, e sempre che siano per tempo realizzati gli impianti sostitutivi e le necessarie infrastrutture, e una significativa accelerazione delle fonti di energia rinnovabile e dell’efficienza energetica nei processi di lavorazione.

Il “phase out” dal carbone entro il 2025 potrà essere implementato attraverso, tra l’altro, la realizzazione di unità termoelettriche addizionali alimentate a gas, necessaria anche in considerazione dell’incremento delle quote di rinnovabili.

Cosa farà l’Italia per dire addio al carbone

Queste le azioni che il nostro Paese intende perseguire:

  • accelerazione del percorso di decarbonizzazione, considerando il 2030 come una tappa intermedia verso una decarbonizzazione profonda del settore energetico entro il 2050 e integrando la variabile ambiente nelle altre politiche pubbliche
  • messa al centro di cittadini e imprese (in particolare piccole e medie), in modo che siano protagonisti e beneficiari della trasformazione energetica e non solo soggetti finanziatori delle politiche attive. Questo significa promozione dell’autoconsumo e delle comunità delle energie rinnovabili che in altri paesi come la Svezia è più evidente ma anche massima regolazione e massima trasparenza del segmento della vendita, in modo che il consumatore possa trarre benefici da un mercato concorrenziale
  • agevolazione dell’evoluzione del sistema energetico, in particolare nel settore elettrico, da un assetto centralizzato a uno distribuito basato prevalentemente sulle fonti rinnovabili
  • adozione di misure che migliorino la capacità delle rinnovabili di contribuire alla sicurezza e, nel contempo, favorire assetti, infrastrutture e regole di mercato che a loro volta contribuiscano all’integrazione delle rinnovabili
  • adeguati approvvigionamenti delle fonti convenzionali, perseguendo la sicurezza e la continuità della fornitura, con la consapevolezza del progressivo calo di fabbisogno delle cosiddette fonti convenzionali, sia per la crescita delle rinnovabili che per l’efficienza energetica
  • promozione dell’efficienza energetica in tutti i settori, come strumento per la tutela dell’ambiente, il miglioramento della sicurezza energetica e la riduzione della spesa energetica per famiglie e imprese
  • promozione dell’elettrificazione dei consumi, in particolare nel settore civile e nei trasporti, come strumento per migliorare anche la qualità dell’aria e dell’ambiente
  • accompagnamento dell’evoluzione del sistema energetico con attività di ricerca e innovazione che, in coerenza con gli orientamenti europei e con le necessità della decarbonizzazione profonda, sviluppino soluzioni idonee a promuovere la sostenibilità, la sicurezza, la continuità e l’economicità di forniture basate in modo crescente su energia rinnovabile in
    tutti i settori d’uso e favoriscano il riorientamento del sistema produttivo verso processi e prodotti a basso impatto di emissioni di carbonio che trovino opportunità anche nella domanda indotta da altre misure di sostegno
  • adozione di misure e accorgimenti che riducano i potenziali impatti negativi della trasformazione energetica su altri obiettivi parimenti rilevanti, quali la qualità dell’aria e dei corpi idrici, il contenimento del consumo di suolo e la tutela del paesaggio
  • prosecuzione del processo di integrazione del sistema energetico nazionale in quello dell’Unione europea.

Come vedete, il progressivo abbandono del carbone è un must che viene ripetuto più volte, al centro di una profonda trasformazione industriale e sociale. Ma le parole di Draghi in riferimento alla guerra ucraina hanno cambiato le carte in tavola, con un ribaltamento di prospettiva, urgente ma non senza conseguenze.

Dove potrebbero riaprire le centrali a carbone

Ma quali e dove sono le centrali a carbone in Italia? Le centrali di questo tipo nel nostro Paese oggi sono 7, dislocate su tutto il territorio nazionale: 2 sono in una stessa Regione. Ecco esattamente dove:

  • Monfalcone (Friuli-Venezia Giulia) gestita da A2A;
  • Fusina (Veneto) gestita da Enel;
  • La Spezia (Liguria) gestita da Enel;
  • Torrevaldaliga (Lazio) gestita da Enel;
  • Brindisi (Puglia) gestita da Enel;
  • Fiume Santo (Sardegna) gestita da Enel;
  • Portoscuso (Sardegna) gestita da EP Produzione gruppo Eph.