Strage Mottarone, la perizia non lascia dubbi: l’analisi

L'esito della perizia non lascia dubbi sulla tragedia del maggio 2021: l'incidente poteva essere evitato con maggiori controlli all'impianto

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Luca Bucceri

Giornalista economico-sportivo

Giornalista pubblicista esperto di sport e politica, scrive di cronaca, economia ed attualità. Collabora con diverse testate giornalistiche e redazioni editoriali.

La strage del Mottarone, il grave incidente sulla funivia Stresa-Alpino-Mottarone avvenuta il 23 maggio 2021, poteva essere evitata. A oltre un anno di distanza dalla tragedia che ha ucciso 14 dei 15 passeggeri a bordo della cabina caduta a pochi passi dall’arrivo in stazione è infatti arrivato l’esito della maxi perizia degli ingegneri incaricati a far luce su quanto successo quel giorno e sul perché degli avvenimenti drammatici.

Il risultato, depositato nelle scorse ore in tribunale a Verbania, fa emergere un quadro sì tragico, ma soprattutto di negligenza per un impianto che nel periodo antecedente all’incidente non era stato controllato come doveva, lasciando quindi in funzione una funivia che era già usurata.

Mottarone, l’esito della perizia

Secondo quanto rilevato dagli ingegneri incaricati a stilare la perizia sulla funivia Stresa-Alpino-Mottarone protagonista della strage del 2021, la fune che ha ceduto provocando il crollo della cabina era già corrosa. Infatti i periti hanno sottolineato come “in corrispondenza del punto di rottura il 68% circa dei fili presenta superfici di frattura che testimoniano una rottura (…) a fatica/corrosione dei fili ragionevolmente antecedente la precipitazione del 23 maggio 2021″. Il documento, depositato in tribunale, ha inoltre fatto luce su una delle possibili cause dell’incidente mortale.

“La causa della precipitazione della cabina numero 3 della funivia è stata la presenza di esclusori del sistema frenante di emergenza (“forchettoni”, ndr) inseriti dal personale di servizio della funivia”. Ma questo era già noto, era stato già ammesso pochi giorni dopo la tragedia da uno degli indagati, Gabriele Tadini, che però aveva definito la possibilità che la fune si rompesse una eventualità “impossibile”. Eppure l’impossibile è diventata realtà, con la cabina numero 3 precipitata nel vuoto dopo un volo di diversi metri e, rotolata tra gli alberi, non ha lasciato scampo a 14 dei 15 passeggeri a bordo.

I periti hanno anche dimostrato che, in base alle immagini dei sistemi di videosorveglianza, tra l’8 e il 23 maggio 2021 la cabina precipitata ha viaggiato nel 100% delle corse con i “forchettoni” infilati. La cabina numero 4, nello stesso periodo di tempo, li aveva inseriti nel 68% dei viaggi. Significa 329 viaggi per la cabina numero 3, 223 per l’altra. Prima dell’8 maggio non si hanno dati sui forchettoni in quanto il sistema di videosorveglianza non le ha in memoria e la scatola nera è “cieca”. Dalle analisi, infatti, è emerso che dalla scatola nera durante “le attività di assistenza tecnica” sono stati cancellati i dati precedenti il 6 ottobre 2020, dei quali non è  stato effettuato un backup.

Il dolore dopo la strage

Nelle ore successive ai risultati della perizia depositata in tribunale, la sindaca di Stresa Marcella Severino ha puntato il dito contro gli indagati per la strage: “Mi attendo quello che ci attendiamo dal primo giorno, che venga fatta quella tanto agognata giustizia nel rispetto di chi ci ha lasciato la vita e che si faccia, come abbiamo sempre detto, in fretta”.

Non accusa nessuno, ma è amareggiato Luca Nania, zio di Alessandro Merlo, una delle 14 vittime della strage della funivia del Mottarone con la fidanzata Silvia Malnati: “Quello che a me fa male è la volontà di far girare una cosa come quella lì con su 15 persone, e solo per fortuna non di più, nonostante le condizioni per guadagnare o per altri interessi, non so, allora hanno disattivato pure i freni, questo fa male. La giustizia farà comunque il suo corso per valutare le responsabilità”.

Come detto nell’incidente, morirono in 14: una famiglia di origine israeliana di 5 persone (padre, madre, un figlio e due bisnonni) e 9 italiani. L’unico sopravvissuto è stato Eitan Biran (5 anni), che era il figlio maggiore della giovane coppia israeliana deceduta che viveva da anni a Pavia. Una strage che, come sottolineato dagli esperti, poteva essere evitata come quella dell’alluvione nelle Marche.