La presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde ha attaccato l’Italia durante la sua audizione al Parlamento europeo, perché il nostro Paese è l’unico a non aver ancora ratificato con un voto parlamentare il Meccanismo europeo di stabilità, il Mes. Lagarde ha detto di augurarsi che questo avvenga il prima possibile, ma il testo è bloccato in Parlamento da anni.
La ratifica del Mes non significa il suo utilizzo, ma soltanto l’entrata in vigore dei trattati che permetterebbero di usarlo e che l’Italia ha già firmato. Per tutti i governi che si sono succeduti dall’elaborazione della riforma di questo strumento però, un voto parlamentare su questo argomento è stato un rischio politico impossibile da correre.
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Cosa ha detto Lagarde sul Mes e l’Italia
Lagarde non ha nominato direttamente l’Italia nella sua audizione. Ma, parlando del Mes, soltanto il nostro Paese non ha ancora ratificato la riforma del meccanismo europeo di stabilità e sta impedendo ai trattati di entrare ufficialmente in vigore. Ha detto la presidente della Bce, nel suo discorso:
C’è un Paese che non lo ha ancora ratificato e che impedisce al Mes di svolgere la sua missione e la sua funzione, ovvero quella di sostegno nei confronti dei Paesi membri o persino delle istituzioni finanziarie. La mia più grande speranza è che alla fine trovi la sua destinazione, come previsto.
L’Italia sta bloccando l’attuazione del Mes da anni. I trattati per la riforma sono stati firmati nel 2021, ma da allora il Parlamento non li ha mai ratificati. Senza questo passaggio, lo strumento rimane inutilizzabile non solo dal nostro Paese, ma da tutta Europa.
Cos’è il Mes e perché va ratificato
Il Meccanismo europeo di stabilità è stato istituito nel 2012, sostituiva il vecchio Fondo salva stati e serve per fornire assistenza ai Paesi membri che si trovano in difficoltà finanziaria a causa della speculazione. La riforma, pensata nel 2021, prevede che questi fondi possano essere utilizzati non solo per gli Stati, ma anche per i salvataggi delle banche, su richiesta dei singoli Paesi membri.
Permetterebbe inoltre ai Paesi in difficoltà di emettere titoli di Stato “single limb CAC“, che prevedono una clausola che consente al Paese che li emette di restituire ai creditori meno denaro di quanto prestato. Il Mes è già stato firmato da tutti i Paesi dell’Eurogruppo, Italia inclusa. Va ratificato perché tutte le modifiche ai trattati dell’Ue prevedono un voto del Parlamento di ogni singolo Stato coinvolto, in questo caso di quelli che adottano l’euro.
Perché l’Italia non ratifica il Mes
Non c’è una ragione tecnica per cui l’Italia non ratifica la riforma del Mes. Gli strumenti messi a disposizione sono largamente apprezzati da tutti i Paesi membri, perché rafforzano la solidità finanziaria degli Stati e delle banche con uno strumento di emergenza. Si tratta, nel nostro Paese, di una questione puramente politica.
Il Mes, nella propaganda dei partiti, è legato alla cosiddetta Troika, le tre istituzioni (Bce, Fmi e Commissione europea) che intervennero nel 2011 per salvare i Paesi a rischio fallimento come Italia e Grecia. La ratifica del Mes, secondo la visione di chi è contrarioallo strumento, aprirebbe le porte all’arrivo di queste istituzioni nella politica economica dei Paesi. In realtà, come visto, la riforma del Mes non riguarda in nessun modo questo scenario.
Il motivo per cui il Mes non è mai stato ratificato è che, dal 2022, ogni voto sulla sua ratifica ha rischiato di creare una crisi di Governo. Ogni esecutivo, infatti, aveva al suo interno forze contrarie per principio al Mes, in quanto ricordo dell’austerità seguita alla crisi finanziaria. Nel Governo Draghi era favorevole il Pd, ambigua Forza Italia, contrari Lega e M5S.
Oggi, nel Governo Meloni, la situazione è più complessa. Fratelli d’Italia ha per anni fatto propaganda contro la riforma del Mes, ma ora Meloni si è guadagnata una posizione di riguardo in Ue e trova complesso riproporre la stessa retorica. La Lega di Salvini, al contrario, rimane fermamente opposta. Un voto in Parlamento rischierebbe di creare spaccature nell’esecutivo, un rischio che la presidente del Consiglio non sembra voler correre.