Pd a rischio scissione, Riformisti in fuga dalla Schlein

Tensione durante la Direzione del partito, all'ala riformista non piace l'appiattimento sui 5 stelle e infuria la guerra fra la Segreteria e De Luca. Ora l'ipotresi di separazione diventa concreta.

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Paolo Viganò

Giornalista di attualità politico-economica

Classe 1974, giornalista professionista dal 2003, si occupa prevalentemente di politica, geopolitica e attualità economica, con diverse divagazioni in ambito sportivo e musicale.

Pd verso la scissione? Le condizioni politiche sembrano esserci. E questa volta non si tratterebbe di una semplice uscita dal partito, come fu quella di Bersani e della cosiddetta ‘ditta’ o quella di Matteo Renzi che fondò l’agonizzante Italia Viva, ma di una vera e propria divisione che vedrebbe tutta l’ala riformista e quella cattolica staccarsi dal Nazareno per imboccare altre vie, evidentemente guardando al centro dove si va creando uno spazio – lasciato libero anche dello spostamento a destra della maggioranza – per un soggetto saldamente legato al Partito Popolare Europeo su cui lavorano i vari Calenda, Renzi, Moratti e un domani, chissà, anche parecchi orfani di Silvio Berlusconi. Per la prima volta la Direzione non ha votato interamente il documento di Elly Schlein, e si sta creando una vasta area di dissenso intorno a Bonaccini fatta sia di cattolici/riformisti, sia di ex DS non allineati alla dottrina della nuova segreteria. Sullo sfondo la faida Schlein/De Luca ed il rischio implosione sempre più vicino.

Direzione, tensione Schlein

Ciò che larghe fette del partito contestano alla Schlein non è tanto lo spostamente a sinistra dell’asse politico del partito, peraltro necessario dopo anni di filocentrismo, quanto piuttosto l’assenza di una linea politica definita surrogata invece da presenzialismo di piazza e massimalismo fine a se stesso sui temi civili. Ultimo capitolo la partecipazione di Schlein alla manifestazione del M5s sul lavoro, con la segretaria Pd che non era a conoscenza dell’intervento dal palco del redivivo Beppe Grillo su “passamontagna e brigate di cittadinanza”, né dell’uscita di Moni Ovadia contro la “Nato dei buffoni”, e che ne ha dovuto rispondere in direzione. Quello che vedono i riformisti è un appiattimento sulle posizioni pentastellate, cui Schlein risponde con la necessità di alleanze vista la non autosufficienza elettorale del Pd.

Il peccato originale

Ma il problema di fondo di Elly Schlein restano le primarie, con la loro curiosa struttura secondo cui è il voto del gazebo – quindi di iscritti, non iscritti, simpatizzanti, odiatori, chiunque – vale più di quello degli iscritti e dei militanti, dove aveva prevalso col 60% Stefano Bonaccini. Il dubbio che Elly sia stata issata alla guida del partito da un voto estraneo a quello del Pd è il classico elefante nella stanza. E infatti è stato proprio Bonaccini a mettere sul tavolo il problema identitario: “Il Pd non può andare a rimorchio, «spetta al Pd svolgere il ruolo di perno nella costruzione di una alternativa al centrodestra”.

Il mancato voto al documento Schlein

Fonti interne al Partito democratico puntualizzano che il sì della odierna direzione nazionale è relativo al “dispositivo in sette punti sulle future mobilitazioni” e che “sarebbe la prima volta che nel Pd non viene approvata la relazione del segretario al termine della direzione”. Il via libera riguarderebbe dunque solo una parte dell’intervento pronunciato dalla segretaria, Elly Schlein.

Riformisti intorno all’area Bonaccini

Una scissione sarebbe ovviamente deleteria, e infatti Renzi soffia sul fuoco, e sia la segretaria che i riformisti faranno il possibile per evitarla. Tiuttavia si sta già approntando un ‘Piano B’ con Bonaccini, che ha creato una propria area (“corrente” non è più consentito) intorno a cui radunare l’area di dissenso. “Mentre le correnti classiche si formavano dopo ogni congresso per contare di più e avere dei posti anche nelle liste elettorali, questa nasce e finirà con la Schlein”, spiega uno degli ispiratori dell’operazione. Bonaccini non vuole poltrone, «voglio solo rappresentare l’area che mi ha sostenuto fino al prossimo congresso”.

La corrente Base Riformista, nata dalle ceneri del renzismo una volta uscito dal partito l’ex premier, confluisce dentro questa area più vasta, per far assumere una nuova fisionomia al nutrito gruppo di cattolici-moderati ma anche ex diessini che non aderiscono alla dottrina Schlein.

L’attacco di Guerini

Il personaggio più in vista dell’area è certamente Lorenzo Guerini, ex ministro della Difesa, che attacca sui temi ma prova ad allontanare lo spettro del divorzio: “Sei stata inutilmente polemica – ha detto alla Schlein -. Nessuno vuole azzopparti, ma chi guida deve farsi carico della complessità dei passaggi»”, le ribatte. “Fare degli strappi sì, ma bisogna preoccuparsi che tutta la comunità poi li segua”, le consiglia l’attuale presidente del Copasir. Non manca una rasoiata a Renzi (“io non farò la fine di allearmi con la destra”). “Noi il Pd lo abbiamo fondato e non ce ne andiamo”, attacca Alessandro Alfieri sulla stessa lunghezza d’onda. “Spero che le critiche a te non siano considerate lesa maestà. Le posizioni sull’Ucraina dei 5stelle sono irricevibili”. Dunque sinistra e riformisti marcano il territorio dem.

La guerra con De Luca

Altro fronte caldo per la segreteria è quello col governatore della Campania Vincenzo De Luca, che Schlein non vuole ricandidare alla guida della Regione e glilo ha fatto capire rimuovendo il figlio Piero dal ruolo di capogruppo. Molto dipenderà dai tempi del congresso regionale, che De Luca vorrebbe far svolgere al più presto, perché vive come uno schiaffo personale il commissariamento deciso dal Nazareno. Un militante salernitano del Pd è chiaro sull’argomento: “In un modo o nell’altro (cioè dentro o fuori il Pd) De Luca si ricandiderà per il terzo mandato – assicura –. Comunque, mancano ancora tre anni, vedremo quale sarà la situazione, se Schlein sarà ancora al Nazareno”.