La guerra è un inferno in terra, ma ha delle regole (come abbiamo spiegato qui). Nell’Ottocento delle guerre napoleoniche i conflitti armati erano talmente “regolarizzati” da non spingere alcun ufficiale a prendere deliberatamente di mira i civili. Principalmente perché abitazioni, ricoveri, taverne e villaggi erano essenziali per rifornire centinaia di migliaia di soldati in marcia per settimane e mesi, a piedi, attraverso l’Europa. Ma anche perché la guerra era una questione tra gentiluomini che comandano masse di soldati contro altre masse di soldati. Disumano, ma ligio alle regole. Duecento anni dopo, come dimostrano le guerre in Ucraina e in Medio Oriente, abbiamo fatto parecchi passi indietro verso la disumanità.
Senza farne un discorso squisitamente morale, che condannerebbe la guerra senza se e senza ma, cerchiamo di intenderci sugli aspetti legali del diritto internazionale. E dunque dobbiamo chiederci: Israele e Hamas rispettano queste regole? Oppure hanno commesso crimini di guerra? E ancora: cosa si intende per crimine di guerra? Per tentare di rispondere bisogna raccogliere il coraggio di dire le cose come stanno, al di là degli schieramenti internazionali, al di là della retorica di chi protegge Israele e di chi identifica la Palestina con Hamas. Al di là del bene e del male, avrebbe scritto qualcun altro. Proprio come lui, come Nietzsche, dobbiamo provare a cimentarci in “un’impresa estremamente ardita e densa di responsabilità”.
Cos’è un crimine di guerra e chi lo decide
La Prima Guerra Mondiale è stato un incubo a occhi aperti, la Seconda ha svegliato chi era ancora rimasto a dormire. La bomba atomica ha fatto finire di colpo le ostilità, come ha dimostrato la lunga pace chiamata Guerra Fredda e la deterrenza che ancora oggi “congela” le superpotenze, ma ha anche segnato un punto di non ritorno. Le derive totalitarie e suprematiste e le atrocità che si sono viste sui campi di battaglia nella prima metà del Novecento hanno convinto tutti gli Stati a dotarsi di un corpus normativo per regolare i conflitti armati, denominato diritto internazionale umanitario. A quel punto serviva un organo super partes, composto da rappresentanze delle varie nazioni, investito dell’autorità di far rispettare il diritto e, nel caso, condannare i trasgressori.
Nel 1949 nascono così le quattro Convenzioni di Ginevra, ancora oggi il cuore del diritto internazionale umanitario, soprattutto per quanto riguarda due ambiti fondamentali:
- la protezione dei non combattenti (civili e soldati arresi) e dei bambini durante i conflitti armati;
- le restrizioni sul tipo di azioni intraprese durante i combattimenti, come l’uso di armi chimiche o di distruzione di massa.
Per crimine di guerra si intende tecnicamente “una grave violazione del diritto internazionale umanitario”, sancito dalle Convenzioni di Ginevra e dai protocolli aggiuntivi del 1977 e del 2005. Oltre alla CPI, che ha giurisdizione soltanto nei 123 Paesi che aderiscono allo Statuto di Roma, i crimini di guerra possono essere perseguiti anche dai Tribunali interni ai Paesi e dai Tribunali penali ad hoc istituiti dall’Onu. Un crimine di guerra è dunque un’azione che disattende le regole espresse dal diritto internazionale, e dunque dalle Convenzione e dalla giurisprudenza dei Tribunali internazionali. Rientrano nell’elenco dei crimini di guerra:
- gli attacchi diretti e intenzionali contro la popolazione civile o che si sa arrechino danno ai civili, ma anche contro infrastrutture non militari (ospedali, edifici storici o religiosi, scuole e musei);
- gli attacchi che comportano perdite sproporzionate di civili o danni sproporzionati all’ambiente;
- gli attacchi a città, villaggi, abitazioni o edifici indifesi che non costituiscono obiettivi militari;
- la deportazione da parte della potenza occupante della popolazione civile o di una sua parte verso altri territori;
- il blocco dei rifornimenti indispensabili alla sopravvivenza dei civili con l’intento di farli morire di stenti;
- la presa di ostaggi civili;
- l’uso di armi chimiche e biologiche come veleni, gas asfissianti o tossici e bombe a grappolo.
Queste regole sono state ratificate da tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite – che è il modo con cui gli Alleati chiamavano loro stessi durante la Seconda Guerra Mondiale – e integrate da sentenze dei tribunali internazionali sui crimini di guerra. La quarta Convenzione di Ginevra, adottata nel 1949, dispone la protezione dei civili anche nei territori occupati. Il 6 luglio 1951 sul documento comparve anche la firma del neonato Stato di Israele, che ne avrebbe poi presto disatteso i dettami.
Un’altra data chiave è il 1998, anno in cui a Roma nasce la Corte Penale Internazionale, il tribunale che dal 2002 in avanti avrebbe dovuto giudicare i cosiddetti “core-crimes”, cioè genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e crimini di aggressione. Il contenuto dello Statuto di Roma ripercorre interamente il perimetro normativo già contenuto nelle Convenzioni di Ginevra, aggiornandone però le fattispecie e lo “spirito” alla luce delle Guerre Jugoslave degli Anni Novanta.
Differenze tra crimini contro l’umanità, aggressione e genocidio
Le circostanze in cui si configura un crimine di guerra sono molto simili a quelle che caratterizzano un crimine contro l’umanità. Si tratta tuttavia di due fattispecie differenti, definite agli articoli 7 e 8 dello Statuto di Roma. In sostanza a cambiare e fare la differenza è il contesto in cui tali crimini vengono commessi: e cioè se si in un conflitto armato o meno. Un confine labile che tuttavia rende ancora più fumosa la distanza tra i due crimini, visto il drammatico diffondersi della cosiddetta guerra ibrida e il bando, già nel 2001, dell’inconsistente guerra al terrorismo (che non rappresenta un soggetto univoco, statale e geopolitico). Nel caso dei crimini contro l’umanità, la definizione ufficiale parla di “un esteso o sistematico attacco contro popolazioni civili, con la consapevolezza dell’attacco”.
Si parla invece di genocidio quando le azioni di uno Stato, o di chi porta avanti l’azione politica e militare, agisce con l’intenzione di eliminare completamente un gruppo nazionle, etnico, razziale o religioso. Il crimine di aggressione, infine, si configura quando un gruppo o una persona che detengono il potere politico o militare di uno Stato, aggrediscono un altro Stato in violazione della Carta delle Nazioni Unite. Proprio in questi giorni la Turchia ha intentato una causa contro Netanyahu presso la CPI, accusandolo di “genocidio” nella Striscia di Gaza.
I tribunali internazionali nella storia
Per la prima condanna da parte della CPI bisogna attendere ben dieci anni dalla sua entrata in vigore. Nel 2012, la Corte dichiara Thomas Lubanga Dyilo colpevole di crimini di guerra nella Repubblica democratica del Congo e, in particolare, per aver reclutato e arruolato bambini soldati nel braccio armato delle FPLC (Forze Patriottiche per la Liberazione del Congo), coinvolto anche in altre gravi violazioni dei diritti umani. L’aspetto interessante, che creerebbe una giurisprudenza compatibile con la guerra di Israele, è che il diritto internazionale è stato esplicitamente applicato a un conflitto armato regionale, di natura interna, e non di carattere internazionale. Il crimine di guerra è stato giudicato secondo l’articolo 8 dello Statuto, relativo appunto ai conflitti armati di carattere non internazionale.
Un conto è però la condanna, un altro conto è l’applicazione della condanna. Il processo a Lubanga Dyilo si è protratto per diversi anni, dall’arresto nel 2005 alla consegna alla Corte nel 2006, da rinvio a giudizio nel gennaio 2007 al processo di primo grado effettivo nel 2009. Un caso che ha ribadito la sostanziale inconsistenza della CPI, che ha raccolto di fatto l’eredità di Tribunali e processi che l’hanno preceduta.
Da Norimberga al Ruanda, passando per l’Aia
A cominciare dal celeberrimo Processo di Norimberga del 1945, che ha visto alla sbarra degli imputati i gerarchi nazisti all’epoca ancora in vita. Le accuse erano di cospirazione contro la pace, crimini di guerra, genocidio, riduzione in schiavitù, deportazione e persecuzione su base razziale, politica e religiosa. Il Processo di Norimberga è un momento storico fondamentale per il diritto internazionale per un motivo principale: non solo perché i responsabili della Shoah sono chiamati a rispondere dei loro crimini, ma anche perché vengono sanciti precetti fondamentali per il futuro, i cosiddetti Principi di Norimberga. Per la prima volta si sanciva, ad esempio, che il diritto interno di uno Stato viene sovrascritto, e quindi assume minore importanza, in presenza di un crimine internazionale. Come nel caso della deportazione di esseri umani, che era del tutto legale nella Germania nazista.
Un’altra data fondamentale per la definizione del diritto internazionale è il 1993. All’Aia, in Olanda, le Nazioni Unite fondano un Tribunale Penale Internazionale per giudicare i crimini commessi nei Balcani durante le guerre scoppiate dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Tra gli imputati principale c’è Slobodan Milosevic, primo presidente della Repubblica federale di Jugoslavia e poi presidente della Serbia, accusato di crimini contro l’umanità per essere stato il mandante della vasta operazione di pulizia etnica contro la popolazione musulmana in Croazia, Bosnia ed Erzegovina e Kosovo. La sentenza nei suoi confronti, tuttavia, non arriverà mai. Nel 2006, a processo ancora in corso, Milosevic viene trovato morto nella sua cella.
Sempre negli Anni Novanta, e sempre per iniziativa delle Nazioni Unite, compare un Tribunale Internazionale anche in Ruanda. L’obiettivo è processare i responsabili del terribile genocidio perpetrato durante la guerra civile che ha dilaniato il Paese. Nel 1994, l’etnia Hutu al potere ordina il massacro di quasi un milione di persone dell’etnia rivale Tutsi. Un genocidio in piena regola, portato avanti con una crudeltà inaudita per un centinaio di giorni, sotto gli occhi del mondo. Al processo si stabilisce per la prima volta che lo stupro di massa rappresenta un atto volto a perpetrare un genocidio, con lo scopo dichiarato di cancellare completamente un’etnia. Il caso del Ruanda diventa un unicum anche per un altro motivo: stavolta si arriva alla condanna degli imputati principali, tra i quali figura il primo ministro ad interim Jean Kambanda, primo capo di un governo a essersi dichiarato colpevole di genocidio. Per questo e altri capi di accusa di crimini contro l’umanità, Kambanda viene condannato all’ergastolo, che sta scontando tutt’ora in Mali.
Intanto il fronte della guerra mediorientale si allarga con un nuovo nemico di Israele: ecco chi è.
I crimini di guerra di Israele e Hamas
Quando si parla di questione israelo-plaestinese, il discorso si fa estremamente delicato. Innanzitutto perché parliamo di un conflitto in corso dal secondo Dopoguerra, con da una parte Israele che ha invaso e occupato territori che erano nella disponibilità delle popolazioni musulmane stanziate nella regione, e dall’altra masse di arabi e palestinesi che sono state agitate come scudo e come armi da egemoni e attori regionali, se non globali. Abbiamo però fatto la promessa di dire le cose come stanno.
E allora cominciamo col dire questo: con i pogrom compiuti da Hamas il 7 ottobre, la Corte Penale Internazionale ha aperto un nuovo dossier sulla questione israelo-palestinese. La mattina di quel tragico sabato il mondo ha assistito inerme all’esecuzione di massa di centinaia di ragazzi che partecipavano a un rave party. Da quel momento Israele ha avuto l’occasione per “ripulire” almeno parzialmente la propria immagine a livello mondiale, evitando di essere equiparato ad Hamas. La ritorsione nei confronti di Gaza, però, è andata esattamente nella direzione opposta e ne ha esasperato le nefandezze. E ha configurato la stessa accusa rivolta ai fondamentalisti della Striscia: crimini di guerra.
Quali sono questi crimini? Uccisioni deliberate di civili, rapimenti di persone tenute in ostaggio, bombardamenti e razzi su case e ospedali, blocco degli aiuti umanitari, punizioni collettive, torture. Sono stati commessi sia da Israele sia da Hamas. L’assassinio di 1.400 persone e il sequestro di oltre 240, portate poi all’interno dell’enclave, sono le principali accuse mosse contro i fondamentalisti islamici. L’assedio totale della Striscia – dove mancano ormai quasi del tutto acqua, cibo elettricità e farmaci – e l’evacuazione illegale di civili sono altre due fattispecie in capo a Israele, che da parte sua non sente di dover obbedire al principio dell’autodeterminazione dei popoli per quanto riguarda i palestinesi. In quanto forza occupante, Israele è tenuto a garantire il sostentamento dei civili nella Striscia. Se non lo fa, come avviene, commette un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità.
A scanso di equivoci e obiezioni tendenziose, trattiamo anche la questione dell’allontanamento forzato dei civili da Gaza. Se si tratta di evacuazione temporanea di civili dalle zone di guerra, la procedura è legale. Israele non ha però mai fatto tornare civili palestinesi nelle zone in cui vivevano e che lo Stato ebraico ha occupato nel corso dei decenni, dando vita dunque a quello che si definisce sfollamento permanente. Che è illegale. Senza dimenticare che l’evacuazione dei civili deve essere fatta in ogni caso, per garantire la loro incolumità. Israele si oppone anche a questa pratica, oltre che a quella del sostentamento della popolazione sotto assedio nella Striscia, impedendo l’apertura di valici di frontiera e corridoi umanitari.
Il reiterato rifiuto di un cessate il fuoco, infine, impedisce di assolvere “imperativi critici per i diritti umani”, come ha sottolineato Volker Türk, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. Ogni giorno, questi crimini di guerra vengono commessi a ripetizione. A dirlo sono gli stessi organi che hanno inventato il diritto internazionale e che dovrebbero farlo rispettare, come l’Onu. Ma allora perché nessuno interviene? Perché le condanne si fermano alle parole?
Verrà aperta un’indagine per crimini di guerra a Gaza?
La Corte Penale Internazionale ha già un’indagine in corso, aperta nel 2021, sulle accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi nei territori palestinesi occupati.
Prima questione: Israele non riconosce la giurisdizione della Corte Penale Internazionale e non si sente costretta a rispettarne le decisioni, né a collaborare alle indagini. Come del resto fanno tante altre nazioni, incluse le tre più grandi potenze del mondo, che non ne fanno proprio parte: Cina, Stati Uniti, Russia (che intanto danno vita a un “tutti contro tutti” in Asia Centrale: ecco perché). Ma anche India ed Egitto, che riconoscono la Palestina come Stato membro.
Seconda questione: Israele si sente autorizzata a rispondere come crede agli attacchi di Hamas in nome della legittima difesa nazionale. Al di là del fatto che il diritto internazionale non assume la difesa dello Stato come giustificazione a eventuali crimini di guerra, l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite conferisce agli Stati il diritto di autodifesa contro attacchi armati. A una precisa condizione, però: a patto cioè che la forza di risposta militare sia necessaria e proporzionata alla minaccia, senza superare il limite della pura difesa. Dall’altro lato, la proporzionalità dell’autodifesa non corrisponde a una simmetria nel tipo e nel numero di armi utilizzate o di vittime causate.
Terza questione: la punibilità di Hamas. L’organizzazione fondamentalista è già riconosciuta come terroristica da molti Paesi, ma ad aderire alla CPI nel 2015 è stata l’ANP (Autorità Nazionale Palestinese) e non Hamas. La firma consente alla Corte la giurisdizione sui territori palestinesi in materia di diritto umanitario, ma non di perseguire un’entità non statuale o rappresentativa della Palestina come Hamas. Tuttavia il procuratore capo della CPI ha affermato di poter riuscire a processare Hamas per crimini di guerra.