E’ allarme rosso per le difficoltà dei valichi alpini, che rappresentano l’ossigeno di un Paese come l’Italia, in cui oltre l’80% delle merci si muove su gomma. La chiusura del tunnel del Monte Bianco per 4 mesi, per lavori di manutenzione programmati, unita alle interruzioni delle linee ferroviarie del Brennero e del Frejus ed alle già note difficoltà del Gottardo, preannuncia un vero e proprio disastro economico, che mette a rischio anche il nostro interscambio con l’estero.
E mentre si tenta di riavviare la circolazione al Brennero, interrotta da una frana, si fa avanti l’ipotesi di uno slittamento dei lavori di manutenzione sul tunnel del Monte Bianco, che avrebbero dovuto prendere il via il prossimo 4 settembre. Da qui passano infatti 4.600 camion al giorno e l’impatto sulle consegne delle merci sarebbe notevole.
“Quella dei valichi alpini non può più essere considerata un’emergenza per il nostro Paese ma una vera e propria criticità cronica. Infatti, agli effetti dei sempre più frequenti eventi meteorologici estremi sulla rete dei trasporti si aggiungono anche gli impatti derivanti dalle strutturali debolezze del sistema dei trasporti in quest’area transfrontaliera”, sottolinea Confcommercio, sollecitandola realizzazione di una seconda canna ed “una gestione coordinata delle politiche di regolazione dei traffici e degli interventi di manutenzione dei valichi”.
Gli albergatori valdostani: si rischia il disastro
La notizia della chiusura del tunnel del Monte Bianco per 18 settimane ha già esso in allarme il settore del turismo. “Anche solo l’ipotesi di un avvio della prossima stagione turistica invernale con il Tunnel del Monte Bianco chiuso sarebbe un vero e proprio disastro”, sottolinea Luigi Fosson, presidente di Federalberghi, esprimendo “una seria e crescente preoccupazione” per l’impatto della chiusura.
“Tutte le attività da Aosta a Courmayeur sono direttamente colpite – spiega Fosson – parliamo del 30-40% del sistema ricettivo valdostano. Qui in molti hanno deciso di chiudere in questo periodo, perché senza il traforo tenere aperto vorrebbe dire non pagarsi le spese”.
L’allarme di Confindustria
Confindustria ha provato a quantificare l’impatto economico complessivo della chiusura dl valico alpino. Secondo l’Osservatorio territoriale delle infrastrutture, lo stop al traffico avrebbe un impatto negativo sul PIL della Val d’Aosta stimabile nel 9,8%.
A pagare le conseguenze degli effetti economici però sarebbe tutto il Nord Ovest, che accuserebbe un calo del PIL del 5,4% ed un impatto negativo concentrato sul sistema logistico e sul turismo.
L’impatto sul settore agroalimentare
Allarme anche sul versante alimentare. Coldiretti ricorda che quasi i due terzi (63%) delle esportazioni agroalimentari italiane interessano i Paesi dell’Unione Europea, che vengono raggiunti principalmente attraverso i valichi alpini con l’88% delle merci che in Italia viaggia infatti su gomma. Una situazione – sottolinea – che mette a rischio il record delle vendite made in Italy che ha raggiunto i 60,7 miliardi nel 2022.
Il caos dei trasporti ai valichi di frontiera mette a rischio soprattutto le merci deperibili – dalla frutta alla verdura, dai formaggi ai prosciutti – che per la loro corretta conservazione non possono affrontare un allungamento dei tempi di trasporto e per le quali c’è una situazione di forte concorrenza estera.
“La chiusura di questi collegamenti fondamentali con i nostri principali mercati di esportazione rischia di tagliare il nostro export e di avvantaggiare altri paesi come la Spagna”, rincara Filiera Italia, , ricordando che “ogni anno passano per l’arco alpino italiano oltre 170 milioni di tonnellate di merci, il 60% di quanto il Paese importa ed esporta, da e verso il resto del mondo”.
“Non si può continuare a puntare su un asset così fondamentale per l’economia del paese senza investire adeguatamente in infrastrutture logistiche”, afferma Luigi Scordamaglia, numero uno di Filiera Italia, che aggiunge “la necessità è di cambiare paradigma” e fare buon uso degli investimenti del PNRR destinati alla logistica, che puntano “a ridurre il costo ad oggi più alto in Europa, quello del trasporto pesante pari a 1,12 euro a km. Essenziale anche che questi investimenti vengano esclusi dal conteggio del debito pubblico nel prossimo patto di stabilità UE”.