Forse era prevedibile, anche se speravamo di non avere ragione su questo, ma con l’allentamento delle restrizioni e l’addio definitivo a molte norme anti contagio (qui gli ultimi aggiornamenti), la curva dei contagi è tornata a salire di nuovo, registrando un notevole aumento dei casi. Siamo di nuovo a quel punto in cui, chiunque, in questo momento, conosce una persona positiva al Covid.
Intanto, mentre i numeri crescono, dalla comunità scientifica non arrivano notizie rassicuranti, purtroppo. In Thailandia, infatti, è stato confermato il primo caso di trasmissione da animale a uomo. Ma cosa vuol dire questo? Cosa sappiamo? Dobbiamo preoccuparci del fatto che forse, ancora una volta, il virus sta mutando di nuovo?
Perché stanno di nuovo aumentando i casi Covid in Italia
La forza trainante dietro l’improvviso aumento delle infezioni Covid è da ricercare nelle forme mutate del virus, tecnicamente sottovarianti di Omicron (qui come si manifestano e i sintomi più comuni). A due anni e mezzo dall’inizio della pandemia, siamo tornati ad affrontare nuove mutazioni: l’Omicron originale aveva un’impressionante capacità di diffondersi e superare le difese immunitarie che l’organismo umano aveva sviluppato nei mesi precedenti, sviluppandosi in altre forme. Il risultato è che ora stiamo entrando in un’altra fase della pandemia, probabilmente la nostra terza ondata di Omicron dell’anno, ed è solo luglio.
La buona notizia è che il sistema sanitario nazionale riesce ancora a gestire la situazione. La cattiva è che le varianti non devono essere più aggressive per avere un impatto su di esso: devono solo infettare un numero sufficiente di persone e scatenare quel meccanismo a catena che porta nuovamente a far crescere il numero di infetti che hanno bisogno di assistenza per mettere di nuovo in crisi gli ospedali.
Il Covid sta mutando ancora? Cosa sappiamo del primo contagio tra animale e uomo confermato in Thailandia
Non ci sono ancora prove inconfutabili in grado di dimostrare che le nuove varianti Covid siano più o meno pericolose delle forme originali del virus, ma non possiamo affermare il contrario.
Intanto, come accennato già sopra, continuano ad aumentare i positivi e, per la prima volta, uno strano contagio tra animale e uomo è stato confermato in Thailandia. Un team di ricercatori ha segnalato infatti un caso di trasmissione Covid da gatto a uomo. Gli scienziato dicono che i risultati sono convincenti.
Diverse ricerche iniziate all’inizio della pandemia avevano scoperto che i gatti erano in grado di diffondere particelle di virus infettive, contagiando così altri felini. Non a caso, nel corso della pandemia, i paesi hanno segnalato infezioni da SARS-CoV-2 in dozzine di gatti domestici. Ma stabilire la direzione della diffusione virale – da gatto a persona o da persona a gatto – è stato fino ad ora complicato.
Lo studio thailandese, pubblicato su Emerging Infectious Diseases (qui il documento integrale) riporta però la prima prova solida di un gatto domestico che ha infettato una persona con SARS-CoV-2, spingendo così gli esperti ad aggiungere i felini all’elenco degli animali che possono trasmettere il virus alle persone.
E pensare che la scoperta è avvenuta per caso.
Come ha raccontato il coautore Sarunyou Chusri, ricercatore di malattie infettive e medico presso la Prince of Songkla University di Hat Yai, nel sud della Thailandia: ad agosto del 2021 un padre e un figlio risultati positivi al Covid sono stati trasferiti in un reparto di isolamento dell’ospedale dell’università. Anche il loro gatto di dieci anni è stato sottoposto a tampone ed è risultato positivo. Durante il tampone, il gatto ha starnutito di fronte a un veterinario, che indossava una maschera e guanti ma non una protezione per gli occhi. Tre giorni dopo, il veterinario ha sviluppato febbre, raffreddore e tosse e in seguito è risultato positivo, ma nessuno dei suoi contatti stretti lo era. Da qui l’ipotesi che ad infettarlo fosse stato il gatto visitato.
L’analisi genetica ha poi confermato che il dottore era stato infettato dalla stessa variante del gatto e dei suoi proprietari e che le sequenze genomiche virali erano identiche.