E se un giorno avessimo un gemello, virtuale, che ci aiuta a curarci meglio e a prevenire le malattie? Una frontiera decisamente all’avanguardia quella a cui sta lavorando l’Università di Pisa, come unico partner italiano di un progetto europeo coordinato dall’Università di Gent, che potrebbe rivoluzionare radicalmente le terapie del futuro. Il progetto si chiama Vital e promette di imprimere una svolta che, senza troppi indugi, potremmo definire epocale nella gestione di terapie su malattie oggi complicate da trattare.
Vital, il progetto che parla anche italiano
“Vital – Virtual Twins as Tools for Personalised Clinical Care”, questo il nome dettagliato del programma, ha come obiettivo quello di realizzare nei prossimi cinque anni una piattaforma multi-organo in grado di creare, grazie all’Intelligenza Artificiale, un “gemello umano virtuale” per pazienti che soffrono di gravi disturbi cardiovascolari.
I gemelli umani virtuali di Vital sono modelli computazionali multiscala personalizzati che hanno il potenziale per prevedere la progressione di una malattia e gli esiti di un determinato trattamento, in un periodo che va da mesi ad anni. Questa tecnologia offre la possibilità di fornire strategie sempre più ottimizzate per singolo paziente, ma anche economicamente sempre più vantaggiose, superando gli attuali standard di assistenza clinica e abbattendo i costi di terapie oggi impensabili.
Sostanzialmente si tratta di “copie” per migliorare le attuali cure e renderle sempre più personalizzate, cucite addosso al singolo paziente, tenendo conto soprattutto di quegli elementi che oggi sfuggono alla valutazione medica, per provare ad avere risposte a lungo termine specifiche, diverse per sesso, età e altri parametri, ai trattamenti chirurgici o medici sul sistema cardiovascolare e su altri organi.
Perché oggi i problemi cardiovascolari sono difficili da trattare
Disturbi cardiovascolari cronici complessi, come l’insufficienza cardiaca o l’ipertensione, colpiscono miliardi di persone in tutto il mondo, compromettendo pesantemente la qualità della vita e spesso portando a gravi malattie o a morte prematura.
Questi disturbi, spiegano gli esperti, sono difficili da trattare per via della complessa interazione tra la funzione del cuore, dei polmoni e dei vasi sanguigni, il loro ruolo nel fornire sangue agli organi chiave, come cervello e reni, e l’influenza variabile di fattori ormonali e di altro tipo, ambientali, genetici, psicosociali. In sostanza, una terapia che funziona per un paziente potrebbe essere inefficace e persino dannosa per un altro.
Come funzionano i “gemelli virtuali”
Il progetto Vital, finanziato dall’Unione europea, per i prossimi cinque anni svilupperà la più corretta tecnologia per costruire un “gemello virtuale” del cuore di una persona e di altri organi importanti, utilizzando le informazioni raccolte da esami clinici o grazie a speciali sensori indossabili, come orologi intelligenti, per aiutare i medici a scegliere i trattamenti migliori per ogni persona.
Questi gemelli umani virtuali consentiranno, per la prima volta, agli operatori sanitari di prevedere la risposta al trattamento a breve e medio termine, fino a 6 mesi dopo l’inizio delle cure. Vital potrà quindi fornire ai medici strumenti essenziali per la valutazione precoce dell’impatto del trattamento sullo sviluppo di una determinata malattia, identificando chi potrebbe beneficiare di terapie rischiose o costose, anticipando potenziali reazioni avverse, migliorando i risultati sanitari complessivi del trattamento e anche abbattendo i costi.
Parallelamente, studierà come pazienti, medici e operatori sanitari interagiscono con questi nuovi strumenti digitali, considerando anche le implicazioni etiche, sociali e psicosociali di queste nuove tecnologie.
Le wearable tech al servizio della medicina
Vital fornirà una piattaforma di modellazione multiorgano completa, in grado di rappresentare i dati dei singoli pazienti acquisiti sia in clinica che grazie alle wearable technologies, cioè tutti quegli strumenti di tecnologia indossabile che stanno già risegnando la medicina. Così da evitare di sottoporre inutilmente le persone a trattamenti dai quali non trarrebbero benefici.
In pratica, grazie a speciali interfacce intuitive, create in collaborazione con i medici, la piattaforma creerà un gemello umano virtuale per trovare la migliore terapia farmacologica o chirurgica per disturbi cardiovascolari complessi e multifattoriali che hanno un impatto sistemico e un alto rischio di comorbilità, tra gli altri, del rene e del cervello, come proprio ipertensione sistemica e insufficienza cardiaca.
Entro la fine del progetto, la piattaforma sarà stata convalidata e testata su più di 200 pazienti in 5 studi clinici in Francia e nel Regno Unito.
Il ruolo dell’Università di Pisa
Per quanto riguarda il ruolo italiano, il gruppo di lavoro dell’Università di Pisa, coordinato dalla prof.ssa Martina Smorti del Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica dell’ateneo toscano, si occuperà di indagare i possibili impatti psicologici, sociali e relazionali legati all’impiego di questo tipo di tecnologie in ambito medico.
“Nonostante l’importante coinvolgimento di competenze di carattere medico, informatico e ingegneristico necessarie per lo sviluppo e l’implementazione del Virtual human twin – spiega la prof.ssa Smorti – il progetto dedica un’attenzione particolare agli impatti psicologici, sociali e relazionali dell’utilizzo di questo tipo di tecnologia a livello clinico. È questo l’obiettivo specifico del gruppo di lavoro dell’Università di Pisa che, grazie a competenze di ambito psicologico e sociologico, indagherà i fattori che favoriscono o ostacolano l’accettazione del virtual human twin da parte di medici, pazienti e caregiver”.
Un punto di vista più laterale, ma altrettanto determinante, per comprendere quanto e come il virtual human twin viene accettato e accolto dai pazienti, quanto queste nuove strategie possono migliorare il livello di fiducia nei medici e in generale nel sistema sanitario, ma anche lo stress di pazienti e familiari e l’impatto sugli operatori sanitari nell’utilizzo dell’IA come strumento di cura. “Gli studi condotti – conclude Smorti – dimostrano che l’utilizzo dell’Intelligenza artificiale a livello di pratica clinica interviene su tutti gli attori e le istituzioni coinvolte modificando le relazioni in campo e i sistemi di preferenze, percezioni, aspettative”.