Crollo del ponte di Baltimora, le conseguenze economiche arrivano fino in Italia

Il crollo del ponte di Baltimora e la chiusura del suo porto potrebbero avere conseguenze anche sull'economia italiana

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Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

Martedì 26 marzo una nave container di grandi dimensioni ha colpito un pilone del ponte Francis Scott Key a Baltimora, sulla costa orientale degli Usa, circa 50 chilometri a nord della capitale Washington D.C. L’impatto ha causato il crollo di una porzione della struttura, che era stata bloccata al traffico in buona parte grazie all’allarme dato dalla nave. La causa dello schianto sarebbe un’avaria al motore. Sei operai che stavano lavorando sul ponte sarebbero dispersi. Le autorità ritengono con un ragionevole grado di sicurezza che siano morti.

Il crollo del ponte ha causato la chiusura totale del porto di Baltimora. Nonostante non sia una città enorme, non raggiungendo il milione di abitanti, Baltimora ha uno dei porti più importanti degli Stati Uniti per alcuni specifici settori. Su tutti quello del carbone, ma anche lo zucchero e le automobili e il gas. Ancora incalcolabile ma probabilmente molto pesante anche l’impatto sull’economia locale.

Le conseguenze del crollo del ponte sull’economia di Baltimora

Le conseguenze più immediate del crollo del ponte Francis Scott Key di Baltimora saranno quelle sulla città. Baltimora si trova al termine di una baia che si inserisce nella costa per oltre 6 chilometri. La città però si espande su tutte le rive di questa baia, e il ponte collegava due quartieri molto periferici definendo la viabilità dell’intero centro abitato. Era fondamentale, per chi viaggiava nella zona e non voleva addentrarsi nelle strade del centro cittadino.

Dal ponte passavano 35mila persone ogni giorno, che ora andranno a congestionare il traffico cittadino rallentando l’intera economia della zona. Sulla tratta erano soliti transitare anche 28 miliardi di dollari in merci trasportate su gomma ogni anno. I camion saranno ora costretti ad aggirare la città passando dall’entroterra, allungando i tempi di percorrenza.

La chiusura del ponte è complessa da affrontare ma è comunque il problema minore di Baltimora in questo momento. A causa dei detriti caduti nella baia, il porto della città è stato chiuso. Vi lavorano direttamente circa 15mila persone e si calcola che l’indotto impieghi circa dieci volte il numero di addetti del porto stesso. Per una città di poco meno di 600mila abitanti si tratta di un’infrastruttura fondamentale. La sua chiusura a lungo termine potrebbe avere conseguenze catastrofiche.

Auto, gas e zucchero: l’impatto della chiusura del porto di Baltimora sull’economia mondiale

A preoccupare di più a livello internazionale sono però ovviamente le possibili ripercussioni che la chiusura del porto di Baltimora potrebbe avere sui commerci mondiali. Le strutture della città non sono così importanti dal punto di vista assoluto. Si tratta del 18esimo porto del Paese, imparagonabile per flussi di merci con quelli maggiori anche soltanto della costa orientale. È però anche un porto molto specializzato a causa di alcuni fattori specifici dell’economia della città.

Prima di tutto dal porto di Baltimora passava moltissimo zucchero esportato dagli Usa. In città si trova una delle più grandi raffinerie degli Stati Uniti, la Domino Sugar, che ora dovrà trovare altre strade per il trasporto dei suoi prodotti. C’è poi la questione del carbone, che è forse quella più impellente da risolvere per gli Usa. Dal porto della città partiva verso l’estero il 27% del carbone americano. Si tratta di esportazioni dirette soprattutto in oriente, Cina e India su tutte, che potrebbero quindi soffrire di un aumento molto deciso del prezzo della materia prima, ancora largamente usata per produrre elettricità.

Questo potrebbe avere ripercussioni serie su una parte del mercato energetico, con adattamenti che andrebbero a destabilizzare anche altre materie prime. Dal porto di Baltimora passava anche una parte rilevante del gas liquefatto americano diretto in Europa. Una questione rilevante anche per l’Italia, che durante il rapido distacco dalla Russia come principale fornitore di gas nel 2022 ha stabilito contratti di lungo periodo con diverse società estrattive americane. Ritardi nelle forniture potrebbero far aumentare le bollette nel nostro Paese soprattutto se i porti circostanti non riuscissero ad adattarsi.

In ultimo, da Baltimora passavano anche numerosissime automobili e mezzi pesanti nuovi, sia per importazioni che per esportazioni. Il momento non è dei migliori per il mercato dell’auto americano e internazionale e l’azzeramento delle 750mila auto che l’anno scorso sono passate per il porto della città potrebbe far aumentare ulteriormente i prezzi delle vetture e dei mezzi commerciali sul mercato.

Le paure per il commercio mondiale

La speranza degli Usa è che gli altri porti della costa orientale si adattino ai nuovi flussi derivanti dalla chiusura di quello di Baltimora in fretta, in modo da ridurre al minimo le conseguenze economiche di lungo termine sulla nazione. Purtroppo però la storia recente ha dimostrato come l’infrastruttura commerciale mondiale manchi delle necessarie ridondanze a reggere periodi di aumento dei flussi anche relativamente brevi e con un numero di merci piccolo rispetto al totale gestito ogni giorno.

La crisi della supply chain creatasi alla fine delle restrizioni post Covid-19 è stata un chiaro esempio. Il commercio mondiale è ripreso in poche settimane ai livelli precedenti alla pandemia e i porti mondiali non erano pronti ad accogliere navi e merci per mancanza di personale. Si sono creati in fretta intoppi e problemi che hanno causato una crisi senza precedenti e hanno contribuito all’enorme inflazione del 2022 e del 2023 da cui ancora molti Paesi faticano a riprendersi.

La situazione del commercio mondiale si è parzialmente stabilizzata, ma rimane debole per diverse ragioni. Una delle principali rotte mondiali, quella del Mar Rosso, è minacciata dagli attacchi dei ribelli yemeniti Houthi e si ha ridotto di molto la propria rilevanza da quando è cominciata l’invasione di terra della Striscia di Gaza da parte di Israele. I commerci tra oriente e Europa ne hanno risentito, con un allungamento dei tempi e un aumento dei costi.

Le rotte dell’Atlantico sono rimaste relativamente incolumi, ma un aumento dei flussi nei grandi porti americani come quello di New York a causa del blocco prolungato di quello di Baltimora potrebbe mandare in crisi molte infrastrutture marittime della costa orientale. A risentirne sarebbe quindi ancora una volta l’Europa, che si troverebbe al centro di una doppia crisi commerciale. Conseguenza diretta sarebbe il rallentamento di buona parte dei flussi di merci da e per il Vecchio Continente, Italia inclusa.