Medio Oriente, gli incentivi Usa agli Houthi e la barriera di Israele per Gaza

La guerra per Gaza rivela dettagli troppo importanti per restare in secondo piano: una linea di confine in filo spinato tra nord e sud della Striscia e un'offerta in denaro avanzata ai ribelli yemeniti da mediatori degli Usa

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Mentre Israele continua a dirsi pronto a un’offensiva su Rafah e Hamas continua ad agitare il ricatto degli ostaggi, con gli Usa che predicano ancora la de-esclation e chiedono a Netanyahu di aprire i valichi per gli aiuti a Gaza, la guerra in Medio Oriente rivela alcuni dettagli decisamente importanti per essere lasciati in secondo piano.

Uno di questi elementi riguarda la costruzione israeliana di una linea di confine militare tra nord e sud di Gaza, sullo sfondo di un imminente attacco al limite meridionale della Striscia, dove sono ammassati oltre un milione di sfollati palestinesi in fuga dalla guerra e dove, secondo lo Stato ebraico, si nascondono le ultime sacche di resistenza di Hamas compreso l’inafferrabile capo militare Yahya Sinwar. Il secondo elemento riguarda alcuni “incentivi” che gli Usa avrebbero offerto agli Houthi per mettere fine agli attacchi nel Mar Rosso.

Israele pronto a un’offensiva su Rafah?

I piani “ampiamente respinti” per un’invasione massiccia della città palestinese di Rafah, mai accantonata da Israele, sarebbero secondo l’Egitto inefficaci e metterebbero a repentaglio i rapporti del Paese con Israele. Lo ha detto il capo dell’Ufficio stampa statale Diaa Rashwan. Marciando su Rafah lo Stato ebraico rischia grosso, poiché “metterebbe a repentaglio oltre quattro decenni di pacifiche relazioni egiziano-israeliane”, ha detto Rashwan, e le forze del premier Benjamin Netanyahu tornerebbero “a mani vuote”. “Se entrerà a Rafah, Netanyahu non potrà offrire al popolo israeliano nulla che possa portare conforto alle famiglie degli ostaggi, né ritornerà con le teste dei leader di Hamas mozzate, né riuscirà a fermare l’attacco lanciato da Gaza”. L’Egitto ha fatto sapere che “non romperà mai le sue relazioni con nessun Paese, a meno che la sua sicurezza nazionale o la causa palestinese non siano messe a repentaglio”.

Dopo mesi di annunci e frenate, l’esercito israeliano si prepara dunque a finire il lavoro su due fronti: a sud, nella Striscia ormai quasi rasa al suolo, e nel nord, costantemente preso di mira dai razzi di Hezbollah dal sud del Libano. Il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha annunciato l’avvio di “un’azione offensiva” al confine, con decine di raid aerei e attacchi di artiglieria che hanno colpito “40 obiettivi”, e ha rivendicato l’uccisione “di metà dei comandanti” dei miliziani sciiti filo-iraniani nell’area. Nonostante il sempiterno monito degli Stati Uniti e degli altri alleati occidentali a non attaccare Rafah senza aver prima evacuato gli sfollati (operazione che richiederebbe altre 4-5 settimane, secondo fonti americane), le truppe attendono soltanto il via libera del governo. Tanto che, riferiscono fonti di stampa, il direttore dello Shin Bet, Ronen Bar, e il capo di Stato maggiore, Herzl Halevi, si sono recati al Cairo per incontrare il capo dell’intelligence egiziana e altri funzionari militari per discutere i piani per l’imminente offensiva.

Intanto cresce la preoccupazione per le accuse rivolte a Israele per il caso dei corpi sepolti in fosse comuni nei dintorni degli ospedali di Gaza. Tel Aviv continua a negare qualsiasi responsabilità, spiegando che l’esercito ha disseppellito, “trattandoli con dignità”, cadaveri sepolti in precedenza mentre cercava i corpi di ostaggi uccisi. Anche l’Ue ha sostenuto “un’indagine indipendente su tutti i sospetti e tutte le circostanze” relative alle fosse comuni, “perché tutto questo crea l’impressione che potrebbero essere state commesse violazioni dei diritti umani internazionali”.

Israele costruisce una barriera tra nord e sud di Gaza

Il grande piano finale di Israele prevede il controllo totale sulla fascia di territorio che va dal Mediterraneo alla Valle del Giordano. Per riuscirci, Tel Aviv è intenzionata a mettere in atto un programma terribile per Rafah: l’ammassamento dei palestinesi in un fazzoletto di terra ancora più striminzito nell’ovest della Striscia, a ridosso del mare. Si tratta della zona di Al Mawasi, definito “il deserto della Striscia” per la totale assenza di infrastrutture e di condizioni abitative: niente acqua, niente elettricità, niente cibo. Un inferno nell’inferno, in cui dovrebbero essere allestiti 15 accampamenti, ognuno composto da 25mila tende e attrezzato con strutture mediche pagate da Usa e Paesi arabi. In ogni accampamento verrebbe stipata la quantità impressionante di 120mila persone.

Un’altra parte del piano israeliano riguarda la costruzione, già praticamente ultimata, di una linea di confine tra il nord e il sud di Gaza. L’esercito ebraico ha realizzato una rete di filo spinato che va dal confine est al mare, con due posti di blocco: uno lungo la strada Salah Al-din, che percorre tutta la Striscia da nord fino a Rafah, e l’altro sulla strada costiera Al Rashid. Il posto di blocco sulla strada costiera consentirebbe ai residenti palestinesi di andare da nord a sud, mentre “molte persone sono state uccise quando hanno cercato di tornare verso nord”. Secondo fonti locali, la barriera non sembra costruita per essere rimossa dopo la guerra, ma piuttosto appare destinata a diventare permanente, evocando di fatto l’idea delle intenzioni israeliane per il futuro politico della Striscia.

La storia degli “incentivi” Usa agli Houthi per bloccare gli attacchi

Una squadra di mediatori hanno consegnato messaggi degli Stati Uniti al gruppo yemenita Houthi, offrendo “incentivi” in cambio della cessazione degli attacchi nel Mar Rosso. Come riportato da fonti politiche yemenite al quotidiano emiratino The National, “in risposta ai tentativi del gruppo sciita di prendere di mira le navi occidentali, gli Usa non solo hanno fatto ricorso all’azione militare, ma hanno anche cercato di presentare proposte che incentivino i militanti a fermare i loro raid”. Questi incentivi sono pervenuti ai ribelli a San’a nelle ultime settimane. A veicolarli sono stati inviati e mediatori, compresi funzionari occidentali, in una rete di trattative che ha visto anche un ruolo importante svolto dall’Oman, candidata a futura sede politica dei leader di Hamas in esilio.

Secondo un’altra fonte yemenita, gli incentivi offerti “consistono in misure volte a dimostrare le buone intenzioni di Washington, come l’accelerazione del processo di pace in Yemen, la cessazione del conflitto e la revoca totale del blocco” all’aeroporto di San’a e al porto di Hodeidah. “Logicamente questi passi richiederebbero che gli Usa riconsiderassero la sua designazione degli Houthi come organizzazione terroristica e ne riconoscessero l’autorità in alcune aree del Paese mediorientale”. Le due fonti non hanno voluto precisare quale sia stata la risposta degli Houthi. Da parte loro, i funzionari statunitensi non hanno rilasciati commenti né smentite.