Covid, cosa sono le varianti “Flirt” e perché KP.3 preoccupa

Il virus continua ad evolvere. E la variante KP.3 negli Usa rappresenta il profilo virale che più preoccupa, vista la rapidità con cui si sta diffondendo

Foto di Federico Mereta

Federico Mereta

Giornalista scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica. Raccontare la scienza e la salute è la sua passione, perché crede che la conoscenza sia alla base di ogni nostra scelta. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Si torna a parlare di Covid. Anche se in realtà il virus, anche da noi, non è mai scomparso come si auspicava, perdendo anche quelle caratteristiche di stagionalità che si pensava potesse avere. Seppur con un numero ormai molto limitato di tamponi, quindi stiamo parlando di una sostanziale sottostima, nella settimana tra il 6 e il 12 giugno sono stati individuati 1802 casi, con 17 deceduti, su 96.568 tamponi. Rispetto alla settimana precedente sono aumentati i casi ed anche il tasso di positività ai test, giunto all’1,9% rispetto all’1,8 della settimana precedente. A dirlo sono le cifre ufficiali dei report del Ministero della Salute.

Nel frattempo, però, il virus continua ad evolvere. E la variante KP.3 negli Usa rappresenta il profilo virale che più preoccupa. Anche perché sta prendendo progressivamente il posto dei suoi predecessori, in un percorso che fa parte della stessa natura evolutiva e di adattamento del virus, che pure già erano molto diffusi. KP.3, in particolare è una variante del cosiddetto “Flirt”. Insomma, è la “sorellina” di altri ceppi di una stessa famiglia.

KP.3, quali sono le caratteristiche

KP.3 è solo l’ultima variante del trio che costituisce il cosiddetto gruppo “Flirt”, composto da KP1.1, KP.2 e appunto KP.3. Osservata solo da poco tempo, negli Usa stando ai dati dei CDC (Centri per il Controllo delle Malattie) di Atlanta sta già progressivamente prendendo spazio alle precedenti, con le loro sottovarianti. Ed a grande velocità, dopo che le altre hanno preso il posto della loro “progenitrice” (ovviamente in termini virali) JN1. Mentre anche per KP.3 si parla di varianti, in ogni caso, si ritiene che circa un quarto delle nuove infezioni negli Usa siano legate a questo ceppo.

Cosa cambia rispetto ai precedenti? Sostanzialmente occorre ripercorrere qualche nozione di biologia virale cui eravamo abituati negli anni scorsi. Fondamentale per il virus è riuscire ad agganciare le cellule e a penetrare al loro interno, grazie ad un recettore specifico. Questa azione è assicurata al Sars-CoV-2 dalla proteina S o Spike. Questo passaggio è fondamentale per la replicazione virale e la comparsa dei sintomi dell’infezione.
Con KP.3 si sono osservate tre mutazioni: una è condivisa con KP.2, ed è stata chiamata S:V1104L. Le altre due (originali) sono S:F456L e S:Q493E. Al momento non si sa quali caratteristiche possano offrire al virus in termini di capacità di infettare l’essere umano ma c’è da pensare che possano essere “vincenti”, vista anche la rapidità con cui questo ceppo si sta diffondendo “spodestando” in maniera invisibile il precedente, che perde colpi in termini di “ritrovamenti” nei campioni che vengono testati nei laboratori.

Cosa possiamo aspettarci

Sia chiaro. Stiamo parlando di evoluzione tutte da valutare. E questo è compito dei ricercatori, oltre che della sanità pubblica. Quindi anche fare previsioni è sbagliato. Rimane un fatto: rispetto a JN.1 le varianti contrassegnate da KP appaiono maggiormente contagiose. Questo si può osservare sul fronte dei sintomi che in qualche modo, sempre stando a quanto riportano i CDC di Atlanta, rimangono i classici segni generali come la febbre, la cefalea, le difficoltà di respiro nei casi più gravi, a volte anche l’iposmia, ovvero il calo dell’olfatto e l’ageusia, con perdita del gusto. Ma non bisogna dimenticare che sono stati osservati anche casi con manifestazioni gastrointestinali, come mal di pancia, diarrea e vomito.
Va detto che in base a questa definizione, con sintomi estremamente vari e diversi, risulta molto difficile riconoscere clinicamente un caso di Covid, e quindi non c’è da aspettarsi la comparsa di un segno e di un sintomo tipico delle varianti della famiglia KP.

Capitolo prevenzione. C’è da aspettarsi che i vaccini eseguiti precedentemente, così come eventuali infezioni naturali, possano risultare comunque utili per limitare i rischi di quadri più complessi di infezione legata alle varianti “Flirt”. Ma siamo solo nel campo delle ipotesi. E si attendono novità su questo fronte per la prossima stagione autunnale. In ogni caso si auspica che l’aggiornamento dei vaccini che dovrebbe considerare la “famiglia” JN.1 ed i ceppi discendenti possa aiutare a proteggere in futuro anche dai rischi legati ai ceppi KP, compreso ovviamente KP.3.