Il governo Meloni avvia la privatizzazione. Dopo mesi di rumors e smentite poco convinte, il Tesoro punta a fare cassa e a raccogliere fondi per i conti pubblici e le spese future. Tra le quote pubbliche date in pasto al piano di privatizzazione ci sono quelle di Eni, Enel, Leonardo, ma anche le già vociferate Poste Italiane e Ferrovie dello Stato. I sindacati lanciano l’allarme: “È la resa del governo Meloni ai poteri forti della finanza” e chiamano la piazza a Roma, Firenze e Napoli contro la privatizzazione di Poste.
Tesoro punta a fare cassa: cosa c’è nel piano di privatizzazioni
Il governo Meloni è tornato a parlare di privatizzazioni da diversi mesi, in maniera più o meno esplicita, con smentite e conferme. Alla fine è arrivata la notizia: il ministero dell’Economia e della Finanza ha venduto (o svenduto a seconda dell’interpretazione) circa 92 milioni di azioni (il 28% del capitale) di Eni. E non solo.
Mentre la quota del gruppo in mano al Mef scende sotto il 2% (dal precedente 4,797%), il controllo del gruppo è assicurato dalla partecipazione di Cassa Depositi e Prestiti (la cui maggioranza fa capo allo stesso Mef con una quota di minoranza delle fondazioni bancarie) che detiene il 28,503%. L’azione su Eni però è solo l’inizio del piano di privatizzazioni. Ora tocca a Poste Italiane. Dopo la mossa su Eni, il nuovo obiettivo di cassa potrebbe coinvolgere, non senza critiche, Poste e Fs.
Quanto vale l’operazione di privatizzazione: i dati
Non si può chiamare “privatizzazione” l’operazione del governo Meloni, almeno secondo il responsabile dell’Economia e della Finanza. A Davos Giancarlo Giorgetti non ha parlato di privatizzazioni, ma di “razionalizzazione del patrimonio delle partecipate”, insomma “fare ordine” e non “fare cassa”. Ma cosa cambia? Il termine non è portatore di grandi successi. La decisione di andare incontro alle privatizzazioni delle aziende pubbliche in passato non ha avuto l’effetto sperato e per molti esperti è stato uno scandalo e un disastro. Da qui la necessità di cambiare il nome all’operazione che vuole fare cassa e raccogliere quasi l’1% del Pil, che corrisponde a circa 20 miliardi di euro (Ansa).
Dopo l’operazione Eni, per un valore di poco meno di 1,4 miliardi, è forse il tempo di Poste Italiane. Questa nuova fase potrebbe portare oltre 5 miliardi di euro in cassa. La lista delle possibili privatizzazioni nei prossimi anni è lunga: Enav, Enel, Poste, Leonardo, Italgas, Terna, Snam, Fincantieri).
Le vendite potrebbero avere risultati diversi, con Montepaschi di Siena per un valore di 3,24 miliardi e 300 milioni di euro per il passaggio di Ita a Lufthansa. Maurizio Gasparri (Forza Italia) ha invece annunciato la cifra poco realistica di 800 miliardi di euro in immobili pubblici di Fs.
Sindacati in piazza contro la (s)vendita: rischio conseguenze sui lavoratori
Il piano di privatizzazioni non è piaciuto ai sindacati, che dopo la notizia hanno chiamato alle piazze per le conseguenze che potrebbero cadere sui dipendenti. Sono previste numerose mobilitazioni nei prossimi giorni, tra Cgil e Cisl che si sono già mossi per Poste e Uil, Cisal e Ugl a Roma, Napoli e Firenze.
Il segretario generale della Cisl Luigi Sbarra ha commentato che c’è il rischio di ridurre l’operazione a un’esigenza di bilancio. “Suggeriamo a Giorgetti dove prendere le risorse: dall’aumento della tassazione sulle grandi rendite immobiliari e finanziarie, da un contributo di solidarietà su extraprofitti delle multinazionali, dagli sprechi della spesa pubblica a un riordino degli incentivi dati a pioggia alle imprese, dal recupero dei fiumi di denaro sottratti da evasione, elusione e corruzione”, commenta. Il “no” alle privatizzazioni è forte ed è richiesta la convocazione al Mef per discutere delle conseguenze e delle soluzioni.