Argentina, il nuovo presidente Milei prepara una “rivoluzione”

Il suo motto, popolarissimo, è: "Viva la libertà, maledizione". Ultraliberista, addirittura "anarco-capitalista", professore di economia e star della TV. Ecco chi è Javier Milei

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

L’Argentina ha un nuovo presidente che nessuno dava per favorito fino ad agosto, quando si sono svolte le primarie in vista delle elezioni. Alla fine, però, Javier Milei ce l’ha fatta: il candidato dell’estrema destra, definito un “anarco-capitalista”, ha ottenuto il 56% dei voti al ballottaggio contro il candidato peronista progressista Sergio Massa (44,04%). Il margine di vittoria più ampio in una corsa alla Casa Rosada dal ritorno del Paese sudamericano alla democrazia, nel 1983, arrivato nel pieno di una grave crisi inflazionistica e con un crescente tasso di povertà.

Si tratta di un’elezione storica e cruciale per il Paese sudamericano. Non solo perché il nuovo Capo dello Stato promette di modificare la traiettoria della sua nazione, ma perché i suoi progetti e le sue idee profilano una vera e propria “rivoluzione” geopolitica. Nel senso latino letterale del termine: far fare al Paese un giro a 360 gradi per poi tornare al punto di partenza. Qual è questo punto di partenza e di arrivo e come ci sono arrivati in Argentina?

Chi è Javier Milei, nuovo presidente dell’Argentina

“Viva la libertà, maledizione”: è questo il motto di Javier Milei, 53 anni, il cui mandato inizierà ufficialmente il 10 dicembre. Il rimando semantico torna anche nel nome del suo partito, “La Libertad Avanza”. Milei è stato capace di scalare in pochi anni i vertici della politica, cavalcando lo scontento e la rabbia per la grave crisi economica del suo Paese. Proprio la situazione di iperinflazione e il crollo del tasso di cambio lo spinsero, negli Anni Ottanta, a studiare economia fin dall’età di 11 anni, per poi proseguire all’Università fino a diventare professore e conferenziere in patria e all’estero. Il suo nome ha acquisito un’autorevolezza anche tra le alte sfere istituzionali: è stato capo economista presso la Maxima Administradora de Fondos de Jubilaciones y Pensiones e e consulente governativo presso il Centro Internazionale per il regolamento delle controversie in materia di investimenti. È inoltre membro di B20, il Gruppo di politica economica della Camera di Commercio Internazionale, e del World Economic Forum. È stato anche economista senior presso la HSBC. La profonda conoscenza delle dinamiche macroeconomiche lo ha portato a sviluppare una nuova teoria che unisse i concetti della scuola austriaca con i pilastri del monetarismo. Dimostrando una manifesta indole di “demolitore di miti”, come recita anche il titolo di un suo programma radiofonico settimanale.

Autore di nove libri, Milei si è rivelato un enfant prodige anche in altri ambiti meno accademici. Come nel calcio: dal 1987 al 1989 è stato portiere dei Chacarita Juniors nelle serie inferiori argentine. E come nella musica, visto che Milei è stato il frontman nella band Everest, in cui si è cimentato soprattutto in cover di canzoni dei Rolling Stones. Ma la vera fama Milei l’ha raggiunta comparendo in televisione con una frequenza che davvero ha pochi eguali nel mondo. I suoi discorsi contro il sistema e le sue espressioni colorite hanno catalizzato la simpatia di moltissimi argentini e fatto il boom di ascolti. Le emittenti hanno fatto a gara per invitarlo in trasmissione, complice anche un enorme successo sui social. Dapprima per le sue analisi economiche, che l’hanno reso celebre e autorevole da gran parte della gioventù argentina e della società borghese, e poi principalmente per la sua presenza scenica e le sue trovate da consumato showman. Nei talk show argentini in cui veniva chiamato come ospite, Milei era solito travestirsi da General Ancap (contrazione di “anarcocapitalista”), un supereroe da lui inventato. “La mia missione – dichiarava Milei, mentre agitava un bastone da mago – è quella di prendere a calci nel culo keynesiani e collettivisti“.

Il radicalismo libertario che ha regalato a Milei così tanti consensi ha rivelato però anche lati oscuri. Nel corso degli anni, il neopresidente si è infatti espresso a favore di posizioni estremiste come la compravendita di organi e la creazione di un mercato delle adozioni, così come della liberalizzazione della vendita di armi e della distruzione della Banca Centrale argentina. Milei ha anche sostenuto in più occasioni di voler prima “abolire” e poi privatizzare i ministeri della Sanità e dell’Educazione, salvo poi fare dietrofront promettendo un piano di riduzione graduale degli ammortizzatori sociali.

Anarco-capitalismo e anti-socialismo: la “rivoluzione” di Milei

Dal punto di vista delle idee politiche, il nuovo presidente argentino si presenta come un ultraliberista e anarco-capitalista, in aperta critica col sistema peronista e con una “casta politica corrotta” che è stato capace di risollevare il Paese. Da un lato rifiuta di appartenere ideologicamente all’ultradestra reazionaria, mentre dall’altro ha aderito alla Carta di Madrid, documento promosso dal partito dell’estrema destra spagnola Vox. La retorica anti-sistema, essenziale per polarizzare le masse, è rimasta la stessa: “Sappiamo che ci sono persone che resisteranno per mantenere i loro privilegi. Saremo implacabili: dentro la legge tutto, fuori la legge niente“. Subito dopo l’elezione “El Loco” (“il pazzo”), come è stato soprannominato in patria, ha sparso incenso su se stesso con toni sensazionalistici: “Oggi inizia la fine della decadenza argentina. Iniziamo la ricostruzione e a voltare la pagina della nostra storia. Riprendiamo il cammino che non avremmo mai dovuto perdere. Finisce il modello dello Stato che impoverisce e benedice solo alcuni mentre la maggioranza soffre. Torniamo ad abbracciare l’idea della libertà”.

La principale e più incidente caratteristica di Javier Milei sembra però essere il suo spiccato anti-socialismo. Nel 2020, quando il suo successo era molto più contenuto, firmò la Carta di Madrid che abbiamo citato poco sopra, documento che condanna “l’espansione del comunismo in America Latina”. In nome di questo ideale, il novello Capo di Stato prepara una nuova rivoluzione politica argentina, che rischia di portare il Paese su posizioni reazionarie già sperimentate in passato. La nuova rotta argentina potrebbe così alterare gli equilibri geopolitici globali, destabilizzando ulteriormente la situazione dei blocchi internazionali già messa a durissima prova dalla guerra in Ucraina e dal conflitto in Medio Oriente.

In sostanza, ripulito dagli aspetti propagandistici e di colore, il programma della neonata amministrazione Milei propone una “rivoluzione” anche in campo socio-economico, ben più audace di quella voluta dal Fondo Monetario Internazionale per risanare i conti pubblici del Paese. Il tutto “scegliendo” il dollaro, come tuonano funzionari russi e cinesi, e tradendo così la causa dei BRICS. Un programma che poggia su queste proposte di base e che si pone i seguenti obiettivi, raccolti e messi insieme dal mosaico dei comizi e dei documenti circolari in campagna elettorale:

  • massiccia riduzione della spesa pubblica;
  • forte taglio delle tasse (pari al 15% del PIL);
  • inasprimento delle pene per reati anche non gravi;
  • divieto di aborto;
  • forte incentivo al lavoro, sia nelle carceri sia tra i giovani, abbassando anche la soglia della minore età;
  • rivoluzione della sicurezza, proponendo ad esempio una rete di videosorveglianza d’ultima generazione su tutto il territorio nazionale;
  • privatizzazione della maggior parte delle aziende statali (ferrovie e compagnia aerea di bandiera incluse);
  • abbassamento immediato di tutti i dazi di importazione.

Con Russia e Cina o con gli Usa? Cosa vuole davvero Milei

L’elezione di Milei ha ovviamente scatenato le reazioni dei leader di altre nazioni. Alcune entusiastiche, altre meno. Vladimir Putin, tramite il portavoce Dmitri Peskov, non si è attardato a far sapere che la Russia vuole “un ulteriore sviluppo delle relazioni con l’Argentina”, comunicando anche una certa impazienza nell’organizzazione di bilaterali. Il tutto nonostante Milei, durante la campagna elettorale, abbia talvolta speso parole non troppo lusinghiere nei confronti del Cremlino. Peskov ha parlato anche di questo, affermando che Mosca ha preso nota di tali commenti, ma che “preferisce giudicare il nuovo presidente argentino dalle dichiarazioni che farà dopo l’insediamento”. Non stupisce che la Russia voglia stringere a sé il Paese sudamericano dopo la svolta politica: Mosca punta infatti a guidare, assieme alla necessaria e scomoda Cina, la grande coalizione del Sud Globale nell’impresa di stabilire una controglobalizzazione e un nuovo ordine mondiale multipolare, scardinando l’egemonia degli Stati Uniti. Un progetto che si dipana attraverso l’ampliamento del blocco BRICS (di cui abbiamo parlato qui) a Stati emergenti.

Come l’Argentina, per l’appunto, che insieme ad Arabia Saudita, Egitto, Etiopia, Emirati Arabi Uniti e Iran è invitata ad aderire allo schieramento geopolitico dal 1° gennaio 2024. Durante la campagna elettorale, Milei si è tuttavia mostrato riluttante a consentire all’Argentina l’adesione ai BRICS e ha anzi dichiarato che non avrebbe promosso “accordi con i comunisti perché non rispettano i parametri fondamentali del libero scambio, della libertà e della democrazia”. Nel suo discorso dopo il trionfo alle urne, Milei non ha anticipato le misure che adotterà una volta che il suo governo si sarà insediato. Ci ha pensato però la deputata Diana Mondino, candidata alla guida della politica estera del Paese, dichiarando all’agenzia russa Ria Novosti che Buenos Aires non accetterà l’invito del gruppo BRICS.

Anche la Cina si è complimentata con Milei per la vittoria, nonostante rischi di restare scottata dalla svolta geopolitica argentina. “Non c’è ragione alcuna per cui l’Argentina debba intrattenere rapporti commerciali con la Cina. Se gli argentini vogliono commerciare con la Cina, è una questione del settore privato. Io non tratto con i comunisti”, ha affermato Milei già prima di andare al potere. La questione non è però così semplice: da anni la Repubblica Popolare Cinese è infatti uno dei maggiori partner commerciali dell’Argentina. Pechino è meta dell’8,6% delle esportazioni di Buenos Aires, che ne fa il secondo acquirente di prodotti argentini in tutto il mondo. I legami sono strettissimi anche per quanto riguarda l’export cinese, centrale anche in maniera “involontaria” anche in ambito politico-elettorale: tra i prodotti importati in Argentina dalla Cina figura anche la celebre motosega che Milei ha utilizzato per fini spettacolari durante i suoi comizi.

Cosa cambia per Israele e Ucraina (e per noi)

Fedele al suo credo ultraliberale, ma anche all’egemonia degli Stati Uniti. A ben guardare, il programma di governo del partito di Milei non contiene riferimenti alla politica estera. Dopo il clamoroso successo che li avrebbe condotti alla vittoria elettorale, la curiosità di Paese e mondo è tuttavia aumentata, costringendo il leader del movimento e i suoi principali collaboratori a esprimersi in merito all’agenda internazionale. Tra attacchi verbali al vicino Brasile di Lula, definito un “selvaggio comunista che sostiene dittatori con le mani sporche di sangue”, il leit motiv ricorrente è stato fondamentalmente questo: “Stati Uniti e Israele saranno i nostri principali alleati”. Un mantra ribadito e arricchito subito dopo l’elezione a presidente: “I miei primi viaggi saranno negli Stati Uniti e in Israele”.

Per Milei l’alleanza con lo Stato ebraico è strategica e in diverse occasioni ha annunciato di voler trasferire l’ambasciata argentina da Tel Aviv a Gerusalemme come gesto di sostegno alla causa israeliana contro l’Autorità Nazionale Palestinese. Per giocare un ruolo rinnovato all’interno del blocco occidentale, l’Argentina di Milei ha tributato il proprio sostegno anche all’Ucraina, ponendosi di fatto contro la causa russa (intanto l’Ucraina sta perdendo la guerra contro gli invasori?).

Washington non può però gioirne troppo: avere come alleato un Paese di ultra-destra, per giunta la seconda economia dell’America Latina, può complicare il percorso verso le elezioni presidenziali del 2024. Neanche l’Unione europea può dirsi pienamente soddisfatta, dato che la nuova Argentina renderà ancora più difficoltoso espandere la propria influenza in Sudamerica. L’Italia vede invece nella vittoria della destra argentina un’occasione per cementificare gli atavici legami con l’Argentina, il Paese “più italiano” al mondo dopo il nostro. Come ha ribadito la stessa premier Giorgia Meloni in un colloquio telefonico col neoeletto Milei: “L’Argentina è una nazione a cui siamo legati da profondi legami storici e culturali e in cui vive la più grande comunità di italiani all’estero. Roma e Buenos Aires condividono valori comuni che definiscono la nostra azione di politica estera nell’attuale contesto internazionale”.

Secondo Raffaele Marchetti, docente di Relazioni internazionali all’Università Luiss, l’elezione di Javier Milei certifica una volta in più una tendenza della politica alla polarizzazione e ai sentimenti anti-establishment. “Si tratta di una vittoria sulla scia di quelle di Bolsonaro e Trump e conferma la possibilità dei partiti anti-sistema di arrivare al potere, ma da qui a dire che possa influenzare le prossime elezioni americane mi sembra eccessivo”. Sarà dunque più che interessante, cruciale, osservare quali saranno i prossimi passi di Milei nell’ambito della postura internazionale del suo Paese. Sulla carta, al momento, Buenos Aires entrerà ufficialmente nel gruppo dei BRICS+, salvo cambiamenti di rotta già dichiarati ma non ufficializzati.