Allarme medici di base in Italia: cosa rischiamo

Dati preoccupanti sull'assistenza sanitaria primaria: medici di famiglia in progressivo calo nei prossimi anni, turnover saltato

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Redazione

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In Italia la progressiva carenza di assistenza primaria dei medici di base si fa sempre più preoccupante. Ad oggi nel territorio ci sono in media circa 1400 abitanti per “camici bianchi di famiglia”. Nei prossimi sette anni il numero di coloro che andrà in pensione supererà in modo drastico quello di chi accede alla professione negli ambulatori. Il problema è emerso già nel corso dell’ultimo decennio: siamo passati dai 45.500 medici di base del 2012 ai quasi 44.400 del 2016, fino ai 40.700 dello scorso anno. Una situazione che sarebbe conseguenza da una parte di un’inadeguata programmazione, dall’altra del crollo demografico ormai strutturale.

Il contesto nazionale

Il numero dei pazienti distribuiti tra i medici di base varia di regione in regione: al Nord i carichi risultano più elevati rispetto al Centro e al Sud. In generale, secondo i dati forniti dall’Agenzia per i servizi sanitari regionali (Agenas), se in media nel Settentrione ogni medico assiste 1.326 persone, il numero scende per le aree centrali (1.159) e Meridionali (1.102).

Complessivamente la platea da soddisfare ammonterebbe a circa 50 milioni. Stando agli accordi collettivi nazionali ogni sanitario di assistenza primaria può assistere fino a 1500 persone, ma in alcune parti il limite è stato aumentato. È il caso per esempio del Veneto, dove la soglia è stata incrementata a 1800.

Nel dettaglio, le regioni con il maggior numero di assisiti per medico di base sono Trentino-Alto Adige (1.454) e Lombardia (1.408). Le ultime sono invece Calabria (1.055), Basilicata (1.052) e Umbria (1.049).

Qui l’allarme per la carenza di farmaci.

Medici sempre più vecchi

Rispetto ai maggiori Paesi europei l’Italia soffre di un’età media particolarmente elevata tra i camici bianchi. Secondo le stime dell’Eurostat sono circa 1,8 milioni i medici in servizio nell’Unione Europea e di questi 240.000 stanno nel Belpaese.

Una cifra che ci vede secondi soltanto alla Germania. Tuttavia i nostri sono tra i più anziani. La percentuale di età pari o superiore a 55 anni raggiunge in Italia il picco del 54%, mentre è compresa tra il 42% e il 49% in Ungheria, Lussemburgo, Cipro, Germania, Belgio, Francia, Lettonia, Estonia e Bulgaria, ed è più bassa del 42% nei restanti Paesi dell’Unione Europea.

Qui abbiamo parlato della sanità in crisi.

Squilibrio tra entrata e uscita

Per compensare alla preoccupante carenza dei medici di base prevista per i prossimi anni verranno in aiuto i fondi del Piano nazionali di ripresa e resilienza, che permetteranno di finanziare ben 900 borse di formazione aggiuntive ogni anno fino al 2025 per l’accesso alla professione, rimediando in parte a una programmazione non adeguata.

Tuttavia la specializzazione dura tre anni e la situazione appare già critica. Tra il 2022 e il 2028 si stima che la differenza tra medici di base in uscita e in entrata sia tra 9.200 e 12.400 unità, ma il deficit emergerebbe già nei prossimi due anni con un saldo tra 7.700 e 13.600 unità. Perciò se l’annunciato finanziamento va verso la direzione giusta, risulta comunque inadeguato rispetto alle esigenze: il deficit non verrebbe colmato.

Il problema del crollo demografico

A parte la criticità nella programmazione del fabbisogno nazionale di medici di base, resta il problema del crollo demografico che ha travolto l’Italia. Una situazione che rende complicato il rimpiazzo non solo dei professionisti sanitari, ma di tutti i lavoratori che vanno in pensione.

Fino alla fine degli anni Ottanta ogni anno raggiungevano l’età lavorativa quasi un milione di persone l’anno. Nel 2022 compiono 20 anni i classe 2002, che sarebbero circa 500mila. E dovrebbero invece toccare l’età pensionabile almeno 800mila persone.

Qui abbiamo spiegato come cambia l’accesso alla pensione con il governo Meloni. 

Se il numero di coloro che vanno in pensione è maggiore di quelli che entrano nel mondo del lavoro, è chiaro che il ricambio generazionale risulta insufficiente. Il rischio è quindi di avere sempre meno medici di base per troppi pazienti, alterando il sistema di assistenza primaria su tutto il territorio.