A quasi due mesi dal maxi attacco sferrato da Hamas, e dopo il raggiungimento di un accordo per la tregua per lo scambio di ostaggi, l’intelligence svela i dettagli di quello che è stato l’aggressione più grave subìto da Israele dai tempi della guerra dello Yom Kippur (1973). La pioggia di missili partiti dalla Striscia di Gaza e il parallelo blitz delle milizie terrestri arabo-palestinesi non avevano mai colpito con tanta forza.
Un attacco su larga scala che ha sorpreso lo Stato ebraico, la cui difesa e la cui intelligence si sono dimostrate non all’altezza della fama di grande potenza del Medio Oriente. La risposta israeliana è stata veemente, con bombardamenti a tappeto e assedio totale a Gaza, con inaccettabile sacrificio di migliaia di civili palestinesi, tra cui moltissimi bambini. Nelle operazioni nel nord della Striscia, lo Stato ebraico ha potuto scoprire i “segreti” che hanno consentito a Hamas di attaccare così efficacemente.
Intanto è stato svelato anche l’impero economico di Hamas: ecco chi finanzia i guerriglieri.
Come Hamas ha attacco Israele il 7 ottobre
L’avanzata delle truppe israeliane nella Striscia per stanare e neutralizzare le posizioni e i vertici militari di Hamas ha permesso di individuare le “basi” che i fondamentalisti hanno utilizzato per sferrare il maxi attacco del 7 ottobre. Si tratta di bunker e quartieri operativi in cui Hamas e Jihad Islamica hanno concordato tutto, avvalendosi di strumenti e metodi anche rudimentali. Una volta si stendevano le carte geografiche sul tavolo degli alti ufficiali impegnati in guerra: i miliziani della Striscia hanno invece utilizzato modelli in legno dei blindati usati dall’esercito israeliano. Un dettaglio quasi ridicolo per alcuni, che però ha permesso in qualche modo agli islamisti di avvicinarsi ai mezzi corazzati nemici senza essere scoperti. In diversi video si vedono i miliziani piazzare cariche esplosive sul retro dei mezzi o davanti ai sistemi anti-tank così da renderli “ciechi”.
Di legno era anche la palizzata con la quale i terroristi si sono esercitati, fingendo si trattasse del muro che protegge il territorio ebraico. Anche in questo caso l’apparente rozzezza dei mezzi non ha impedito ai fondamentalisti di riuscire ad aprire ben più di un breccia nella barriera, adoperando mine e consentendo il passaggio delle truppe di terra. Nei punti in cui il fronte divisorio era composto di reticolati, sono state impiegate ruspe e “fasce” di esplosivo al plastico. Tali operazioni sono state provate e simulate all’interno di poligoni situati nel sud della Striscia, dove si sono allenati soprattutto le squadre dei deltaplani.
Qui abbiamo spiegato perché quella di Israele è una guerra contro il tempo.
Razzi nascosti nel terreno e armi sotto i letti
Il successo dell’assalto di Hamas è però frutto anche di altri elementi. Come ad esempio l’intuizione, pur sempre incredibilmente sfuggita alla capace intelligence militare di Israele, di nascondere nel terreno alcune postazioni di lancio di razzi. Un escamotage “ingenuo”, forse, ma che ancora una volta ha sortito gli effetti desiderati. Le buche e i fossi che contenevano le batterie di razzi sono stati poi camuffati e nascosti con fogliame o coperture simili. Altre postazioni, come mostrano i report fotografici resi pubblici dalle IDF israeliane, sono state nascoste in serbatoi d’acqua e in magazzini in lamiera, con il tetto o un lato rimovibili in modo da consentire il lancio degli ordigni. All’apparenza indistinguibili per le forze israeliane, posizionati tra le case e gli insediamenti agricoli come qualunque altra struttura civile.
La tattica islamista di posizionare le batterie di razzi a macchia di leopardo si è rivelata vincente per cogliere di sorpresa gli avversari. Se si osserva a posteriori, dall’alto, il territorio da cui è partito il maxi attacco del 7 ottobre, si nota come il campo fosse punteggiato fittamente da queste postazioni di lancio. Una strategia che ne ha impedito il danneggiamento da parte degli israeliani. Anche le modalità di attivazione dei razzi rivelano una pianificazione “artigianale”: i miliziani di Hamas arrivavano sul luogo all’ultimo momento, con rapidità e a istanti prestabiliti, a bordo di moto o attraverso i tunnel. Tra i veicoli e le armi scoperte da Israele nei siti dei fondamentalisti, figurano molti camion e motociclette, fucili d’assalto AK-47 e granate con propulsione a razzo.
Non è tutto. Già un paio di settimane fa l’esercito israeliano aveva annunciato un’altra scoperta sulle tattiche di “camuffamento” delle armi da parte di Hamas. Nel nord di Gaza, nelle immediate vicinanze di scuole nel centro del quartiere di Sheikh Radwan, le IDF hanno scoperto un sito di produzione e stoccaggio di armi e droni del nemico all’interno di un edificio residenziale, accanto a una camera da letto per bambini. Nell’edificio sono stati inoltre trovati esplosivi e piani operativi di Hamas. Accusando i terroristi della Striscia di utilizzare i civili come “scudi umani”, lo Stato ebraico ha infine riferito l’abitudine di Hamas di tenere armi e munizioni in zone protette dal diritto internazionale. Le stesse, d’altronde, che Israele stesso non si è fatto scrupolo di bombardare, assediare e radere al suolo (a tal proposito, qui trovate la scheda su tutti i crimini di guerra di questo conflitto).
Il fallimento di soldati e intelligence d’Israele
Al di là delle intuizioni militari vincenti di Hamas, un’altra grande causa della tragedia del 7 ottobre è, dall’altro lato, il fallimento dei sistema di difesa d’Israele. La notte prima dell’attacco l’intelligence israeliana aveva individuato segnali di attività irregolare fra i militanti islamisti nella Striscia. Tuttavia i vertici delle IDF e dello Shin Bet (l’Agenzia di sicurezza interna israeliana) ritennero di non mettere in stato di allerta elevata le forze militari al confine. Uno dei motivi è da ricercare nel fatto che Hamas aveva “abituato” gli 007 nemici a continui piccoli attacchi isolati. Non un caso, vista la lunga genesi del maxi blitz scattato il 7 ottobre che, come rivelato dagli stessi fondamentalisti, ha richiesto oltre due anni. Quattro alti funzionari israeliani hanno poi ammesso le principali lacune di intelligence ed esercito:
- la prima riguarda il fallimento da parte degli ufficiali dell’intelligence nel monitorare i principali canali di comunicazione utilizzati dagli aggressori palestinesi;
- un secondo flop riguarda l’eccessiva dipendenza dagli strumenti di sorveglianza del confine che sono state facilmente disattivati da Hamas, spianando la strada alle incursioni;
- una terza lacuna riguarda il raggruppamento dei comandanti in un’unica base di frontiera, la cui invasione ha impedito la comunicazione con il resto delle Forze armate.
L’insieme di queste indecisioni ed errori di calcolo si è rivelata fatale. Ma a non rispondere come previsto è stato ancora il tanto osannato sistema di difesa antiaerea Iron Dome, fiore all’occhiello dell’avamposto occidentale in Medio Oriente. Un sistema dai costi elevatissimi per la gestione e il funzionamento, ma anche un sistema tarato per fronteggiare attacchi e minacce ben inferiori a quella scatenata da Hamas il 7 ottobre. L’area difendibile dall’Iron Dome copre efficacemente “appena” 12 chilometri quadrati di territorio e spazio aereo. E lo fa nel seguente modo: il radar rileva il lancio di razzi, proiettili e mortai, determina la loro traiettoria di volo e quindi calcola anche la probabile posizione dell’impatto. Il posto di comando può osservare contemporaneamente fino a 200 oggetti aerei. Se viene effettuato un massiccio bombardamento, dunque, il sistema va in estrema difficoltà, “soffoca” si dice in gergo d’intelligence, facendo piombare la propria efficienza al 10-15%.