Malattie rare, l’AI potrebbe aiutare nella diagnosi delle sindromi più rare

Tramite le app di riconoscimento facciale, lo screening via smartphone potrebbe diventare uno strumento prezioso per aiutare medici e ricercatori a definire un sospetto diagnostico

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Federico Mereta

Giornalista scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica. Raccontare la scienza e la salute è la sua passione, perché crede che la conoscenza sia alla base di ogni nostra scelta. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Pubblicato: 14 Ottobre 2024 16:24

Una foto. Un’immagine del volto. E poi, l’aiuto insostituibile dell’Intelligenza Artificiale, capace di rivalutare in tempi brevissimi una serie quasi infinita di informazione. Et voilà, per dirla alla francese. Il gioco è fatto. O, meglio, si possono avere una serie di informazioni utili per svelare l’eventuale sospetto di un quadro di malattia genetica rara, per poi approfondire con esami specifici il sospetto diagnostico.

A proporre questa originale tecnica di screening, che parte da un’immagine, sono le applicazioni moderne dell’AI. Perché sono in sviluppo applicazioni per smartphone che, utilizzando algoritmi di Intelligenza Artificiale, hanno la capacità di riconoscere, analizzando le foto di pazienti affetti da presunte malattie genetiche, le caratteristiche facciali specifiche associate a queste patologie. La notizia emerge dal congresso nazionale di Genetica Umana tenutosi a Padova.

Come funziona

Prima di tutto occorre puntare lo smartphone sulla foto del potenziale paziente. O, ovviamente in presenza, scattando un’istantanea dal vivo. Poi l’algoritmo presente sul dispositivo analizza l’immagine, ne deduce le possibili patologie genetiche e fornisce al medico un elenco di opzioni probabili. Insomma: lo screening via “smartphone” potrebbe diventare uno strumento di screening prezioso per aiutare medici e ricercatori a definire un sospetto diagnostico.

Sia chiaro. Siamo solo all’inizio. E rimane la certezza che a volte la diagnosi di una malattia genetica a volte è difficile. Oggi si stima che un bambino su 200-250 possa avere una malattia di origine genetica; alcune di queste condizioni cliniche, come la Sindrome di Down, sono ben note, discretamente frequenti e facilmente diagnosticabili. Ma altre, più rare e molto meno conosciute sia in termini di esistenza sia in termini di storia naturale, non sono riconoscibili con la stessa facilità.

L’AI cambia le regole del gioco

L’evoluzione tecnologica nell’ambito della diagnostica genetica ha ampliato molto la conoscenza delle basi biologiche delle diverse sindromi, e oggi la grande maggioranza delle diagnosi cliniche hanno la possibilità di essere confermate con un test di laboratorio. Adesso sta entrando in gioco con peso sempre maggiore anche l’Intelligenza Artificiale.

“Anche per le sindromi più rare, più difficili da diagnosticare – ricorda Luigi Memo, pediatra e genetista presso l’IRCCS Burlo Garofolo di Trieste – il genetista clinico può disporre di nuovi strumenti: tecniche diagnostiche quali cariotipo molecolare e sequenziamento di nuova generazione, ma anche motori di ricerca online molto potenti. E in più adesso è disponibile anche questa app: può essere usata o come una sorta di secondo parere per diagnosticare disturbi genetici raramente visti, oppure per fornire un punto di partenza nei casi in cui il medico non sappia come trattare e definire i sintomi di un paziente”.

Il mondo delle malattie rare

Le malattie rare sono tante, anche se magari prese una per una colpiscono solo poche persone. Siamo intorno ad almeno 7.000 patologie, che in quattro casi su cinque riconoscono un’origine genetica. E’ vero che esiste una bassa prevalenza nella popolazione (non superiore a 5 casi su 10.000 abitanti secondo i criteri adottati nell’Unione europea), ma è altrettanto innegabile che si tratta di quadri da indagare e seguire con cura.
Lo hanno ribadito gli esperti presenti a Roma, presso la Sala Matteotti della Camera dei Deputati, in occasione dell’evento
Le sfide invisibili delle malattie rare e infrequenti: conoscere, comprendere e gestire gli impatti sulla salute mentale”.

A pochi giorni dalla Giornata mondiale della salute mentale, che cade ogni anno il 10 ottobre, l’evento – promosso e organizzato da The European House – Ambrosetti (TEHA), con il contributo non condizionante di Amgen – ha acceso i riflettori sulle sfide, di salute e non solo, affrontate ogni giorno dagli oltre 2 milioni di pazienti rari e dai loro familiari e caregiver, a partire dall’impatto psicologico di queste malattie.

Il “peso” psicologico delle malattie rare

Le malattie rare sono un gruppo molto eterogeneo di patologie con alcune caratteristiche in comune, tra cui la prevalente comparsa in età pediatrica, una natura prevalentemente cronica e multiorgano e la difficoltà nel giungere a una diagnosi certa e tempestiva e nel prescrivere un trattamento.
Queste caratteristiche, l’alta numerosità e la bassa prevalenza – meno di un caso ogni 2.000 persone, secondo una soglia fissata a livello europeo – comportano notevoli complessità clinico-organizzative che sono alla base delle difficoltà di presa in carico: oltre il 95% di queste patologie non ha una cura disponibile, il 60% dei pazienti riceve inizialmente una diagnosi errata.

L’incertezza e l’imprevedibilità di queste malattie costringono spesso i pazienti a rivolgersi ai servizi sanitari di emergenza, con un tasso di accesso al pronto soccorso significativamente più alto rispetto alla popolazione generale (24,1% rispetto al 4,3%). L’impatto delle malattie rare e infrequenti non si limita al piano fisico, ma interessa anche la sfera psicologica, con una probabilità di sviluppare disturbi mentali 1,5 volte superiore rispetto alla popolazione generale (30-50% rispetto al 20%).
Fino al 50% dei pazienti affetti da malattie rare può sviluppare disturbi d’ansia o depressione, conseguenze dirette delle difficoltà nel gestire la malattia, dell’isolamento sociale e dell’incertezza sul futuro; anche il 75% dei caregiver riporta sintomi di affaticamento mentale e stress emotivo.

Il disagio per pazienti e caregiver

“Nel contesto odierno in cui il disagio mentale colpisce un numero sempre più rilevante di individui, il benessere psicologico delle persone non può che essere elemento imprescindibile su cui focalizzare l’attenzione – ha segnalato Camilla Callegari, Direttore della scuola di Specializzazione in Psichiatria dell’Università degli Studi dell’Insubria, Varese. Questo è ancor più vero per le situazioni di estrema delicatezza come quelle delle malattie rare, che creano difficoltà di vita per i pazienti e le loro famiglie”.

Il senso di isolamento e l’incertezza legata alla diagnosi, alle prospettive future e finanziarie e alla disponibilità dei trattamenti compromettono la qualità di vita ed espongono a disagio psicologico, disturbi psichici concomitanti, da comprendere e conoscere al fine di creare percorsi condivisi che possano impattare positivamente sulla salute mentale dei pazienti con malattia rara.

Per queste malattie esiste inoltre un tema di genere. In Italia sono infatti oltre 2 milioni le donne che hanno a che fare quotidianamente con una malattia rara: più di 1 milione come pazienti e altrettante come caregiver.
“I numeri ci dicono che circa il 50-60% delle persone affette da malattie rare sono donne, spesso in età lavorativa e fertile, con impatti significativi su qualità della vita e benessere mentale – ha aggiunto Irene Gianotto, Consultant Practice Healthcare, TEHA. Per 1 donna su 4 la situazione economica è cambiata dopo la diagnosi di malattia rara, con un peggioramento in 8 casi su 10 e oltre 3 giorni di lavoro persi al mese. Questo impone l’utilizzo di un approccio di genere per garantire diagnosi tempestive e trattamenti più mirati: l’età e il sesso sono infatti i principali determinanti della durata del percorso diagnostico, con donne e bambini che devono affrontare attese più lunghe rispetto a uomini e adulti”.