La guerra potrebbe estendersi al di fuori di Israele?

C’è una reale possibilità che il conflitto tra Israele e Hamas si espanda oltre i confini territoriali? Se sì, dove? E cosa si rischia?

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Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

La minaccia di un’escalation della guerra tra Israele e Hamas è da giorni l’argomento dominante nei media internazionali. “Israele si sta preparando per l’invasione di terra a Gaza ma non è possibile dare altri dettagli al momento”, ha dichiarato proprio in queste ore il premier Benyamin Netanyahu parlando alla Nazione. “Abbiamo eliminato migliaia di terroristi, e questo è solo l’inizio”, ha poi aggiunto. Ma qual è il rischio che il conflitto si estenda oltre i confini?

Dove e come potrebbe estendersi il conflitto

L’invasione di Gaza da parte di Israele potrebbe far degenerare la guerra in un conflitto regionale più ampio, dicono gli esperti.

Al momento gli occhi di molti sono per esempio puntati su un paese, il vicino settentrionale di Israele: il Libano, sede del partito politico e del gruppo militare radicale sciita Hezbollah, sostenuto da Hamas e dall’Iran. Hezbollah mira alla distruzione di Israele ed è classificato come organizzazione terroristica in molti paesi occidentali. Inoltre, militarmente è anche molto più potente di Hamas. Il motivo per cui si continuano a osservare le dinamiche di questi territori è semplice:se l’offensiva israeliana a Gaza si espandesse in quelle parti di territorio controllate dal gruppo terroristico libanese, il risultato sarebbe una possibile guerra su due fronti.

Quello che sappiamo è che nelle ultime settimane i soldati israeliani avrebbero già ucciso combattenti armati che avanzavano fino a Israele in ripetuti scontri a fuoco lungo il confine, che tuttavia non sono degenerati in conflitti più estesi.

Nel frattempo, in Iran il ministro degli Esteri Hossein Amirabdollahian ha già fatto riferimento alla possibilità di una “azione preventiva” contro Israele. Finora non esiste alcuna prova chiara che l’Iran sia stato attivamente coinvolto nei preparativi per gli attacchi terroristici di Hamas. Sebbene Hamas sia noto per essere sostenuto dall’Iran, in passato ha anche ripetutamente preso decisioni per conto proprio.

“Non possiamo escludere che l’Iran scelga di impegnarsi direttamente in qualche modo”, ha detto recentemente all’emittente americana CBS il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan. “Dobbiamo prepararci per ogni possibile contingenza”. Questo scenario preoccupa soprattutto perché l’intervento diretto dell’Iran potrebbe trascinare numerosi altri stati, come la Siria, l’Iraq e il principale alleato di Israele, gli Stati Uniti, direttamente nel conflitto.

Infine, a causa del confine diretto sia con Israele che con Gaza, l’Egitto è direttamente colpito dalla guerra. Avendo mantenuto per molti anni relazioni diplomatiche sia con Israele che con i palestinesi, nelle ultime settimane il Paese è diventato un fulcro della politica internazionale.

Finora, il presidente Abdel Fattah el-Sissi ha rifiutato di accogliere gruppi più numerosi di rifugiati palestinesi, perché si teme che i combattenti di Hamas possano entrare e stabilire contatti con i “Fratelli Musulmani”, un gruppo considerato nemico dello Stato Egiziano. “Il Sinai diventerebbe la base per ulteriori attacchi contro Israele”, ha detto al-Sissi la settimana scorsa. Ciò, a sua volta, potrebbe provocare attacchi israeliani sul territorio egiziano e reazioni a catena imprevedibili.

C’è il rischio di una reazione a catena in Europa?

Anche l’Europa è sempre più preoccupata di essere coinvolta nel conflitto. Mentre il Regno Unito e gli Stati Uniti hanno già inviato navi da guerra nella regione, gli stati dell’Unione Europea stanno intensificando i piani di sicurezza. Il piano anti terrorismo di Giorgia Meloni, per esempio, punta a blindare l’Italia per evitare il rischio di emulazione, mentre la Germania ha aumentato i controlli di sicurezza attorno alle istituzioni ebraiche.

Secondo gli esperti di sicurezza, infatti, sarebbero aumentate le probabilità di violenze e attacchi terroristici da parte di simpatizzanti di Hamas sul suolo europeo. Già la scorsa settimana individui non identificati hanno tentato di dare un incendio doloso ad una sinagoga di Berlino, a Bruxelles c’è stato un attentato rivendicato dall’Isis e diverse evacuazioni ci sono state in Francia (al Louvre di Parigi e alla Reggia di Versailles) dopo due allarmi bomba nel giro di pochi giorni.

Per l’Europa, al momento, il problema è uno. Non sono solo le strategie geopolitiche delle potenze regionali a giocare un ruolo nei diversi scenari, ma decenni di risentimento, propaganda mirata e crescente disinformazione hanno creato una miscela pericolosa che ora più che mai potrebbe essere difficile da controllare.

Ecco perché le prossime mosse di Israele preoccupano

La strada che intende percorrere Israele, intanto, non sembra essere quella della mediazione. Al contrario, il premier Benyamin Netanyahu nel suo discorso alla Nazione ha fatto sapere che l’esercito israeliano si sta preparando a un’invasione di terra: “Non condividerò i dettagli su come e quando e su quali siano le considerazioni, la maggior parte delle quali non sono affatto note al pubblico. Tutti i membri di Hamas sono morti che camminano. Insieme a Gallant, Gantz, il capo di stato maggiore e i capi delle organizzazioni di sicurezza, stiamo lavorando per raggiungere gli obiettivi di guerra fino alla vittoria, senza considerazioni politiche”.

“Il 7 ottobre è stato un giorno nero. Chiariremo tutto quello che è successo. Tutti dovranno dare spiegazioni per quell’attacco, a cominciare da me” ha poi aggiunto lo stesso. “Ma – ha continuato – solo dopo la guerra. Il mio compito ora è quello di guidare il Paese in guerra fino alla vittoria”.

Le azioni di Israele sulla Strizia di Gaza quindi diventeranno ancora più intense. Nelle settimane che hanno fatto seguito all’attacco terroristico a sorpresa di Hamas, si sono registrati migliaia di morti tra i civili, molti dei quali bambini. Tuttavia, che il peggio debba ancora venire, non sembra essere più solo una supposizione, ma un fatto molto probabile. E l’Onu in questi giorni ha parlato di “rischio di genocidio” nei confronti dei palestinesi

Stando a quanto riportato dal Guardian, Israele starebbe lanciando volantini nel nord di Gaza avvertendo che i civili che rimangono lì potrebbero essere considerati “complici di un’organizzazione terroristica”. Un modo questo per sostenere implicitamente, ma neanche troppo, che anche i non combattenti possono essere considerati una preda facile in quel posto, ovvero esposti al pericolo.

La zona meridionale di Gaza, inoltre, pare che continui a essere bombardata, contrariamente a quanto Israele afferma: non si tratta di una zona sicura e molti, tra cui feriti e infermi, non sono in grado di fuggire o difendersi. Se questi interventi venissero supportate da prove evidenti, saremmo di fronte a crimine di guerra.

L’Onu accusa Israele: ecco cosa si rischia ora

Dalla punizione collettiva – privando persone innocenti di acqua, cibo, energia e medicine – al bombardamento indiscriminato di aree civili, le azioni atroci di guerra già imputate all’esercito di Israele non sono poche.

A lanciare precise accuse contro Israele arriva anche l’Onu, che ha parlato di “pulizia etnica di massa” e ha apertamente denunciato lo stato di “crimini contro l’umanità”, sostenendo addirittura che “esiste il rischio di genocidio” contro i palestinesi.

“Qualsiasi operazione militare continuata da parte di Israele è andata ben oltre i limiti del diritto internazionale. La comunità internazionale deve fermare queste enormi violazioni del diritto internazionale adesso, prima che la tragica storia si ripeta. Tempo è dell’essenza. Sia i palestinesi che gli israeliani meritano di vivere in pace, uguaglianza di diritti, dignità e libertà”, si legge nella nota stampa.

Secondo gli esperti ci sono oggi delle condizioni che potenzialmente potrebbero estendere il conflitto non solo a livello regionale, poiché non sono da escludere anche possibili ramificazioni globali.

Il problema è che, quando si intende effettuare un’invasione e un’occupazione su larga scala di un’area urbana densamente occupata – che è quello che Israele ha annunciato di voler fare – se i residenti o i difensori di quel territorio decidono di contrattaccare, è impossibile farlo senza perdite su di vite civili e danni su proprietà e infrastrutture.

“La situazione nei territori palestinesi occupati e in Israele ha raggiunto il culmine”, ha affermato Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967. Secondo quanto riportato dall’Onu, il 12 ottobre, le forze israeliane hanno emesso un ordine affinché 1,1 milioni di palestinesi del nord di Gaza si trasferissero a sud entro 24 ore, mentre gli attacchi aerei erano in corso. Il giorno successivo, sempre secondo quanto riferito, le forze israeliane sono entrate a Gaza per “ripulire” l’area.

I palestinesi non hanno una zona sicura da nessuna parte a Gaza, dato che Israele ha imposto un “assedio completo” alla piccola enclave.