Hospitalist, il ruolo fondamentale del medico che convive con il chirurgo

Chi è, cosa fa e cosa rappresenta per l’ospedale la figura dell'hospitalist, sempre più integrato nell'équipe chirurgica

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Federico Mereta

Giornalista scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica. Raccontare la scienza e la salute è la sua passione, perché crede che la conoscenza sia alla base di ogni nostra scelta. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

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In programma c’è un intervento chirurgico. Il paziente che deve essere operato è però particolarmente complesso. E se la consuetudine porta a richiedere una consulenza specifica, magari dell’internista, per comprendere quanto e come si possa andare avanti con l’operazione limitando i rischi, per il futuro si arriverà sempre di più all’esperto che si integra nell’equipe che utilizza il bisturi.
A farlo pensare è la figura dell’Hospitalist, destinata ad essere sempre più presente nei modelli organizzativi, nell’ambito di un nuovo modello di sanità ospedaliera che supera la semplice consulenza specialistica divenendo parte attiva e integrante dell’équipe chirurgica.
Di cosa si tratta? E quali esperienze ci sono? Ne hanno parlato gli esperti in occasione del Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina interna (SIMI). Fra i relatori anche Ombretta Para, Dirigente Medico Medicina Interna presso la AOU Careggi di Firenze, dove svolge il ruolo di hospitalist in Chirurgia d’Urgenza e Neurochirurgia.

Cosa propone il modello di Firenze

Il modello adottato fin dal 2010 nell’azienda ospedaliera di Firenze è pionieristico per il nostro Paese e si ispira ai modelli europei e statunitensi, pur presentando differenze organizzative specifiche. Nell’azienda, l’implicazione fondamentale del co-management vede il superamento del modello consulenziale: l’hospitalist è in grado di gestire il paziente complesso in un contesto chirurgico, grazie a competenze trasversali e soft skills specifiche. In questo modo, l’hospitalist è una parte attiva di tutto il percorso clinico del paziente, perfettamente integrato nell’équipe chirurgica attraverso la partecipazione alla visita congiunta con i chirurghi e a briefing, come ad esempio con i neurochirurghi. Questa integrazione è considerata la vera novità e il valore aggiunto.

Ma non basta. Dal 2018 è presente un PDTA (Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale, strumento di governo clinico e organizzativo che definisce il percorso di cura ottimale per pazienti con specifiche patologie o bisogni di salute) strutturato in chirurgia d’urgenza, oltre ad un Piano condiviso tra specialisti per la gestione del paziente complesso. Si tratta di due passaggi decisivi secondo l’esperta. Il modello permette che ogni figura possa ricoprire un ruolo attivo attraverso la valorizzazione delle specifiche competenze. L’hospitalist in virtù del Piano condiviso, ha accesso alla cartella clinica e può definire percorsi diagnostici e cambiamenti terapeutici da condividere con gli altri.

“Abbiamo avuto la possibilità di integrare l’internista nell’equipe chirurgica. Ciò dà la possibilità, ad esempio, di visitare insieme ai chirurghi e di partecipare al briefing con i neurochirurghi, superando il modello consulenziale”

spiega la Para.

Attenzione al malato complesso

L’attività dell’hospitalist consiste nel farsi carico del malato complesso e coordinare tutto il processo di cura:

“Nel setting chirurgico questo vuol dire, nella fase preoperatoria, prevenire le possibili complicanze, ottimizzare la terapia delle patologie croniche e nel post operatorio intercettare precocemente le complicanze”

continua la dottoressa.

L’approccio ha portato a risultati positivi, come la riduzione dei ricoveri e della mortalità per problematiche internistiche. Gli studi pubblicati sul modello adottato al Careggi di Firenze mostrano risultati favorevoli in termini di riduzione del numero di consulenze internistiche, nuovi ricoveri e mortalità per problematiche sempre internistiche. In particolare, un lavoro pubblicato ad aprile scorso sulla rivista Internal and Emergency Medicine, di cui la Para è la prima autrice, ha dimostrato gli effetti dell’implementazione del programma di co-gestione ospedaliera nel reparto di neurochirurgia dell’ospedale fiorentino. La co-gestione da parte degli hospitalist è stata associata a una ridotta incidenza di complicazioni mediche, ricoveri ospedalieri a 30 giorni e numero di trasferimenti in terapia intensiva o con un alto tasso di soddisfazione tra gli operatori sanitari.

Sperimentazione in Lombardia

Anche all’IRCCS Fondazione Ca’ Granda Ospedale Maggiore- Policlinico Università di Milano, in due reparti, è partita la sperimentazione dell’hospitalist. Introdotta a settembre per la neurochirurgia e precedentemente a maggio per la traumatologia, l’iniziativa vede inizialmente l’hospitalist operare come consulente fisso, presente la mattina dal lunedì al venerdì. L’obiettivo futuro sarà una gestione completa e h24 dei pazienti da parte dell’internista, liberando i chirurghi dalle incombenze di reparto e concentrandoli sulle procedure chirurgiche.

“In traumatologia, per ora un nostro medico svolge il ruolo di consulente fisso per i casi segnalati che riguardano in prevalenza fratture di femore, infezioni o protesi. In futuro, invece è previsto che l’internista prenda in carico i pazienti h24 e si confronti sulla gestione con gli altri medici specialisti “

spiega Giorgio Costantino, Professore Associato di Medicina Interna, Direttore S.C Pronto Soccorso e Medicina D’Urgenza presso l’IRCCS Fondazione Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico – Università di Milano.
Fra gli esiti attesi c’è una riduzione delle complicanze e dei tempi di gestione insieme a una maggiore soddisfazione dei pazienti e degli operatori. L’introduzione sarà ultimata quando i medici internisti potranno gestire h-24 i pazienti in traumatologia, dall’accettazione del pronto soccorso fino al proseguimento del processo con l’indicazione, ad esempio, di un percorso di riabilitazione.

“Gli ortopedici e i neurochirurghi pur essendo altamente specializzati, spesso si trovano a dover gestire pazienti anziani e polipatologici. Per questi pazienti, fragili e con un equilibrio clinico precario, una gestione unicamente chirurgica non è sufficiente. Questo approccio invece permetterebbe agli ortopedici e ai neurochirurghi di concentrarsi sugli interventi che sono il cuore della loro professione, delegando la complessa gestione medica del paziente all’internista. Allo stesso tempo, l’internista avrebbe l’opportunità di curare una tipologia di pazienti diversa dal solito, trovando soddisfazione nella risoluzione di problematiche mediche che, pur non essendo la causa primaria del ricovero, sono fondamentali per il successo dell’operazione. Penso che l’approccio possa portare a una vittoria per tutti”

conclude il professor Costantino.

Le indicazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a scopo informativo e divulgativo e non intendono in alcun modo sostituire la consulenza medica con figure professionali specializzate. Si raccomanda quindi di rivolgersi al proprio medico curante prima di mettere in pratica qualsiasi indicazione riportata e/o per la prescrizione di terapie personalizzate.