Le accuse di Yolanda Diaz a Giorgia Meloni

Le accuse di Yolanda Díaz, vicepremier e ministra del Lavoro nel Governo spagnolo di Pedro Sánchez, rivolte al governo italiano di Giorgia Meloni

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Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

Yolanda Díaz, Vicepremier e Ministra del Lavoro nel Governo spagnolo di Pedro Sánchez, ha accusato il governo italiano e la premier Giorgia Meloni durante un suo intervento in Parlamento. Rivolgendosi al partito di estrema destra Vox, in vista delle prossime elezioni in Spagna, ha tirato in ballo anche gli ultimi provvedimenti approvati in Italia.

Yolanda Diaz attacca Giorgia Meloni e il governo Italiano

Senza giri di parole, diretta e rivolgendosi agli ultraconservatori di Vox, il partito politico spagnolo di estrema destra, Yolanda Diaz ha accusato questi ultimi di volersi ispirare al governo italiano, responsabile – a detta della ministra – di star promuovendo “contratti spazzatura” e riforme “contro i lavoratori”.

“Con il decreto Lavoro Giorgia Meloni ha mostrato di voler governare contro i lavoratori”, ha dichiarato durante un suo intervento in Parlamento.

“Il suo programma di Governo – ha poi aggiunto la stessa rivolgendosi a un rappresentante di Vox – il programma nascosto parla di limitare il diritto di sciopero, la contrattazione collettiva, la privatizzazione delle pensioni e il ritorno ai contratti spazzatura. Sa con chi coincide questo programma? Con la ‘signora’ Meloni, che ha fatto il primo di maggio un’apparizione pubblica in Italia. Sa per quale motivo? Per promuovere un decreto per governare contro i lavoratori e le lavoratrici in Italia e tornare ingiustamente al modello dei contratti spazzatura”.

La replica di Giorgia Meloni a Yolanda Diaz

Interpellata sulla questione, durante una visita a Praga, Giorgia Meloni ha risposto a chi le chiedeva di commentare l’intervento di Yolanda Diaz affermando che la ministra “sembra sapere poco della situazione” e aggiungendo poi che l’Italia ha un numero record di “contratti stabili”.

Più diretto è stato invece su Twitter il ministro Tajani, che ha accusato Díaz di “interferire nella vita pubblica italiana dando giudizi inaccettabili sulle scelte del governo”.

“Le difficoltà elettorali del suo partito non giustificano gli insulti a un partner e alleato europeo. Non è questo il modo di lavorare insieme”, ha scritto.

Cosa dicono i dati

Ma qual è la situazione in Italia? Il mercato del lavoro è davvero così stabile? Dall’ultima analisi pubblicata dalla Banca d’Italia, in collaborazione con il ministero del Lavoro e ANPAL, aggiornato al 2023: “nella prima fase dopo la pandemia, in un contesto di elevata incertezza, il recupero dell’occupazione era stato sospinto soprattutto dalle posizioni a tempo determinato; dalla seconda metà del 2021, quando la ripresa si è consolidata, le imprese sono tornate ad assumere con contratti permanenti e a trasformare le posizioni temporanee attivate nei mesi precedenti”.

Tuttavia, “la ricomposizione della forza di lavoro si è però stabilizzata alla fine del 2022, anche in conseguenza del rallentamento complessivo del mercato del lavoro – quindi – in dicembre il numero dei contratti a termine ha ripreso a salire”, anche a fronte di tutti i vincoli contrattuali che terminata la fase di emergenza sanitaria sono venuti meno. In concreto, con meno obblighi, aziende e datori di lavoro sono tornati ad assumere di più con contratti a tempo determinato, a scapito di contratti più stabili.

Qui, a proposito, come cambia il contratto di lavoro a tempo determinato e i vincoli venuti meno con l’approvazione del decreto lavoro.

Inoltre: “Il rallentamento del mercato del lavoro nella seconda metà dello scorso anno si è riflesso anche sulla dinamica della disoccupazione amministrativa (misurata dalle Dichiarazioni di immediata disponibilità al lavoro). Alla flessione del numero di disoccupati nel primo semestre è seguita una risalita a partire dalla fine dell’estate, accentuatasi in autunno, quando molti contratti a tempo determinato sono giunti a scadenza”. C’è stato in aggiunta un marcato accorciamento della durata media dei contratti di lavoro, già in atto dall’estate.

I dati, quindi, sembrano confermare due trend:

  • è vero che i contratti a tempo indeterminato sono stati maggiori nell’ultimo anno, ma questo a fronte anche di tutta una serie di vincoli imposti anche dal legislatore e dalla normativa vigente e precedente agli interventi approvati con il decreto lavoro;
  • l’occupazione attraverso forme di impiego più stabili, tuttavia, potrebbe essere meno intensa nei prossimi mesi. Tant’è che il tasso di trasformazione delle posizioni a termine in contratti a tempo indeterminato si è stabilizzato e la quota di nuovi contratti determinato ha ripreso ad aumentare.

Il dubbio, quindi, oggi è uno: siamo sicuri che rendendo più flessibili alcune condizioni e permettendo il ricorso ai contratti a termine in più occasioni rispetto al passato, il “record dei contratti stabili” non venga meno?

Per esempio, l’esperienza italiana dei voucher si è rivelata controversa negli anni. Infatti, se da un lato sono stati introdotti con l’obiettivo di regolamentare e proteggere particolari forme di lavoro occasionale che altrimenti non verrebbero dichiarate – come ad esempio i servizi domestici – dall’altro lato, il lavoro basato sui voucher è stato utilizzato in tutti i settori economici (ad eccezione dell’agricoltura), per tutte le categorie di lavoratori e per tutti i tipi di attività. Inoltre, l’utilizzo complessivo dei buoni lavoro spesso non ha avuto alcun limite, con più rischi, insicurezza del lavoro, eccessiva flessibilità e garanzie occupazionali limitate.

Nonostante la preferenza per i contratti di lavoro standard, l’Italia, come altri Paesi europei, spinta dalla disoccupazione, a partire dalla metà degli anni Novanta, ha cercato di evitare le rigidità dei contratti di lavoro a tempo indeterminato, creando tipologie di accordi con condizioni di assunzione e licenziamento meno restrittive. La diversificazione dei contratti di lavoro, però, ha portato a un aumento del lavoro a tempo determinato (compresi i contratti di lavoro stagionale, di tirocinio per i giovani e i contratti di apprendistato) e del lavoro autonomo, cioè quel lavoro a metà strada tra lavoro dipendente e lavoro indipendente.

Secondo i dati OECD, infine, recenti evidenze empiriche hanno dimostrato che in Europa appare poi evidente la correlazione negativa tra i tassi di disoccupazione giovanile e la probabilità del fixed-term di trasformarsi in indeterminato, con l’Italia che, insieme alla Spagna, mostra i valori più alti della disoccupazione giovanile e più bassi del tasso di transizione.

Per approfondire: la nota, redatta congiuntamente dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, dalla Banca d’Italia e dall’ANPAL.