Non c’è pace per le Olimpiadi invernali Milano-Cortina 2026; già al centro di un’indagine della procura milanese per corruzione e turbativa d’asta, adesso c’è il sospetto concreto di tangenti e fenomeni di corruzione sulla gestione dell’evento olimpico, che coinvolgerebbe un dirigente di Deloitte, la società che aveva preso l’appalto sui servizi digitali.
Lo rivelerebbero le intercettazioni della Guardia di Finanza, con l’ex dirigente della Fondazione Milano Cortina 2026 Massimiliano Zuco che avrebbe rivelato dell’esistenza di “verosimili fenomeni corruttivi”, ponendo “l’attenzione su un giro di mazzette che coinvolgerebbe quantomeno un dirigente di Deloitte”.
Le intercettazioni
Secondo alcune intercettazioni agli atti dell’inchiesta della Procura di Milano sulla gestione dell’evento olimpico, l’ex dirigente della Fondazione Milano Cortina 2026, Massimiliano Zuco, avrebbe fatto riferimento “esplicitamente a verosimili fenomeni corruttivi“, concentrando l’attenzione su un giro di “mazzette” che coinvolgerebbe almeno un dirigente di Deloitte, la società che aveva ottenuto l’appalto per i servizi digitali dopo l’esclusione di Quibyt, la società dell’imprenditore Luca Tomassini, anch’egli indagato.
In un’annotazione della Guardia di Finanza, infatti, si parla della “seconda gara per i servizi digitali”, che ha visto la “estromissione” di Quibyt e il “ruolo di Deloitte”, cui fu affidata tale fornitura sotto la gestione dell’amministratore delegato Andrea Varnier. Gli investigatori sottolineano che Deloitte Consulting aveva già rapporti economici attivi con la Fondazione, con un “contratto di sponsorizzazione” del valore di 21 milioni di euro. Gli inquirenti indagano su un “presunto giro di mazzette” legato a questi rapporti e all’appalto per i servizi digitali.
L’intreccio tra Malagò e Livia Draghi
In un’altra annotazione depositata al Tribunale del Riesame e agli atti dell’inchiesta, emerge un intreccio tra Giovanni Malagò, presidente del Coni, e Livia Draghi, nipote dell’ex premier Mario Draghi, nell’ambito delle assunzioni di persone legate al mondo della politica. È “quantomeno singolare” come Malagò abbia “investito Draghi Livia” di un potere maggiore rispetto a quello dell’ex amministratore delegato Vincenzo Novari, suggerendo a quest’ultimo di seguire le indicazioni di una sua sottoposta, come riportato dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Milano.
Nell’informativa del 25 giugno scorso, la Guardia di Finanza, coordinata dall’aggiunta Tiziana Siciliano e dai pm Francesco Cajani e Alessandro Gobbis, riporta numerose intercettazioni e stralci di verbali. Vicenzo Novari, indagato e interrogato dai pm, spiega che “il presidente Malagò mi segnalò il curriculum di Livia Draghi, precisandomi che ovviamente era un curriculum da valutare con attenzione”, ma che “la decisione sarebbe stata solo mia” e che “vidi che quella persona lì era esattamente quello che stavo cercando”.
Agli atti c’è anche un’intercettazione nella quale Novari, parlando con la moglie, dice: “Malagò mi aveva detto ‘stai a sentì la Draghi!, fregatene di tutto il resto'”. In sostanza, la Guardia di Finanza riassume che Novari raccontava al telefono che “Malagò gli aveva indicato di seguire le indicazioni di Livia Draghi”, la quale “non vedeva di buon occhio l’assunzione della sorella” di un dirigente Rai.
Il ruolo di Lorenzo La Russa
Ma non c’è solo Livia draghi nel calderone delle assunzioni clientelari. Una responsabile delle risorse umane, sentita come testimone nell’inchiesta, ha menzionato anche l’assunzione di Lorenzo La Russa, uno dei figli del presidente del Senato Ignazio La Russa.
La responsabile ha dichiarato: “Vi era la situazione di tale La Russa Lorenzo che non ho mai capito di cosa si occupasse in fondazione e che vedevo raramente al lavoro, il quale, a fine 2021, si candidò e fu eletto come rappresentante civico nel consiglio comunale di Milano”. Questo ha sollevato dubbi sulla conciliabilità dei due ruoli ricoperti contemporaneamente. La Russa fu eletto consigliere del Municipio 1 per Fratelli d’Italia. La testimone ha anche affermato che “non vi era un sistema per controllare l’operatività del singolo dipendente” e che “di fatto la situazione così concepita concedeva al personale poco diligente di imboscarsi”.
Tra gli atti, vi è un’intercettazione del 19 aprile scorso tra Andrea Varnier, attuale amministratore delegato della Fondazione, e Giovanni Malagò. In questa conversazione, Varnier si lamenta del fatto che Antonio Marano non svolga le proprie mansioni, nonostante sia pagato e beneficiario di un benefit non contrattualizzato, ossia una macchina “con autista a spese della Fondazione”. Varnier afferma: “Lui già non fa un caz… farà ancora meno”. E Malagò risponde: “Comunque io ci parlo davanti a te, gli dico ‘Antò, noi dobbiamo essere … essere adesso più realisti del re'”.
Come è iniziato il caso di corruzione
Diventa sempre più oscura e intricata la storia di queste Olimpiadi invernali, già finite nell’occhio del ciclone prima per la questione della pista da bob e ora con le indagini per i presunti casi di corruzione.
Per capire meglio la storia, bisogna andare indietro fino a fine maggio, quando la Guardia di Finanza effettuò alcune perquisizioni presso la sede della Fondazione Milano Cortina 2026, responsabile dell’organizzazione dei Giochi Olimpici Invernali, nell’ambito di un’inchiesta della procura di Milano. Le perquisizioni hanno interessato anche gli uffici di Quibyt, una società di Orvieto che aveva ottenuto alcuni appalti per i servizi digitali delle Olimpiadi, e la società di consulenza Deloitte, che aveva successivamente sostituito Quibyt.
Nell’inchiesta sono risultate indagate tre persone: l’ex amministratore delegato Vincenzo Novari, l’ex responsabile dei processi innovativi del comitato organizzatore Milano-Cortina Massimiliano Zuco, e il fondatore di Quibyt, Luca Tomassini. Le ipotesi di reato a loro carico sono corruzione e turbativa d’asta, con fatti che sarebbero avvenuti tra marzo 2020 e marzo 2021.
Secondo le prime ipotesi dell’accusa, Novari e Zuco avrebbero favorito l’assegnazione degli appalti per la gestione dei servizi digitali a Quibyt (precedentemente Vetrya) in cambio di “somme di denaro e altre utilità”, tra cui un’auto Smart utilizzata da Zuco e pagata direttamente da Tomassini tramite la sua società. Sempre secondo l’accusa, durante il periodo in esame, Tomassini avrebbe emesso fatture nei confronti della Fondazione per quasi 2 milioni di euro.
Il decreto di perquisizione menziona anche che Novari potrebbe aver facilitato l’assunzione nella Fondazione di persone provenienti da aziende in cui aveva avuto “precedenti incarichi dirigenziali”. Sempre secondo il decreto di perquisizione, Zuco sarebbe stato “sempre attivo in interlocuzioni” con Tomassini, una circostanza che rappresenterebbe una “violazione degli elementari criteri di trasparenza e imparzialità nell’aggiudicazione di gare pubbliche”. La procura ha citato anche una mail interna a Vetrya in cui Tomassini chiedeva a un suo dipendente di trasferire un importo a Zuco entro poche ore.
Il Decreto Salva-Olimpiadi nell’occhio del ciclone
A giugno il Governo, preoccupato per la situazione che si stava creando, aveva votato un decreto legge che è stato rinominato Decreto Salva-Olimpiadi. In questo, veniva ribadito che le attività svolte dalla Fondazione Milano Cortina non sono disciplinate da norme di diritto pubblico, che la Fondazione non è un organismo di diritto pubblico e opera sul mercato in condizioni di concorrenza e secondo criteri imprenditoriali.
Un decreto che aveva scatenato molte polemiche, con la Procura di Milano che lo aveva definito “illegittimo, di una gravità inaudita”. La Procura aveva visto questo decreto come un tentativo da parte del governo Meloni di neutralizzare le inchieste sui Giochi invernali attraverso un intervento normativo.
Contrariamente a quello che dice il Governo, secondo i pm la Fondazione è formalmente privata, ma essendo creata, controllata e garantita dal pubblico, deve essere trattata come un organismo pubblico. Se questo principio venisse accettato, qualsiasi atto discutibile degli amministratori potrebbe essere contestato.