Arrivare presto, in oncologia, è l’obiettivo più importante. Quanto prima si riconosce la presenza di un tumore, tanto maggiori sono di trattarlo con successo. Eppure è anche su questo aspetto che bisogna puntare.
Nel nostro Paese si stima che nel 2023 vi siano state 395.000 nuove diagnosi di tumore (dato AIOM), erano 390.700 nel 2022 e 376.000 nel 2020. Quasi 4 milioni di italiani convivono oggi con una malattia neoplastica solida o del sangue, nel 2005 erano 2,5 milioni. La diagnosi precoce, alla luce anche di queste cifre, deve diventare un fine fondamentale, sia per il singolo che per il sistema sanitario. Solo che, per certe forme tumorali, è tremendamente difficile.
E allora? Allora per chi è ad elevato rischio, arriva una speranza di poter identificare ben prima della loro manifestazione clinica alcune forme tumorali. Come si legge in un comunicato dello stesso ateneo inglese, due studi condotti da ricercatori della Cancer Epidemiology Unit dell’Oxford Population Health hanno scoperto che specifiche proteine presenti nel sangue possono essere in grado di predire il rischio di una persona di sviluppare alcuni tipi di cancro più di sette anni prima che gli venga diagnosticata la malattia.
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Come si sono svolti gli studi
Come detto, siamo solo all’inizio di un percorso. E gli eventuali test che verranno messi a punto saranno almeno inizialmente destinati a soggetti a rischio più elevato di sviluppare tumori, magari per la presenza di predisposizioni genetiche. Certo è che questi, studi, apparsi su una rivista di prestigio come Nature Communications, potrebbero rappresentare una opportunità per sviluppare strategie di prevenzione, terapia e monitoraggio nel tempo su misura per ogni persona.
Sempre riprendendo il comunicato dell’ateneo, nella prima delle due ricerche si sono analizzati campioni di sangue forniti da 44.000 partecipanti alla “Biobank” del Regno Unito, una sorta di “biblioteca biologica” che mantiene nel tempo i risultati di test oltre a valutare come e quanto i soggetti sviluppano patologie. Nella vita, poco più di una su dieci di queste persone, per l’esattezza 4.900, hanno poi sviluppato un tumore. Andando a studiare quasi 1500 proteine all’interno dei campioni di sangue, gli esperti hanno provato a mettere in fila i risultati delle persone che non hanno sviluppato il cancro con i risultati di coloro che hanno poi sviluppato il cancro per vedere se c’erano o meno differenze tra le proteine presenti. Delle 1.463 proteine analizzate, 618 proteine erano associate a 19 diversi tipi di cancro. 107 di queste proteine erano presenti nei campioni di sangue di persone che avevano sviluppato il cancro più di sette anni prima di ricevere una diagnosi. 182 proteine erano presenti nei campioni di sangue di persone che avevano sviluppato il cancro più di tre anni prima della diagnosi.
Insomma, concentrando l’attenzione su specifici parametri si potrebbe tentare di valutare anche già più di 7 anni prima l’eventuale rischio. Come ricorda Keren Papier, epidemiologa nutrizionale senior dell’Oxford Population Health e autrice principale dello studio nella nota stampa dell’ente, ci vuole tempo: “Ora dobbiamo studiare queste proteine in modo approfondito per vedere quali potrebbero essere utilizzate in modo affidabile per la prevenzione – è il suo commento”.
Speranze per una prevenzione su misura
Il secondo studio, coordinato da Karl Smith-Byrne, ha invece preso in esame i dati di oltre 300.000 casi di cancro per scoprire quali proteine del sangue fossero coinvolte nello sviluppo del tumore e potessero diventare un “target” per trattamenti specifici. Sono state identificate 40 proteine nel sangue che influenzavano il rischio di contrarre nove diversi tipi di tumori.
In questo senso, siamo davvero agli stadi ultrapreliminari per una prevenzione farmacologica. La ricerca mostra infatti che se è vero che un eventuale impatto delle cure su queste proteine potrebbe influire sui rischi di sviluppare il tumore, non bisogna sottovalutare il rischio che possano manifestarsi effetti collaterali indesiderati. In questo senso, il passo avanti in laboratorio è molto significativo. Ma lo stesso autore principale della ricerca segnala come al momento ”prima che abbiano luogo gli studi clinici, abbiamo alcune prime indicazioni su quali proteine potremmo evitare di prendere di mira a causa di effetti collaterali indesiderati. Questa ricerca ci avvicina alla possibilità di prevenire il cancro con farmaci mirati, una volta ritenuti impossibili ma ora molto più realizzabili”.
Insomma: ci vogliono ulteriori ricerche per scoprire il ruolo esatto che queste proteine svolgono nello sviluppo del cancro, quali proteine sono le più affidabili da testare, quali test potrebbero essere sviluppati per rilevare le proteine in clinica e quali farmaci potrebbero colpire questi obiettivi.