Protesta degli agricoltori, come i prezzi agricoli dipendono dalla finanza

Tra i fattori della crisi degli agricoltori non ci sono soltanto le politiche dell'Ue, ma soprattutto la finanza, che determina i prezzi dei prodotti agricoli

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Claudio Carollo

Giornalista politico-economico

Classe ’88, è giornalista professionista dal 2017. Scrive di attualità economico-politica, cronaca e sport.

Alla base delle proteste degli agricoltori in tutta Europa ci sono le rivendicazioni contro le politiche dell’Unione europea, ma ad avere un peso da non sottovalutare sulle difficoltà dei lavoratori del settore è la finanza. Da Paese a Paese i motivi delle contestazioni sono tra i più disparati, dalle norme sulle importazioni, alla regola del 4 per cento sui terreni incolti, fino al via libera sulla farina di insetti. Come analizza il portale di finanza etica ed economia sostenibile Valori, sulla crisi che sta investendo l’agricoltura nel continente incidono però soprattutto dinamiche che non hanno a che fare con la produzione e l’incontro tra domanda e offerta nel mercato reale, ma piuttosto con quello finanziario, che determina l’instabilità dei prezzi delle derrate agricole.

I prezzi

I prezzi dei prodotti agricoli sono stabiliti nelle grandi Borse merci di riferimento per tutto il globo, in particolare in quelle di Chicago, di Parigi, di Londra e di Mumbai. A farla da padrone in questi istituti privati sono i grandi fondi finanziari, come ad esempio nel mercato mondiale dei derivati del Chicago Mercantile Exchange sono Vanguard, BlackRock, JP. Morgan, State Street Corporation e Capital International Investitors.

Sono proprio questi grandi fondi e quelli specializzati nel settore agricoli a rappresentare i principali operatori della Borsa della metropoli americana, così come a Londra e di Parigi, e non i produttori o i compratori reali (qui abbiamo spiegato perché gli agricoltori protestano).

La stragrande maggioranza degli azionisti sono dunque coloro che non hanno strettamente a che fare con la coltivazione dei prodotti agricoli, ma che giocano in Borsa sull’andamento delle quotazioni, andando a indirizzare l’andamento dei prezzi.

I fondi finanziari

I grandi fondi finanziari, inoltre, sono detentori di quote significative all’interno dei maggiori produttori mondiali nel settore alimentare: tra le prime dieci società per fatturato del comparto, Associated British Foods, Kellogg’s, Mondelez e Pepsico, ad esempio, sono possedute in percentuali rilevanti dai già citati  Vanguard, Black Rock e State Street, che sono proprietari anche dei colossi dei cerali Archer-Daniels Midland e Bunge.

Una rete finanziaria strettamente interconnessa che, come sottolinea Alessandro Volpi sul sito Valori, delinea di monopolio “rispetto al quale ogni altra variabile, persino quella dell’offerta complessiva di beni agricoli, appare decisamente secondaria” (qui abbiamo parlato della protesta degli agricoltori contro il Green Deal, in Europa e in Italia).

Se a questo quadro si aggiunge che negli Usa circa 30 milioni di acri su 900 milioni sono nelle mani di una ristretta cerchia di finanzieri, si può arrivare a capire come i prezzi dei prodotti agricoli siano determinati dagli stessi uomini d’affari che speculano sui titoli nelle Borse merci.

Ultramiliardari come John Malone, Ted Turner, Jeff Bezos e Bill Gates sono proprietari di sconfinati appezzamenti negli Stati Uniti, dove il valore della terra è cresciuto tra il 2021 e il 2022 del 34 per cento.

Un aumento, secondo l’analisi di Volpi, causato dall’innalzamento del prezzo dei cereali, provocato a sua volta dalla speculazione dei derivati sui cereali stessi, praticata spesso dai finanzieri che hanno comprato quei terreni. Un circolo vizioso nel quale finisce in mezzo il piccolo agricoltore, che non riesce più a fare quadrare i conti (qui abbiamo parlato della marcia indietro dell’Ue per aprire al dialogo con gli agricoltori).