Ex Ilva, chi c’è dietro lo scandalo di Acciaierie d’Italia: dati falsi e guadagni milionari

Chi sono gli indagati per lo scandalo dell'ex Ilva e in che modo i presunti dati falsati avrebbero garantito centinaia di milioni di guadagni illeciti

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

La procura di Taranto ha mosso un’accusa dai risvolti enormi nei confronti di Acciaierie d’Italia che, nel corso della gestione di ArcelorMittal, sotto la guida dell’ex ad Lucia Morselli, avrebbe falsificato i dati delle emissioni di Co2. L’obiettivo? Ottenere ulteriori vantaggi nell’assegnazione delle quote di emissione gratuite.

Dieci i soggetti indagati per il reato di truffa in danno dello Stato, tra i quali ex amministratori, dipendenti, procuratori e collaboratori pro tempore. Sono state disposte perquisizioni nei confronti dell’ex ad Morselli, del suo segretario Carlo Kruger, della consulente Sabina Zani, dei direttori dello stabilimento Vincenzo Dimastromatteo e Alessandro Labile, dei procuratori speciali di Adi Francesco Alterio, Adolfo Buffo e Paolo Fietta, del procuratore Adi Antonio Mura e del dipendente Felice Sassi.

Quote di emissione gratuite: il guadagno dell’ex Ilva

L’indagine si concentra sul presunto uso fatto del sistema europeo di scambio di quote di emissione. Si tratta dello strumento adottato dall’Unione Europea per tentare di ridurre le emissioni di gas a effetto serra in quegli ambiti energivori.

Il sistema fissa un tetto massimo al livello di emissioni consentite ai soggetti vincolati. Dure le critiche in materia e in passato si è parlato di un sistema che prevede “permessi di inquinare”. L’Italia ha assegnato il tutto gratuitamente, al fine di consentire il continuo della produzione nel nostro Paese.

Nel pratico, infatti, le aziende più inquinanti ricevono da anni quote di emissione a costo zero, sfruttate per evitare il rischio di delocalizzazione. Una scelta politica che ha conseguenze non soltanto ambientali. Si è generato un sistema che prevede la rivendita sul mercato di quei crediti o lo scarico dei valori sui clienti finali, garantendo un profitto.

Entro il limite stabilito, dunque, il sistema permette ai partecipanti di acquistare e vendere diritti a emettere quote di Co2. Sul finire del 2019 la Ong internazionale Carbon market watch aveva lanciato una dura accusa nei confronti dell’ex Ilva e, dunque, del colosso ArcelorMittal. Oggi il tutto diventa tremendamente attuale, a distanza di quasi cinque anni.

Si parlava di profitti ottenuti tramite la vendita delle quote di emissione Co2. Ecco le parole della policy officer dela Ong, Agnese Ruggiero: “Le quote vengono vendute sul mercato Ets, nato nel 2005. L’Ue aveva deciso di dare un incentivo a inquinare di meno, stabilendo un tetto massimo di emissioni e il conseguente scambio di quote. I ‘permessi di inquinare’, quando eccedono perché magari la produzione si è ridotta, possono infatti essere rivenduti su determinate piattaforme online”.

Ecco spiegata, dunque, la possibilità di guadagno immediato che sarebbe scaturita, secondo l’accusa, dalla presunta falsificazione dei dati.

Le parole di Lucia Morselli

La ricostruzione dei magistrati tarantini sottolinea come l’ex ad Lucia Morselli abbia ammesso che i dati erano stati alterati. Il tutto è avvenuto in una conversazione intercettata con la direttrice dei servizi informativi di Acciaierie d’Italia, Alessandra De Carlo che, è necessario sottolinearlo, non risulta tra gli indagati.

Morselli spiega d’aver trovato “metà dei consumi”, e che questi “sono manipolati per poter avere le quote di CO2. (…) Sono finti. (…) Apposta”. Nel dettaglio Acciaierie d’Italia avrebbe comunicato un numero di quote pari a 4,7 milioni di tonnellate, ben inferiore rispetto a quanto emesso nel corso del 2022. Il risultato? 6,5 milioni di tonnellate di quote gratuite per il 2023. Ciò tradotto in 517 milioni di euro.

Ex Ilva, chi c’è dietro

A giugno 2017 l’allora ministro Carlo Calenda ha firmato il decreto di assegnazione ad ArcelorMittal, senza però riuscire a convincere i sindacati a firmare l’intesa con gli acquirenti. Intesa raggiunta nel 2018, con l’allora ministro Luigi Di Maio, in seguito alla presentazione dell’integrazione del piano industriale da parte della società. Ipotesi di accordo sulla cessione firmata a settembre e assunzioni al via dall’1 novembre.

Nel 2019 la cancellazione dello scudo penale però stravolte gli equilibri. ArcelorMittal ha così depositato l’atto di citazione per recedere dal contratto di affitto e successivo acquisto dell’Ilva. Ha così inizio una causa contro la società, accusata di voler “scappare” dall’Italia. Nel 2020 è stato firmato un accordo tra i commissari Ilva e il gruppo, al fine di indirizzarsi verso una nuova intesa sulla governance. Il risultato? Lo Stato ha così rimesso piede nell’Ilva, ottenendo una quota di minoranza tramite Invitalia (agenzia per gli investimenti sotto il controllo del ministero dell’Economia).

Nel dettaglio, 38% del capitale sociale a Invitalia e il restante 62% ad ArcelorMittal. Ecco la nascita di Acciaierie d’Italia. Al di là degli accordi ipotetici sull’acquisizione degli impianti e la ricapitalizzazione, di fatto il futuro dell’ex Ilva non è mai stato delineato con serenità. Numerosi gli scontri, che hanno portato infine Invitalia a richiedere l’amministrazione straordinaria a febbraio 2024, indirizzandosi verso una insperata e disperata ricerca di nuovi investitori.