Gaza è allo stremo. Dopo tre mesi e mezzo di guerra la situazione socio-economica e umanitaria della Striscia è più che disperata. L’accordo tra Israele e Hamas, mediato da Usa e Qatar, sull’ingresso degli aiuti dall’Egitto nell’enclave palestinese non è minimamente in grado di sopperire ai bisogni della popolazione, che continua a morire sotto le bombe israeliane nell’ignobile silenzio del mondo (nonostante l’accusa a Israele di genocidio alla Corte internazionale di Giustizia all’Aja).
I camion con cibo, carburante e materiali vengono infatti costantemente saccheggiati da uomini armati nelle tendopoli e nei campi profughi. Intanto gli sfollati superano il milione a Rafah, ammassati al confine sud della Striscia, mentre le vittime innocenti superano quota 24mila dal 7 ottobre, tra cui migliaia di bambini. E Israele afferma di non voler arrestare la sua offensiva, nel suo piano per Gaza.
Il disastro umanitario di Gaza
Il responsabile dell’Agenzia per i Soccorsi delle Nazioni Unite, Martin Griffiths, riferisce che centinaia di migliaia i palestinesi stanno morendo di fame. Ci sono famiglie ridotte a scheletri “che implorano per avere qualcosa da mangiare“. Anche l’acqua scarseggia, con le forniture bloccate a singhiozzo e il crescente pericolo di malattie ed epidemie potenzialmente mortali. Ogni angolo di Gaza sa di morte e devastazione. Secondo le stime dell’Onu, 1,9 milioni di persone (circa l’85% della popolazione della Striscia) sono ormai sfollate, e più del 90% vive in una situazione di grave insicurezza alimentare. Durante la sua visita in loco il commissario generale dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa), Philippe Lazzarini, ha riportato che “centinaia di migliaia di persone vivono ora per strada, dormendo sul cemento”. Inoltre il virus dell’epatite di tipo A “si sta diffondendo” nei campi degli sfollati per il sovraffollamento e la mancanza di igiene.
Gli sforzi del World Food Programme non sono sufficienti, non bastano i pacchi cibi altamente nutrienti che non richiedono cottura e le 90 cucine di comunità che preparano pasti caldi. Per questo motivo il Programma alimentare delle Nazioni Unite, assieme all’Unicef e dell’Organizzazione mondiale della sanità, ha chiesto un accesso agli aiuti umanitari più rapido. Perché non c’è più tempo. “Le persone a Gaza rischiano di morire di fame a pochi chilometri dai camion pieni di cibo. Ogni ora persa mette a rischio innumerevoli vite”, afferma Cindy McCain, direttrice esecutiva del World Food Programme.
La penuria di aiuti umanitari innesca inoltre situazioni di conflitto. L’ingresso di camion verso Gaza – che in tempi passati erano 500 al giorno – non sta al passo delle necessità della popolazione, che aumentano man mano che i civili sono costretti ad abbandonare le proprie case. La media dei convogli che transitano dal valico è inferiore a 100: troppo pochi. Intanto nei mercati di Rafah i prezzi dei generi alimentari schizzano alle stelle e si denunciano gravi irregolarità nella distribuzione degli aiuti e appropriazioni illecite (intanto la guerra di Israele è entrata nella sua fase 3: cosa cambia).
Saccheggi durante la notte, tensioni e mercato nero
Alla paura costante e terribile dei bombardamenti aerei si aggiunge anche quella delle violenze e dell’anarchia. Un tragico esempio è il saccheggio nella tendopoli della Mezzaluna Rossa palestinese sulla costa di Moassi, a ovest di Rafah. “I camion sono arrivati nel cuore della notte e ne sono scesi uomini armati che hanno portato via tutto quello che hanno trovato”, racconta uno degli sfollati presenti. Minacciando i civili, gli assalitori hanno smontato e rubato 420 tende, tutti i generatori elettrici e anche il carburante dai camion egiziani che si trovavano sul posto. Di giorno l’accampamento, che doveva ospitare parte delle migliaia di sfollati, era protetto da guardie e da agenti della polizia palestinese. Di notte era però rimasto
incustodito.
In questo modo la paura e il malcontento popolare rischiano di esplodere in ogni momento. Le autorità economiche della Striscia hanno poi importo prezzi contenuti per la vendita di alcuni alimenti primari nelle reti dei supermercati come farina, olio di semi e caffè solubile. Per tutti gli altri prodotti ci si deve arrangiare, rischiando di cadere nella deriva anarchica della legge del più forte. Il diesel, che adesso arriva a Gaza tramite i convogli degli aiuti umanitari, viene rivenduto sul mercato nero al prezzo di 30 shekel al litro (circa 7,5 euro). Trovare e acquistare la benzina, praticamente introvabile da settimane, è invece molto più complicato.
“Dopo aver sparso la voce fra i miei conoscenti, è stata verificata la mia identità”, racconta un palestinese residente a Rafah. “Poi ho ricevuto un messaggio che mi indirizzava a un magazzino del rione a-Salam. Lì mi è stato detto che il prezzo era ormai salito da 120 shekel (30 euro) a 180 shekel (45 euro) al litro. Prendere o lasciare. La consegna invece è gratuita”. Dopo il pagamento, “è arrivata all’improvviso una motocicletta con una persona che ha deposto una tanica piena sul marciapiede ed è ripartita subito a tutta velocità”.
Centinaia di palestinesi assaltano i camion degli aiuti
Le escalation sociali a Gaza in realtà sono già cominciate, con centinaia e centinaia di palestinesi che hanno preso d’assalto i camion che trasportavano gli aiuti. “Abbiamo bisogno dei beni primari, soprattutto farina”, tuona il 53enne Omar Al-Shandogli, uno degli sfollati della Striscia intervistata dall’agenzia France-Presse. “Da quasi un mese viviamo senza farina e mangiamo solo riso, ma il riso non è sufficiente per un essere umano e sta causando problemi di salute. Se arriva un camion di farina, serve solo per un pasto in una scuola. Vogliamo solo che ci portino più farina e più acqua. Ci appelliamo al mondo affinché ci aiuti. Ci appelliamo ai musulmani, all’Occidente affinché ci mandino farina e acqua, solo farina e acqua”.
In un video diffuso da Al Jazeera si vede la folla disperata che si lancia sui convogli a Moassi, dove sono ammassati gli sfollati dal nord della Striscia e nella stessa zona in cui sono avvenuti i saccheggi notturni da parte di commando armati.
Da sei giorni Gaza è al buio e senza linea telefonica e internet
I palestinesi a Rafah hanno inoltre segnalato che da sei giorni non funzionano più linee telefoniche, internet e comunicazioni generali. “Viviamo totalmente isolati del mondo”, riferiscono numerosi sfollati nel sud della Striscia. Oltre ai disagi, cresce sempre più la paura per una guerra sempre più vicina: i combattimenti infiammano infatti anche Khan Yunis e Deir el-Ballah. Martedì in un settore di Khan Yunis, la popolazione ha avuto ordine dall’esercito di sgomberare in fretta le abitazioni: in mancanza di linee telefoniche e di rete web, l’esercito israeliano ha fatto piovere dal cielo volantini in arabo con diagrammi che indicavano l‘unica via sicura per raggiungere due rioni di Rafah, Tel el-Sultan e Shabura.
Chi spera di avere indicazioni dalla compagnia telefonica locale resta deluso. Questo conflitto non risparmia nessuno. La società afferma infatti che giorni fa una squadra di tecnici, impegnata nelle riparazioni delle linee proprio nel settore meridionale della Striscia, si è trovata coinvolta in combattimenti e che due tecnici sono rimasti uccisi. “Non riprenderemo alcun lavoro finché non riceveremo assicurazioni da Israele che non colpisca il nostro personale”, si legge in una nota ufficiale della compagnia. Fonti locali legate al commercio di Rafah riferiscono come in seguito al blocco delle comunicazioni anche l’economia si sia fermata. “Non riusciamo a effettuare ordini, le banche sono paralizzate e i pagamenti possono avvenire solo in contanti“. E chi, fra gli sfollati, ha esaurito i soldi liquidi non sa più come fare.
Tutte queste criticità influiscono – come accennato – sul mercato, con aumenti di prezzi senza precedenti registrati nelle ultime settimane. Perfino gli alimenti più diffusi e a buon mercato sono introvabili, come le cipolle: fino a un mese costavano 4 shekel al chilo, circa un euro. Adesso chi le trova, se le trova, deve pagare 30-40 shekel: quasi 10 volte in più. Lo stesso vale per le sigarette, passate in breve tempo da 30 a 80 shekel al pacchetto.
Dopo un’altra notte trascorsa quasi in bianco per il continuo rombo degli aerei militari senza pilota e gli echi dei bombardamenti a Khan Yunis, gli sfollati che vorrebbero conoscere gli
sviluppi della guerra non hanno più praticamente mezzi di informazione. A chi è costretto a vivere sotto le tende, in aree approntate in fretta a due passi dal mare, non resta che affidarsi ai transistor, che offrono unicamente la possibilità di ascoltare su frequenze AM le trasmissioni di Al Jazeera o della radio israeliana, mentre le stazioni locali in FM hanno cessato le
trasmissioni. Nella città di Rafah si riesce ancora a guardare la televisione, ma solo per chi dispone in casa di corrente elettrica. “Il senso di isolamento dal mondo sta diventando insopportabile”, affermano molti intervistati dai reporter sul campo. Una pena sociale che si affianca alle altre: malattie, contagi, gelo notturno nelle tendopoli (qui abbiamo tentato di immaginare il futuro di Gaza dopo il conflitto).
L’accordo tra Israele e Hamas sulle medicine per gli ostaggi
Martedì Israele e Hamas hanno raggiunto un accordo per la consegna di medicinali agli ostaggi israeliani detenuti a Gaza e la distribuzione degli aiuti ai civili sul territorio, anche grazie alla mediazione di Qatar e Francia. Il portavoce del ministero degli Esteri del Qatar, Majed bin Mohamed al Ansari, precisa che le forniture umanitarie saranno distribuite ai palestinesi nelle aree “più colpite e vulnerabili” della Striscia. In cambio Hamas garantirà farmaci e assistenza sanitaria agli ostaggi sulla base di una lista fornita dal governo israeliano. I medicinali sono giunti in Egitto nella mattinata del 17 gennaio, trasportati da aerei partiti dal Qatar. Il presidente francese Emmanuel Macron ha successivamente riferito che le forniture sanitarie erano già “in consegna”.
Come tristemente di consueto, le fugaci intese tra le parti in lotta in Medio Oriente hanno il sapore dell’effimero e del ricatto. Non è da meno neanche quest’ultimo accordo, sul cui sfondo si staglia l’ombra del rifiuto di Hamas alla soluzione a due Stati. Il gruppo fondamentalista ha reso note le sue condizioni per bocca dell’alto esponente Moussa Abu Marzouk: per ogni scatola di medicinali fornita agli ostaggi, mille scatole saranno inviate ai civili palestinesi. Sarà il Comitato internazionale della Croce Rossa (Icrc) a consegnare tutte le medicine, comprese quelle destinate agli ostaggi, agli ospedali che servono l’intero territorio di Gaza. L’accordo prevede anche la consegna di ulteriori aiuti alimentari e umanitari a Gaza. Nel dettaglio, si parla di 140 tipi di farmaci che andranno ai quattro ospedali della Striscia insieme a “vari aiuti umanitari e cibo”.
Abu Marzouk ha inoltre dichiarato che le autorità israeliane non avranno la possibilità di ispezionare le spedizioni a bordo dei camion. E ha sottolineato che Hamas ha insistito affinché il Qatar fornisse i farmaci e non la Francia, a causa del sostegno del Paese europeo a Israele. La fornitura di medicine “avverrà attraverso un Paese di cui abbiamo fiducia. La Francia si era dichiarata disponibile, ma di lei non ci fidiamo. Per questo abbiamo chiesto al Qatar di farlo. Netanyahu sta mentendo di nuovo e inganna il suo popolo, siamo noi quelli che hanno organizzato questo accordo”, ha affermato. Il primo ministro israeliano, da parte sua, smentisce gli avversari affermando di non essersi occupato affatto “delle modalità di ispezione per la loro introduzione, che sono determinate dalle Forze di difesa israeliane e dalle forze di sicurezza”.
L’Onu chiede agli Houthi di fermare gli attacchi nel Mar Rosso
Intanto “l’Asse della Resistenza” messo in piedi da Iran e alleati intensifica gli attacchi contro Israele e interessi occidentali. Uno stato di cose che minaccia il commercio mondiale che transita dal Canale di Suez e che ha spinto le Nazioni Unite a chiedere ai ribelli Houthi dello Yemen di attuare la risoluzione del Consiglio di Sicurezza adottata la scorsa settimana sull’immediato stop degli attacchi alle navi nel Mar Rosso.
“Siamo molto preoccupati per i continui attacchi”, afferma il portavoce dell’Onu Stephane Dujarric. Gli Houthi, sostenuti dall’Iran e impegnati in una guerra civile con il governo yemenita riconosciuto a livello internazionale dal 2014, hanno dichiarato di aver lanciato gli attacchi in solidarietà con i palestinesi di Gaza. La risoluzione delle Nazioni Unite condanna gli attacchi dei fondamentalisti yemeniti, che hanno interrotto una delle principali rotte commerciali del mondo e aumentato i costi di spedizione.