Il Servizio sanitario nazionale è il grande malato d’Italia, con quasi 4,5 milioni di pazienti che rinunciano a curarsi a causa delle lunghe liste d’attesa o dei costi proibitivi per accedere alla sanità privata. E il numero delle persone costrette a pagare di tasca propria per le cure mediche è balzato in avanti del +10,3% in un solo anno; nel linguaggio tecnico tale spesa viene definita “out of pocket“. E non tutto: il Ssn soffre poi per la cronica carenza di medici e infermieri con i camici bianchi che, fra l’altro, passano al privato dopo anni di demotivazione. Per non parlare dello Stivale sempre più tagliato a metà, con i pazienti del Sud in fuga verso il Nord alla ricerca di cure migliori. È impietoso il quadro delineato dal 7° Rapporto della Fondazione Gimbe sul Servizio sanitario nazionale dal quale si evince come in Italia la spesa sanitaria pubblica faccia registrare un divario di 52,4 miliardi rispetto alla media dei Paesi dell’Unione europea.
Verso il punto di non ritorno
Oltre a evidenziare con chiarezza le carenze del Ssn, il Rapporto Gimbe suggerisce anche cure mirate per migliorare la situazione. Cure che passano attraverso un patto di collaborazione fra le forze politiche.
I dati, commenta Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, “dimostrano che la tenuta del Servizio sanitario nazionale è prossima al punto di non ritorno, che i princìpi fondanti di universalismo, equità e uguaglianza sono stati ormai traditi e che si sta lentamente sgretolando il diritto costituzionale alla tutela della salute, in particolare per le fasce socio-economiche più deboli, gli anziani e i fragili, chi vive nel Mezzogiorno e nelle aree interne e disagiate”.
La spesa sanitaria out of pocket
In questo stato di cose, l’Istat ha osservato come nel 2023 la spesa sostenuta direttamente dai cittadini (out of pocket) per visite specialistiche ed esami diagnostici sia aumentata del +10,3% rispetto al 2022. Gli italiani hanno speso 3,8 miliardi di euro in più rispetto all’anno prima. La cifra totale è così salita a quota 40,6 miliardi di euro.
Politica sul banco degli imputati
“La grave crisi di sostenibilità del Ssn è frutto anzitutto del definanziamento attuato negli ultimi 15 anni da tutti i governi, che hanno sempre visto nella spesa sanitaria un costo da tagliare ripetutamente e non una priorità su cui investire in maniera costante”, accusa il Rapporto.
Ad esempio, nel periodo pre-pandemico che va dal 2010 al 2019 il Ssn è stato depotenziato di oltre 37 miliardi tra tagli per il risanamento della finanza pubblica e minori risorse assegnate rispetto ai livelli programmati. Durante gli anni della pandemia, dal 2020 al 2022, i fondi per la Sanità sono stati aumentati di 11,6 miliardi, ma sono praticamente stati assorbiti dall’emergenza. Negli anni 2023-2024 il Fondo per la Sanità è aumentato di 8.653 milioni, ma per l’anno 2023 da tale cifra vanno sottratti 1.400 milioni per la copertura dei maggiori costi energetici e per l’anno 2024 oltre 2.400 milioni sono stati destinati ai rinnovi contrattuali del personale.
Crolla la prevenzione, Pnnr in ritardo
Il Rapporto Gimbe evidenzia come nel 2023 la spesa per la prevenzione sia calata del -18% (si parla di 1.933 milioni in meno).
E il potenziamento della sanità territoriale prevista dal Pnrr segna “ritardi particolarmente marcati nel Mezzogiorno” relativamente all’attivazione di case di comunità, ospedali di comunità, centrali operative territoriali. Al 31 luglio 2024 sono stati realizzati il 52% dei posti letto di terapia intensiva e il 50% di quelli di terapia sub-intensiva, con marcate differenze regionali.