“Tutto ciò che è diversità o minoranza fa bene, perché spalanca il modo di pensare il futuro”. La frase racchiude la filosofia di Marina Salamon, imprenditrice, dirigente d’azienda e scrittrice.
Classe 1958 e una prima laurea in Storia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, Marina Salamon è diventata imprenditrice in giovane età fondando Altana, azienda di abbigliamento per bambini. All’inizio degli Anni ’90 ha assunto il controllo della società di ricerche di mercato Doxa (per poi cedere dopo 28 anni la maggioranza a un gruppo di Parigi) e nel 2014 è diventata azionista di maggioranza di Save the Duck, azienda che produce piumini senza utilizzare penne d’oca. Oggi tutte le realtà fanno capo alla holding Alchimia, leader nel settore della compravendita immobiliare.
La politica
Al successo imprenditoriale, la tradatese Marina Salamon ha affiancato l’impegno politico facendo parte della giunta veneziana di Massimo Cacciari. Fra i suoi ruoli, anche quello di consigliere per il Wwf e diversi progetti benefici.
E poi c’è la famiglia: un marito, quattro figli maschi, due ragazze straniere avute in affido e una quantità di cani tutti adottati dai canili. La passione per il sapere, a 60 anni, l’ha portata a prendere una seconda laurea in Teologia a Verona.
Il sociale
Lo scopo dichiarato della sua attività di imprenditrice è quello di unire il business a progetti aziendali volti a contribuire al bene comune, in una sintesi fra logica ed empatia. E il tutto senza navigare a vista: “La realtà va letta in prospettiva, – dice – non a sei mesi, non con i risultati di bilancio di quest’anno e basta. Va analizzata a tre, cinque, dieci anni per non fare del male alle nostre aziende. Perché essere imprenditori non riguarda solo noi stessi, riguarda tutti”.
Tutte le realtà imprenditoriali sono state trasformate in società benefit, che devolvono il 10% degli utili a varie associazioni che si occupano di donne, bambini, natura e animali.
Per Marina Salamon gli affetti sono importanti, ma la guida delle aziende non va tramandata per diritto dinastico, specialmente per i settori chiave che – ritiene – vadano affidati a chi ha talento e preparazione, e non solo il cognome giusto.
L’ingresso nel mondo del lavoro è avvenuto dai rami bassi con il ruolo di commessa in un negozio Coin a Varese, prima di andare a studiare a Londra. Lei, figlia di un dirigente e di una pediatra, faceva la commessa per vivere da vicino il lavoro, cosa che stupiva i compagni di scuola figli della buona borghesia. E da Coin a Varese incontrò Luciano Benetton. La storia d’amore durò 17 anni e per amore Marina Salamon si trasferì a Venezia. Il veneto lo masticava, dal momento che mamma e papà erano istriani e in casa parlavano sempre in veneziano.
Per un attimo, nel 1977, accarezzò l’idea di fare la giornalista: propose al Gazzettino di fare una rubrica culturale, tra arte e cibo. La cosa non andò in porto.
La visione
Il futuro presenta numerose sfide, che vanno affrontate senza patemi. Il caposaldo, ritiene Marina Salamon, deve essere continuare a fare impresa in modo serio, curando la formazione dei dipendenti, rispettando l’ambiente e la centralità dell’essere umano. Le sfide che arriveranno dalla rivoluzione tecnologica, compresa l’intelligenza artificiale, non spaventano: basterà “farne parte con intelligenza, pragmatismo e senso di sinergie. Le battaglie ideologiche non fanno bene a nessuno”, dice Marina Salamon.