Rapporto Bes 2024, migliora il benessere degli italiani: reddito medio 33.798 euro

Gli ultimi dati Istat disponibili evidenziano che nel 2021 il reddito medio delle famiglie è tornato a crescere sia in termini nominali sia in termini reali

Foto di Miriam Carraretto

Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Nel 2023, il reddito disponibile lordo pro-capite è aumentato rispetto al 2019, superando i livelli pre-pandemia. Gli ultimi dati disponibili evidenziano che nel 2021 il reddito medio delle famiglie è tornato a crescere sia in termini nominali  sia in termini reali. Migliora anche l’indice di disuguaglianza del reddito netto, mentre rimane sostanzialmente stabile rispetto ai tre anni precedenti la popolazione a rischio di povertà.

Questa la nuova fotografia scattata dall’Istat nell’undicesima edizione del Bes-Rapporto sul Benessere equo e sostenibile. Il Rapporto 2024 analizza 12 diversi macro-settori: Salute; Istruzione e formazione; Lavoro e conciliazione dei tempi di vita; Benessere economico; Relazioni sociali; Politica e istituzioni; Sicurezza; Benessere soggettivo; Paesaggio e patrimonio culturale; Ambiente; Innovazione, ricerca e creatività; Qualità dei servizi.

Vediamo cosa emerge rispetto al Benessere economico.

L’economia italiana nel 2023

Secondo il Rapporto Bes 2024 dell’Istat, nel 2023, l’economia italiana ha registrato una crescita dello 0,9%, in diminuzione rispetto al 2022 del 4%. La crescita è stata principalmente sostenuta dalla domanda nazionale, con consumi e investimenti in egual misura. Dal lato dell’offerta di beni e servizi, il valore aggiunto ha portato un aumento nel settore delle costruzioni e in molti comparti del terziario, mentre ha subìto una contrazione in agricoltura e nel complesso delle attività estrattive, manifatturiere e nell’industria in generale.

Il quadro ci dice che, di base, le cose in Italia sono migliorate rispetto all’anno precedente e, in alcuni casi, anche rispetto al 2019. Unica eccezione l’indicatore di povertà assoluta, che peggiora rispetto alla situazione pre-pandemia, anche se che resta sostanzialmente stabile tra il 2022 e il 2023. La causa è sostanzialmente l’inflazione, che ha generato una perdita importante del potere d’acquisto delle famiglie.

I dati sul reddito

Nel 2023, il reddito disponibile lordo pro-capite (cioè il rapporto tra il reddito disponibile lordo delle famiglie consumatrici e il numero totale di persone residenti) è aumentato del 14,9% rispetto al 2019, superando i livelli pre-pandemia. Gli ultimi dati disponibili evidenziano che nel 2021 il reddito medio delle famiglie, pari a 33.798 euro, è tornato a crescere sia in termini nominali (+3%) sia in termini reali (+1%).

Migliora anche l’indice di disuguaglianza del reddito netto (cioè il rapporto tra il reddito equivalente totale ricevuto dal 20% della popolazione con il più alto reddito e quello ricevuto dal 20% della popolazione con il più basso reddito), che ha un valore di 5,6, in diminuzione rispetto all’anno precedente (era 5,9 nel 2020) e lievemente inferiore al periodo pre-Covid, quando era pari a 5,7. Rimane sostanzialmente stabile rispetto ai tre anni precedenti la popolazione a rischio di povertà, pari al 20,1% nel 2022.

Nel primo trimestre 2023 il reddito disponibile lordo delle famiglie è aumentato del 2,2% in termini nominali e del 2,1% in termini reali, risentendo solo in misura marginale dell’aumento dei prezzi, mentre la spesa per consumi finali è cresciuta, in termini nominali dell’1,0%. La propensione al risparmio delle famiglie ha segnato il primo aumento dell’1,1% rispetto al trimestre precedente, dopo diversi trimestri di diminuzione, fissandosi al 6,4%.

Nel secondo trimestre il reddito è diminuito dello 0,5% rispetto al trimestre precedente, mentre i consumi sono cresciuti dello 0,3%. L’aumento della spesa per consumi finali si riflette in una flessione della propensione al risparmio che, già da diversi trimestri sotto i livelli pre-Covid, è scesa dello 0,7% rispetto al trimestre precedente, attestandosi al 5,7%.

Nel terzo trimestre, il reddito è aumentato dell’1,7% rispetto al trimestre precedente, mentre i consumi sono cresciuti dell’1,3%. Il potere d’acquisto delle famiglie, dopo la brusca caduta del quarto trimestre 2022, prosegue la ripresa, aumentando dell’1,1% rispetto al trimestre precedente. La ripresa, iniziata nel primo trimestre 2023, era stata interrotta dalla lieve flessione del trimestre successivo. Simile anche l’andamento della propensione al risparmio, pari al 6,1%, in aumento di 0,4 punti percentuali rispetto al trimestre precedente.

Il quarto trimestre del 2023 è quello della svolta, perché si interrompe finalmente la lunga sequenza di variazioni negative della propensione al risparmio, ben 10, attestandosi al 7%. Il potere d’acquisto è diminuito dello 0,5% rispetto al trimestre precedente, registrando tuttavia il primo segno positivo in termini tendenziali dal primo trimestre del 2022. Sia la propensione al risparmio sia il potere d’acquisto si mantengono tuttavia significativamente al di sotto dei livelli pre-Covid.

I dati sulla condizione di grave deprivazione

Con la ripresa dell’economia dopo la forte contrazione del 2020, si riduce significativamente la popolazione in condizione di grave deprivazione materiale e sociale.

Per grave deprivazione materiale e sociale si intende la percentuale di persone in famiglie che presentano almeno 7 di queste 13 condizioni: non poter sostenere spese impreviste; non potersi permettere una settimana di vacanza all’anno lontano da casa; essere in arretrato nel pagamento di bollette, affitto, mutuo o altro tipo di prestito; non potersi permettere un pasto adeguato almeno una volta ogni due giorni, cioè con proteine della carne, del pesce o equivalente vegetariano; non poter riscaldare adeguatamente l’abitazione; non potersi permettere un’auto; non poter sostituire mobili danneggiati o fuori uso con altri in buono stato; non potersi permettere una connessione internet utilizzabile a casa; non poter sostituire vestiti vecchi con nuovi; non potersi permettere due paia di scarpe in buone condizioni per tutti i giorni; non potersi permettere di spendere quasi tutte le settimane una piccola somma di denaro per le proprie esigenze personali; non potersi permettere di svolgere regolarmente attività di svago fuori casa a pagamento; e infine di incontrare familiari o amici per bere o mangiare insieme almeno una volta al mese.

Nel 2022 in Italia si trovano in condizione di deprivazione materiale e sociale il 4,5% degli individui, a fronte di una media europea di 6,7%.

Tra i Paesi dell’Unione Europea, la Romania (24,3%) e la Bulgaria (18,7%) registrano i valori più elevati dell’indicatore, distanziandosi parecchio dagli altri Paesi. Segue la Grecia, che si attesta a circa il 14%. Virtuose invece Slovenia e Finlandia, dove la quota di persone che vivono in una condizione di deprivazione materiale e sociale è molto bassa, addirittura sotto il 2%.

Scende anche il numero di persone che vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro (percentuale di persone che vivono in famiglie per le quali il rapporto tra il numero totale di mesi lavorati dai componenti della famiglia e il numero totale di mesi teoricamente disponibili per attività lavorative è inferiore a 0,20): 9,8% rispetto al 10,8% del 2021.

E si contrae anche il numero di quelle in condizione di grave deprivazione abitativa (percentuale di persone che vivono in abitazioni sovraffollate e che hanno problemi strutturali dell’abitazione, oppure non hanno bagno o doccia con acqua corrente, che hanno problemi di luminosità: il dato si attesta su livelli solo lievemente superiori a quelli registrati in pre-pandemia (5,2% rispetto a 5,9% del 2021 e a 5,0% nel 2019).

Rispetto agli anni precedenti, diminuisce anche l’indicatore di sovraccarico del costo dell’abitazione (percentuale di persone che vivono in famiglie dove il costo totale dell’abitazione in cui si vive rappresenta più del 40% del reddito familiare netto), che risulta difficilmente sostenibile per il 6,6% della popolazione (era 7,2% nel 2021 e 8,7% nel 2019).

Il dato Istat più evidente contenuto nel Bes 2024 è che, in assenza di misure di sostegno alle famiglie, come aiuti dati durante la fase di emergenza e pandemia Covid e il Reddito di cittadinanza, l’indice di disuguaglianza sarebbe risultato pari a 6,4, valore molto superiore a quello osservato.

I dati sulla povertà assoluta

Il dato sulla povertà assoluta invece non restituisce lo stesso timido ottimismo. Il valore infatti sale dal 7,6% del 2019. Questo dato era in flessione rispetto al 2018 per effetto, in larga parte, dell’introduzione del Reddito di cittadinanza, di cui – ricorda l’Istat – a partire dal secondo trimestre del 2019 avevano beneficiato circa 1 milione di famiglie.

Nel 2020 la povertà assoluta è schizzata al 9,1%, mantenendosi stabile nel 2021. Oltre che la crisi economica, hanno inciso i calo dei consumi e i comportamenti di spesa delle famiglie nei mesi più difficili della pandemia.

Nel 2022 l’incidenza è tornata a crescere arrivando al 9,7%, in larga misura a causa della forte accelerazione dell’inflazione che ha colpito in maniera più dura le famiglie meno abbienti. Le spese di queste ultime non sono riuscite, infatti, a tenere il passo con l’aumento dei prezzi, incluso quello dei beni e servizi essenziali considerati nel paniere della povertà assoluta. Nel 2023, secondo le stime preliminari, l’incidenza individuale rimane sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente, al 9,8%.

La perdita di potere d’acquisto negli ultimi 5 anni

Il potere d’acquisto degli italiani negli ultimi 5 anni ha subito un tracollo. Dopo un periodo caratterizzato da una bassa inflazione, con una variazione media annua pari a +0,6% nel 2019 e addirittura negativa nel 2020, i prezzi hanno subito un’impennata brusca nel 2021 e poi nel 2022. Nel 2022, infatti, i prezzi al consumo hanno registrato un aumento in media d’anno dell’8,1%, segnando l’incremento più ampio dal 1985, quando fu +9,2%, con un picco nel quarto trimestre pari a +11,7%.

Nel 2023 invece le spinte sui prezzi sono state abbastanza contenute. Nel corso dell’anno l’inflazione è rapidamente scesa, fino a raggiungere a dicembre lo 0,6%. Nei primi due mesi del 2024 il tasso di variazione tendenziale dei prezzi rimane su valori molto moderati, inferiori persino all’1%.

Ma questo rallentamento non ha permesso di recuperare i danni del periodo precedente. Dal 2019 al 2023 il livello medio dell’indice dei prezzi al consumo (Nic) segna un aumento del 16,2%, con notevoli differenze tra le varie divisioni di spesa. La variazione più ampia, quasi il triplo di quella registrata per l’indice generale, è quella relativa a “Abitazione, acqua, elettricità, gas e altri combustibili”, con un aumento del 45%, soprattutto per via della stangata dei prezzi dei beni energetici dovuti alla guerra in Ucraina.

Nettamente al di sopra dell’indice generale anche i Prodotti alimentari e bevande analcoliche, con un incremento del 22,5%; seguono i Trasporti e i Servizi ricettivi e di ristorazione (+16,5% e +16,3% rispettivamente). Il resto dei settori del paniere mostra variazioni medie via via più contenute, fino ad arrivare alla divisione delle Comunicazioni, che registra una flessione dei prezzi del 10,1%.

Le differenze territoriali

Andando a spulciare la mappa delle differenze territoriali, si nota una forte disparità tra le città. In particolare, sulla scia di una lunghissima storicità, si sta meglio al Nord e al Centro rispetto al Sud. L’unica eccezione è rappresentata dalla Basilicata, dove solo il 21,4% dichiara di aver visto peggiorare la propria situazione economica rispetto all’anno precedente, contro il 33,9% della media nazionale.

La situazione migliore la troviamo in Emilia-Romagna. La differenza rispetto alle altre regioni è più marcata rispetto all’indicatore della difficoltà di arrivare a fine mese.  Solo l’1,4% delle persone residenti in Emilia-Romagna ha questo problema, contro il 24,3% di quelle residenti in Campania. Il dato medio italiano è pari a 6,9%. Le regioni del Mezzogiorno, invece, pur con qualche eccezione, quasi sempre sono messe peggio. Il fanalino di coda è rappresentato proprio dalla Campania.