Vi ricordate quando in piena pandemia si parlò della necessità di abbattere milioni di visoni in Danimarca perché gli allevamenti intensivi si erano trasformati in veri e propri focolai (ne avevamo parlato approfonditamente qui)? Ecco, proprio per questo motivo, in Italia, il ministro della Salute Roberto Speranza aveva emanato un’ordinanza a febbraio 2021 con la quale stabiliva la sospensione degli allevamenti di visoni fino al 31 dicembre 2021.
Ripartono gli allevamenti di visoni: quando scade l’ordinanza di Speranza
Per la prima volta in Italia era stata così boccata la fase degli accoppiamenti dei visoni, prevista nel mese di marzo, che tra aprile e maggio avrebbe portato alla nascita di circa 35mila cuccioli. Cuccioli che, dopo essere rimasti chiusi in gabbie soffocanti per 8-9 mesi, sarebbero come sempre stati uccisi per poter sfruttare le loro pelli sul mercato delle pellicce.
L’ordinanza di Speranza era stata evidentemente salutata con grande favore da parte delle associazioni animaliste, che da anni si battono contro l’uccisione di milioni di animali. Ma ora, avvicinandosi la scadenza della disposizione, si rischia di tornare a questa pratica barbara.
Si pensi a un dato su tutti: in natura i visoni sarebbero animali solitari, motivo per cui la convivenza forzata è ancora più grave, per di più in gabbie minuscole di appena 35X70 cm e 45 cm di altezza.
Cosa si sta facendo in Europa
Nel 2009 il settore europeo della pellicceria ha avviato il programma WelFur, un sistema volontario di valutazione del benessere animale basato su indicatori scientifici e sui principi del progetto Welfare Quality della Commissione Europea. Dal 2017 WelFur è un programma seguito in tutti gli allevamenti di animali da pelliccia europei associati a Fur Europe, la Federazione europea della pellicceria.
La buona notizia è che sempre più Paesi hanno detto addio all’allevamento di animali da pelliccia: Regno Unito e Svizzera sono stati tra i primi in Europa, già nel 2000, poi è arrivata l’Austria nel 2004, poi ancora Slovenia (2013), Macedonia (2014), Croazia (2017), Lussemburgo (2018), Repubblica Ceca e Serbia (2019), Olanda (2021) e infine anche la Germania (2022).
A breve si uniranno anche allo stop Belgio (2023), Norvegia (2025), Francia (2026) e Bosnia (2029). L’Ungheria non ha mai avuto allevamenti di visoni ma ha ne comunque vietato l’importazione contro la possibile delocalizzazione di allevamenti da altri Paesi.
Gli allevamenti di visoni in Italia: quanti sono e dove
E l’Italia? Com’è la situazione da noi? Secondo i dati 2020 forniti dalla LAV, tra Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Abruzzo, vengono allevati ogni anno oltre 60mila visoni. Le strutture ancora attive nel nostro Paese sono 5: qui, dopo una vita di privazioni, i visoni trovano una morte lenta e dolorosa, perché vengono uccisi con il monossido o con il biossido di carbonio in speciali camere a gas.
Se da una parte interrompere gli allevamenti di questi animali significa evitargli atroci sofferenze, e quindi compiere una scelta etica importante, dall’altra significa anche infliggere un durissimo colpo a un’industria più che mai fiorente: quella delle pellicce.
Quanto vale il mercato delle pellicce
Tra il 2010 e il 2017 il più grande Paese produttore mondiale di pelli è stata la Cina, ma nel 2020 ha rappresentato solo il 15% circa della produzione mondiale. Cos’è cambiato? Che il mercato della moda di lusso è cresciuta esponenzialmente nel Paese, trasformandolo da produttore di materie prime a consumatore di prodotti finali.
Ma quanto vale il business delle pellicce, di cui i visoni sono massima espressione? Una ricerca dell’Università di Copenaghen pubblicata a maggio 2021 dal titolo “Global Fur Retail Value” rivela che a livello mondiale la vendita al dettaglio di pellicce vale oggi 20,1 miliardi di dollari, cioè oltre 17 miliardi di euro.
In Europa il mercato delle pellicce vale 4,8 miliardi di dollari (circa 4 miliardi di euro). Lo studio stima anche che il mercato internazionale di capi in pelliccia abbia raggiunto il suo valore più alto di sempre nel 2019, nonostante i prezzi bassi delle pelli, a dimostrazione di un mercato attivo e vivace.
E incredibile ma vero, si è registrato un forte rimbalzo proprio in pandemia: per quanto possa sembrare paradossale, le vendite delle pellicce in pieno lockdown non si sono fermate. Anzi, hanno fatto registrare una impennata. Grazie, soprattutto, a una spinta vigorosa sull’e-commerce.
Secondo l’AIP-Associazione Italiana Pellicceria, nonostante l’abbattimento dei visoni ordinato dal governo danese, i risultati rivelano anche una forte resilienza del settore: si stima che la chiusura degli allevamenti danesi di visoni non abbia avuto alcun effetto sulle vendite al dettaglio di pellicce nel 2020.
Quanto inquinano gli allevamenti intensivi di visoni
Quando si parla di pellicce, e di visoni soprattutto, non si può trascurare un aspetto ormai diventato pregnante per moltissimi consumatori: produrre 1 kg di pelliccia di visone causa un impatto ambientale molto maggiore rispetto alla stessa quantità di cotone, acrilico, poliestere. 1 kg di pelliccia di visone ha un impatto sul cambiamento climatico 14 volte superiore a quello del pile.
Nelle varie fasi del processo di lavorazione della pelliccia animale, quella con il maggiore impatto ambientale risulta essere proprio l’allevamento dei visoni. Perché sono necessarie 11,4 pelli di visone per produrre 1kg di pelliccia, quindi più di 11 animali. Considerato che un singolo visone necessita di circa 50 kg di cibo durante la sua breve vita, occorrono ben 563 kg di cibo per la produzione di 1 solo kg di pelliccia.
Rischio pellicce tossiche: cosa è stato scoperto
Non solo. Molte pellicce, dati alla mano, sarebbero anche tossiche. Test ecotossicologici hanno dimostrato la presenza di sostanze tossiche e cancerogene negli inserti di pelliccia. Con le sue indagini “Toxic Fur”, la LAV ha verificato se le sostanze chimiche che sono abitualmente impiegate per la concia e il trattamento delle pellicce sono poi presenti anche sul prodotto finito immesso sul mercato.
Purtroppo, sono state trovate tracce nelle componenti in pelliccia animale, anche in capi di abbigliamento per bambini, di cancerogeni e allergenici come naftalene, cromo esavalente, formaldeide e cromo trivalente assorbile dalla pelle sono alcune delle sostanze trovate
A seguito della prima indagine Toxic Fur il Ministero della Salute aveva disposto il ritiro dal mercato dei prodotti segnalati di note marche di abbigliamento per bambini e un obbligo di informativa ai consumatori, per un prodotto di un noto marchio di alta moda.
“Dalla tossicità per l’uomo all’impoverimento dello strato di ozono, tutti questi fattori ambientali si uniscono in un effetto disastroso” denuncia la LAV: la pelliccia è risultata avere impatti da 2 a 28 volte superiori rispetto a prodotti tessili, anche sintetici, e alternativi.
Verso una moda sempre più etica e sostenibile
Un segnale dalle grandi case di moda però finalmente c’è stato. Ha fatto scalpore settembre il Gruppo Kering, la holding francese proprietaria di marchi come Gucci, Saint Laurent, Bottega Veneta, Balenciaga, Alexander McQueen, Brioni e altri), che ha annunciato la decisione di smettere di usare pellicce animali: a partire dalle collezioni Autunno 2022 nessuna delle maison del gruppo utilizzerà più pelliccia animale.
A livello internazionale esiste già il Fur-Free Program, uno standard che permette di acquistare più facilmente abbigliamento senza pelliccia, informando i consumatori sulla politica adottata da ciascuna azienda di moda (qui trovate l’elenco delle aziende fur-free).
In Italia, le aziende che intendono intraprendere un percorso di graduale dismissione di materiali animali e vogliono abbracciare la moda etica (qui i dati in Italia di questo business) possono partecipare al progetto LAV Animal Free Fashion (per saperne di più sul perché dire basta vi rimandiamo qui).