Olio d’oliva sempre più caro: prezzi alle stelle, ecco perché

La raccolta di olive e la produzione di olio extravergine subiscono un tracollo mai visto. Non solo in Italia, ma anche in Spagna. Intanto nei supermercati i prezzi raggiungono numeri inediti

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

L’olio d’oliva è sempre più caro. Una tendenza che ormai viene confermata anno dopo anno, ma che soltanto negli ultimi dodici mesi ha registrato un aumento dei prezzi del 37%. Un rincaro record, secondo soltanto a quello dello zucchero, e che non invertirà il trend almeno per i prossimi due anni.

Base della cucina italiana e mediterranea, l’olio alimentare sta conoscendo una crisi inedita. Colpa del drastico calo della produzione e delle scorte, ma anche degli effetti nefasti di inflazione e cambiamento climatico. Ecco cosa sta succedendo e cosa succederà.

Perché l’olio d’oliva costa così tanto

I prezzi dell’olio schizzano alle stelle innanzitutto per la profonda crisi della produzione. L’annata 2022-2023 ha visto una sensibile diminuzione della raccolta e della resa delle olive da spremitura, che in Italia ha raggiunto un minimo del -27%, secondo solo al clamoroso crollo della Spagna: il primo produttore mondiale di olio d’oliva deve infatti fare i conti con un mostruoso -56%. Secondo David Granieri, vicepresidente di Coldiretti e presidente di Unaprol, l’enorme rialzo dei prezzi è spinto proprio dal Paese iberico, che “ha dato fondo a tutto il magazzino disponibile”.

Di norma l’olio spagnolo costava in media tra i 3 e i 5 euro al litro. “Ormai non c’è quasi più differenza con quello di produzione italiana, le quotazioni si aggirano tutte tra gli 8,70 e i 9,50 euro al chilo”, ha sottolineato Granieri. Nei supermercati di Spagna un litro di extravergine è arrivato a costare 10 euro al litro, con stangata pronta per il mercato dell’extravergine: in un anno l’aumento di prezzo ha superato il 227%. Numeri pazzeschi destinati a ripetersi e forse peggiorare, vista l’estrema difficoltà a ricapitalizzare i magazzini (intanto in Italia arriva il primo supermercato senza casse).

Gli effetti del cambiamento climatico

In questo senso sono evidenti anche gli effetti del cambiamento climatico, con ondate di maltempo, di siccità e di “salti di stagione” talmente repentini e profondi da decimare i raccolti di olive. La Spagna ha pagato più di tutti il clima pazzo del 2023, soprattutto per via dell’assenza di precipitazioni e delle temperature record registrate in estate. E se dal Mediterraneo occidentale non arriveranno scorte di olive e olio, dall’altro l’Italia non sembra avere le capacità di sopperire auna situazione di questo tipo.

I dati sono parziali e suscettibili di modifiche, ma il trend appare ormai segnato. In Umbria, ad esempio, questa annata porterà una produzione più che dimezzata. Anche nel cuore d’Italia pesano gli effetti del clima, che hanno provocato grandi problemi soprattutto nel passaggio dal fiore al frutto. In Toscana, invece, le prime stime dei produttori ipotizzano un calo compreso tra il 10% e il 20%.

Qui abbiamo parlato del Patto anti-inflazione: ecco i marchi che hanno abbassato i prezzi.

Scenari apocalittici sull’agricoltura: cosa succederà

Si capisce dunque come contrastare l’impatto dei cambiamenti climatici sull’agricoltura rappresenti “una delle sfide più importanti per il nostro futuro”. Ad affermalo è il Wwf nella sua annuale analisi sugli effetti della crisi climatica sul mercato alimentare, L’effetto del Clima sull’agricoltura nel 2023. Stando ai dati, le rese agricole nazionali sono in continuo calo e a livello globale la produzione dei raccolti potrebbe ridursi fino al 12% entro la metà del secolo. Una percentuale destinata ad aumentare al 25% entro il 2100.

Non solo solo le olive a pagare il prezzo ambientale delle attività umane. L’associazione ambientalista sottolinea infatti come, ad esempio, nel 2023 sia andato perso più della metà del raccolto di ciliegie, pere e miele rispetto all’anno precedente. Per non parlare dell’uva e del vino. “Bisogna ripensare la nostra produzione agroalimentare con una strategia globale e nazionale orientata a sistemi più sostenibili come il biologico, oltre a cambiare le nostre abitudini alimentari”.