L’affare Starlink in Italia tra valzer Musk-Meloni e realtà dei dati

L'accordo annunciato e poi smentito fra governo italiano e SpaceX riguarda aspetti geopolitici e di sicurezza che vanno al di là della sola copertura satellitare. Starlink e Musk hanno interessi privati, Meloni e l'Italia interessi nazionali. In mezzo ci sono gli Usa

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Pubblicato: 10 Gennaio 2025 17:16

L’incontro, l’annuncio di un accordo e poi la smentita. Nel giro di 24 ore l’affare Starlink è diventato un caso nazionale senza che fosse effettivamente successo nulla. Tra chi teme per i propri dati e chi paventa una già ampia e “naturale” dipendenza strategica dagli Stati Uniti, i cantori del presunto patto Meloni-Musk hanno decisamente perso di vista i punti salienti della questione.

Al centro del dibattito è finita la notizia secondo cui l’Italia potrebbe acquistare servizi Starlink per un valore di 1,5 miliardi di euro per fornire una connessione sicura per le operazioni governative e internazionali. Ma il nostro Paese ne ha davvero bisogno? È solo una questione di satelliti? Cosa dice l’Ue?

L’Italia non ha davvero alternative a Starlink?

La cosiddetta new space economy è il settore del mercato globale coi maggiori margini di crescita nel prossimo decennio. Pur negando di aver parlato del dossier Starlink direttamente con Elon Musk, la premier Giorgia Meloni ha sentenziato che per l’Italia non c’è alternativa a Starlink, ma non dal punto di vista tecnico. Non è la scarsità di satelliti o copertura la motivazione, ma l’appartenenza al campo statunitense, come spiegheremo meglio più avanti.

Il nostro Paese ha in cantiere progetti per una rete di satelliti made in Italy a bassa orbita, già sottoposto all’attenzione dell’Agenzia spaziale italiana. Anche l’aspetto economico-giuridico è in fase avanzata, puntato sul partenariato pubblico-privato. Il ddl Spazio è stato presentato in Parlamento a settembre, anche se deve essere ancora discusso. Un progetto realizzabile sul medio-lungo termine, mentre la crescente incertezza internazionale ci impone (su immancabile impulso americano) di mettere in sicurezza le nostre comunicazioni civili, di intelligence e diplomatiche in tempi brevi. Anzi, brevissimi.

In questo senso, dovendo seguire il dettame statunitense, l’Italia sembra non avere alternative a Starlink. La flotta satellitare di Musk si propone come la più completa e avanzata, ma le concorrenti in Occidente non mancano. Dalla Blue Origin di Jeff Bezos (3mila satelliti) alla francese OneWeb (600), fino ai programmi avviati dall’Unione europea. La società di Musk può vantare attualmente 2,6 milioni di clienti e 6.700 satelliti e ha annunciato di voler salire a 42mila entro il 2030.

Quanti satelliti hanno Italia e Ue

Diverse fazioni politiche sottolineano che puntare su satelliti italiani potrà rilanciare l’intera economia del nostro Paese, a partire dall’industria tecnologica in un momento storico in cui stare al passo col resto del mondo può rivelarsi decisivo. Il governo Meloni, ad esempio, ha fretta di appoggiarsi a Starlink per necessità di un backup affidabile durante le emergenze informatiche e naturali. La comunità spaziale europea si è tuttavia chiesta perché Roma non punti sul programma dell’Ue denominato Iris² per una connettività sicura, basato su una costellazione di 290 satelliti e già finanziato in parte anche dal nostro Paese. I primi lanci in orbita avverranno nel 2025, per un costo di 10 miliardi di euro. Sulla carta, non c’è proprio confronto con la potenza materiale di Starlink.

Ma l’Italia, di suo, quanti satelliti ha? Stando ai dati forniti dagli esperti di Union of Concerned Scientists, sono circa 5.500 i satelliti attivi sul nostro Paese, anche se il loro numero è probabilmente maggiore. Di questi soltanto 15 si possono dire “made in Italy”, cioè appartenenti al ministero della Difesa o all’Agenzia Spaziale Italiana. Esclusi quelli militari, non definiti per ragioni di sicurezza. Nel 2023 il ministero della Difesa aveva annunciato il lancio in orbita bassa della “nostra” costellazione Ita-Leo, composta dalla bellezza di 19.708mila satelliti. Vale a dire quasi quattro volte la flotta orbitale di Starlink. Al momento soltanto un progetto, però.

Perché il governo Meloni vuole Starlink e perché non dovrebbe

Ai sensi dell’articolo 25 della Legge spaziale presentata di recente dall’esecutivo, il governo ha dato priorità alla creazione di una “riserva di capacità di trasmissione nazionale”, un sistema di backup basato su tecnologia satellitare per le comunicazioni strategiche in caso di emergenza. La legge specifica che tali servizi possono essere affidati esclusivamente a enti europei o Nato. Se questa è davvero la logica alla base dell’interesse italiano per Starlink, come accennato, emerge tutta l’urgenza di disporre di un piano d’emergenza affidabile in caso di disastri naturali, a cui l’Italia è particolarmente incline. Tuttavia 1,5 miliardi di euro per una soluzione temporanea di emergenza risultano un impegno eccessivo, superiore al budget annuale dell’intero settore spaziale italiano.

Rispetto alla costellazione di satelliti progettata dagli apparati italiani e a al progetto europeo Iris², la soluzione di Starlink rappresenta tuttavia una via molto meno costosa e già operativa. Inoltre la società SpaceX sta per lanciare i suoi satelliti “V3” di ultimissima generazione, che vantano capacità finora mai viste: una velocità di downlink (il collegamento dalla rete o dal satellite all’utente sulla Terra) di 1 Tbps e una capacità di uplink (l’invio di dati verso un ripetitore radio o un apparato di rete come uno switch o router) fino a 160 Gbps. Tradotto in termini mangiabili: una capacità di flusso e scambio 24 volte più veloce e stabile di ogni tecnologia esistente.

Tuttavia, il confronto tra Starlink e IRIS² non è una questione operativa. Starlink è una grande costellazione realizzata da una società privata statunitense per servire gli interessi civili e militari americani, generando entrate. In altre parole: Starlink potrebbe essere disponibile a livello globale, ma non è affatto una piattaforma neutrale. Lo stesso governo degli Stati Uniti si avvicina a SpaceX con cautela, alimentando i timori anche per altri Paesi nell’affidarle la gestione di infrastrutture critiche. Ma nel gioco subentrano altre regole, che coinvolgono direttamente proprio gli Usa.

Musk non è un inventore e non ci ruba i dati: la mano lunga degli Usa

Uno dei meriti della geopolitica è tagliare la realtà, evidenziando ciò che conta davvero per Paesi e nazioni. Le parole di leader e politici, dunque, restano fuori. E la verità è che internet è un’invenzione militare sviluppata dal Pentagono (come il cellulare, del resto), poi ceduta in concessione ad aziende private per scopi civili. Il boom dei social network ha costretto gli apparati statunitensi a riscrivere le regole. Gli interessi economici delle società private non possono mai andare contro gli interessi nazionali. Gli stessi Mark Zuckerberg e Sam Altman, uomini forti di Facebook e OpenAI, lo hanno imparato a loro spese. Entrambi sono finiti in audizione di fronte al Congresso americano, chiamati a rendere conto delle voci sulla presunta vendita di informazioni degli utenti e top secret a Russia e Cina.

Elon Musk non ha inventato nulla, è dunque soltanto un gestore della tecnologia sviluppata dal governo federale americano. La furbizia del magnate visionario è stata quella di legarsi alla parabola di successo di Donald Trump, nell’auspicio di smorzare le frequenti diatribe col Pentagono su pagamenti e utilizzi della tecnologia satellitare e internettiana. Lo spazio è un fronte strategico per gli Usa e le attività di un singolo imprenditore non possono comprometterne la sicurezza. Soprattutto in vista di un’accelerazione del confronto con Cina e Russia in orbita. Lo strapotere accumulato dai grandi businessman come Elon Musk – che può “spegnere” i satelliti anche durante una guerra, come accaduto in Ucraina – va assolutamente limitato agli occhi di Washington, che ne devia copertura e risorse e ne garantisce investimenti su Paesi “fedeli” come l’Italia.

La competizione con la Cina sul piano tecnologico e social, nonché spaziale, mette al centro la questione dei dati personali di milioni di persone. Come già evidenziato dal caso TikTok, Washington vuole impedire a ogni costo che le informazioni sui possibili punti di debolezza o sulle traiettorie e faglie interne al fronte europeo possano finire nella disponibilità di Pechino. Il bando alla piattaforma social cinese negli Usa e l’annuncio che anche l’Ue potrebbe seguirne l’esempio non è altro che un capitolo del medesimo libro.

Che fine fanno i nostri dati?

Se si esce un attimo dalla nebbia polemica, si può notare come SpaceX sia già coinvolto nelle questioni italiane almeno da giugno. L’accordo-quadro siglato con Telespazio – società partecipata da Leonardo (67%) e da Thales (33%) – era volto proprio alla commercializzazione dei servizi Starlink. Per non parlare di altri gruppi americani e israeliani attivi nel nostro Paese. Che ci piaccia o no, se i nostri dati sono su internet, sono nella disponibilità di chi gestisce internet. E dunque degli Stati Uniti, come abbiamo spiegato. Che non li utilizzano certo per danneggiare la nostra quotidianità, ma per analizzare le situazioni interne e le pulsioni e per prevedere e orientare il futuro dei Paesi satelliti.

Quando Andrea Stroppa, strettissimo referente di Elon Musk in Italia, afferma che con Starlink “i dati rimangono nel pieno controllo delle istituzioni italiane“, vuol dire che la nostra privacy non rischia di finire nella disponibilità degli imperi rivali come Russia e Cina. È un calcolo che va a vantaggio strategico degli Usa, e poi anche nostro, visto che l’Italia non ha completa autonomia strategica. La propaganda di Musk e quella americana dunque convergono quando Stoppa dichiara che, concludendo l’accordo con Starlink, il governo italiano potrà utilizzare una tecnologia americana “ma allo stesso tempo di proteggere quello che è l’interesse nazionale”. Interesse che deve rendere sempre conto in ultima istanza all’interesse degli Stati Uniti.