I ricercatori presso il Centre for Epidemic Response and Innovation (CERI) a Città del Capo, Sudafrica, hanno individuato una nuova variante del coronavirus SARS-CoV-2 caratterizzata da un elevato numero di mutazioni. Denominata BA.2.87.1 dagli esperti, questa variante presenta oltre 100 mutazioni, di cui più di 30 sono localizzate sulla proteina S o Spike. Quest’ultima è fondamentale per il virus poiché funge da “grimaldello biologico”, consentendo al virus di legarsi al recettore ACE2 sulle cellule umane.
Le mutazioni sulla Spike favoriscono la capacità del virus di penetrare nelle cellule umane, attraversare la parete cellulare, introdurre l’RNA virale all’interno, e avviare il processo di replicazione. Questo meccanismo contribuisce alla diffusione dell’infezione e all’insorgenza della malattia nota come COVID-19.
Cosa si sa della nuova variante e sintomi
Il professor Tulio de Oliveira, genetista di spicco nel campo della pandemia di Covid, ha presentato la nuova variante del virus su X (ex Twitter). Il professore è noto per guidare il team che ha individuato la variante Omicron nel novembre del 2021, la quale ha successivamente soppiantato le altre varianti diventando predominante con diversi lignaggi discendenti.
La nuova variante, denominata BA.2.87.1, è stata scoperta tra settembre e novembre dell’anno scorso e inizialmente classificata come Ba.2.X. Al momento, le sue caratteristiche non sono completamente conosciute, ma secondo il professor Raj Rajnarayanan dell’Università Statale dell’Arkansas, che ha analizzato le sequenze genomiche depositate nei database internazionali, non sembra destare particolare preoccupazione in termini di immunoevasività. Quest’ultima si riferisce alla capacità del virus di eludere gli anticorpi neutralizzanti del sistema immunitario, sia quelli indotti dalla vaccinazione anti-Covid che da infezioni naturali precedenti.
Seppure non desti preoccupazioni, è comunque da tenere sotto controllo in quanto si devono ancora individuare i sintomi specifici, per ora li possiamo intercettare nell’elenco dei più comuni delle varianti Covid circolanti, partendo dall’Omicron, come tosse, mal di gola e febbre. La tosse è secca, il naso è congestionato, si soffre di mal di testa, continui starnuti e senso di affaticamento.
Quanto è pericolosa
I dati epidemiologici presentati su X da Tulio de Oliveira evidenziano che la variante BA.2.87.1 è già presente in Sudafrica da diverse settimane. Il genetista ha chiarito che al momento non ci sono segnali di una diffusione ampia della variante e soprattutto non si è verificata un’ascesa significativa per soppiantare le due varianti predominanti nel Paese, ovvero JN.1 e BA.2.86.
I dati provenienti dagli ospedali pubblici impegnati nella sorveglianza della pandemia, soprattutto per quanto riguarda le polmoniti, non indicano un aumento del tasso di casi da quando è stata identificata la nuova variante. Questo suggerisce che al momento BA.2.87.1 potrebbe essere meno immunoevasiva e non rappresentare una particolare preoccupazione in termini di gravità dell’infezione e capacità di diffusione.
Tuttavia, la presenza di molteplici mutazioni è la ragione principale per mantenere stretto controllo sulla variante. Secondo il professor de Oliveira, rispetto alla variante BA.2 (anch’essa facente parte della famiglia Omicron) dalla quale sembra derivare, BA.2.87.1 presenta oltre 30 sostituzioni non sinonime sulla proteina Spike e 7 delezioni, di cui 3 concentrate sulla Spike. Due di queste delezioni, 15-26del e 136-146del, si trovano nel “supersito antigenico del dominio N-terminale”, mentre ci sono mutazioni multiple in importanti siti antigenici nel dominio di legame del recettore.
Il numero e le caratteristiche delle mutazioni presenti nella variante BA.2.87.1 richiedono un attento monitoraggio, ma al momento non ci sono indicazioni di una maggiore pericolosità o diffusività del virus. Riguardo alle origini, si ipotizza che la variante potrebbe derivare direttamente dal lignaggio BA.2 di Omicron, conosciuto anche come la “variante invisibile”.
Questa evoluzione potrebbe essersi verificata in un paziente con un’infezione cronica, poiché nelle persone con immunodeficienza l’infezione può persistere per mesi, consentendo al virus di evolversi in modo significativo attraverso mutazioni. Sarà solo attraverso l’attento monitoraggio dei casi nelle prossime settimane che si potrà comprendere se la variante BA.2.87.1 possieda effettivamente le caratteristiche per diventare una nuova variante di preoccupazione nella pandemia, che sta per entrare nel suo quarto anno.
La variante JN.1 ancora predominante in Italia
Nonostante l’arrivo della variante sudafricana, in Italia è ancora predominante la JN.1., raggiungendo una prevalenza pari al 77%. Tutte queste informazioni si basano sui dati raccolti nell’indagine condotta sui campioni notificati dal 15 al 21 gennaio, rispetto al 38,1% della precedente flash survey svolta dall’11 al 17 dicembre. L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha reso noto che la diffusione della variante d’interesse, derivante da BA.2.86, sta aumentando a livello globale e attualmente rappresenta la variante dominante. Secondo le evidenze attualmente disponibili, la variante JN.1 non sembra comportare rischi aggiuntivi per la salute pubblica rispetto agli altri lignaggi che co-circolano.
Inoltre, secondo quanto riportato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), si nota una co-circolazione di altre varianti virali, seppur con valori di prevalenza in netta diminuzione, riconducibili a XBB, in particolare alla variante d’interesse EG.5. La sua prevalenza nazionale stimata è ora del 7,3%, rispetto al 30,6% della precedente indagine.
In questo attuale scenario, l’ISS raccomanda di continuare a monitorare con grande attenzione la diffusione delle varianti virali, in linea con le raccomandazioni nazionali ed internazionali e con le indicazioni ministeriali. Particolare attenzione è rivolta alle varianti con maggiore trasmissibilità e/o mutazioni correlate a potenziale evasione della risposta immunitaria.
Bollettino Covid: calo dei ricoveri nell’ultima settimana
Buone notizie riguardo all’epidemia di Covid: secondo i dati dell’ultimo monitoraggio settimanale condotto dal Ministero della Salute e dall’ISS, tutti gli indicatori sono in diminuzione. Nel periodo dal 25 al 31 gennaio, i contagi registrati sono stati 3.858, con 115 decessi, ma si osserva anche un calo dell’incidenza e dei ricoveri sia in area medica che in terapia intensiva. Al contrario di come era accaduto nel periodo natalizio, dove era stata segnalato un picco di ricoveri e malati.
Il virologo e direttore sanitario dell’IRCCS Ospedale Galeazzi – Sant’Ambrogio, Fabrizio Pregliasco, ha commentato la situazione definendola “una stagione di virus respiratori che potremmo definire la più pesante degli ultimi 15 anni, con la presenza di un cocktail di virus in cui il Covid è stato predominante soprattutto nel primo periodo dell’inverno”.
Secondo i dati ufficiali dell’ultima settimana, si registra un calo dell’incidenza, che si è attestata nella settimana dal 25 al 31 gennaio a 7 casi per 100.000 abitanti, rispetto ai 10 casi per 100.000 della settimana precedente. L’incidenza settimanale dei casi diagnosticati e segnalati è in diminuzione in quasi tutte le Regioni/Province Autonome rispetto alla settimana precedente. La Regione Veneto riporta l’incidenza più elevata (13 casi per 100.000 abitanti), mentre Basilicata, Sardegna e Sicilia registrano l’incidenza più bassa (1 caso per 100.000 abitanti).
Anche l’indice di trasmissibilità Rt, basato sui casi con ricovero ospedaliero al 23 gennaio, è in flessione, pari a 0,57, leggermente inferiore rispetto alla settimana precedente quando era a 0,60. Per quanto riguarda le varianti, la variante JN.1 conferma il suo ruolo predominante, rappresentando il 75,2% dei campioni sequenziati.