La Russia lascia la grande base in Siria e si accanisce con droni e missili sull’Ucraina

Indebolita dalla caduta di Assad in Siria, Mosca preferisce ritirare le navi dalla base di Tartus. Per mostrarsi forte, torna a bombardare pesantemente le centrali energetiche ucraine

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Pubblicato: 13 Dicembre 2024 12:07

La Russia, assieme all’Iran, figura tra gli attori sconfitti in Siria. Il cambio di regime ha privato Mosca del suo alleato regionale, Bashar al-Assad, consegnando la bussola del Paese nelle mani degli avversari. Almeno per il momento.

Da qui la decisione del Cremlino di ritirare tutte le navi russe dalla grande base siriana di Tartus, nodo strategico per la proiezione nel Mediterraneo. Il caos nel Paese mediorientale è servito agli avversari di Putin (in primis gli Usa) proprio per mettere pressione alla Federazione, in vista dei colloqui sull’Ucraina. Ma Mosca non vuole e non può apparire così debole, e dunque riprende a bombardare a piena forza il Paese invaso.

Le navi russe lasciano la base siriana di Tartus

Mentre Israele intensifica gli attacchi sulle basi militari siriane, anche nei pressi delle installazioni russe, le immagini satellitari ci svelano movimenti di navi e velivoli del Cremlino dalle basi di Tartus (navale) e Chmejmim (aerea). Una mossa precauzionale, a detta di Mosca, che ha fatto sapere di essere in contatto con il fronte ribelle che ha preso il potere in Siria. I nuovi decisori avrebbero assicurato a Vladimir Putin di voler garantire la sicurezza delle due infrastrutture strategiche russe. Secondo quanto riferito a Bloomberg da fonti a conoscenza del dossier, il ministero della Difesa russo ritiene di avere un’intesa informale con il gruppo islamista Hayat Tahrir Al-Sham (Hts), che ha guidato l’offensiva che ha fatto cadere il regime di Assad, per la permanenza delle truppe russe nelle basi siriane. Bisogna tuttavia sottolineare che, sulla carta, la fuga di Assad ha di fatto reso nulli i contratti di locazione per 49 anni sottoscritti dalla Russia nel 2017 proprio con l’ex dittatore per l’utilizzo delle basi.

Con ogni probabilità l’intercessione di Turchia e Stati Uniti bloccherà momentaneamente un tale slancio diplomatico. Il caos in Siria è stato indotto ed estremizzato proprio per colpire le potenze “scomode” attive e presenti nel Paese mediorientale. Russia in primis, oltre all’Iran, per segnalarne la debolezza anche sul versante meridionale, verso quel Caucaso che da anni ribolle e che rischia di impiegare Mosca su troppi fronti. E di perdere la guerra d’Ucraina, il che porterebbe a una rivoluzione interna alla Federazione e alla caduta del governo Putin. Un altro fondato timore per il Cremlino è l’onda lunga della vittoria jihadista siriana, che potrebbe portare ad attacchi terroristici di matrice islamica all’interno dei territori più estremizzati della Federazione. Come il fronte caucasico, per l’appunto.

Uno scenario da evitare a ogni costo per il Cremlino. Le immagini satellitari fornite da Planet Labs hanno mostrato diverse navi della flotta russa del Mediterraneo, tra cui due fregate con missili guidati e una petroliera, gettare l’ancora a circa 13 chilometri a nord-ovest di Tartus. Questi spostamenti sarebbero avvenuti tra il 6 il 9 dicembre, e completati in queste ore. Dati più precisi dell’Institute for the Study of War hanno evidenziato la presenza di quattro navi russe in un raggio di 15 chilometri dalla costa siriana: la fregata Admiral Golovko, la fregata Admiral Grigorovich, il sottomarino Novorossiysk e la petroliera militare Vyazma Kaliningradneft. Nel frattempo, però, i traffici di Mosca nel Mediterraneo non possono fermarsi, inclusi quelli operati tramite la cosiddetta “flotta fantasma”. Da Mosca è giunto dunque l’ordine di inviare la nave da sbarco Alexander Shabalin, nota come Project 775, dal Mar Baltico, allo scopo di gestire il trasporto di alcune risorse militari russe da Tartus ad altri porti mediterranei come quello di Tobruk, in Libia.

Pioggia di raid russi sulle centrali energetiche ucraine

Se la Russia ha evitato di spendersi seriamente per la protezione del regime alawita di Assad in Siria, è soltanto per non disperdere le sempre più stanche e meno numerose forze. La priorità per il governo Putin resta sempre l’Ucraina, in cui si combatte una guerra contro l’intero Occidente a guida americana. Una guerra esistenziale, come hanno più volte ricordato da Mosca. Va dunque da sé che, in un momento di profonda incertezza e debolezza manifesta dinanzi agli occhi del mondo, la Russia decidesse di mostrarsi nel pieno della sua potenza. Soprattutto di fuoco. Ecco che dalla notte sono piovuti su tutta l’Ucraina circa 100 missili e oltre 200 droni. Uno dei più grandi attacchi contro il settore energetico del Paese, ha ammesso il presidente Volodymyr Zelensky. Si tratta della dodicesima ondata di raid russi contro le centrali ucraine, comprese quelle termoelettriche di Dtek, in un inverno che da quelle parti si sta rivelando particolarmente rigido. Anche a causa delle difficili condizioni meteorologiche (ghiaccio, forte vento), si sono infatti registrati blackout in 200 insediamenti nelle regioni di Kiev, Chernihiv, Sumy, Cherkasy e Kirovohrad.

Per controbilanciare il nuovo stallo sul fronte del Donetsk, la Federazione ha deciso in questa fase del conflitto di colpire a distanza, evitando di caricare l’offensiva terrestre. Il gelo e il fango non permettono di tenere lo stesso ritmo dell’autunno. Adoperando l’ormai ritrito mantra retorico della risposta proporzionata all’utilizzo ucraino di armi a lungo raggio fornite dall’Occidente, la Russia ha lanciato anche almeno quattro Kinzhal, ossia i temibili missili ipersonici. Oltre ai più utilizzati vettori balistici e da crociera.

A favore di Mosca gioca anche la rinnovata volontà americana, incarnata dalla narrazione del presidente eletto Donald Trump, di sedersi al tavolo dei negoziati nei primi mesi del 2025. I russi vogliono parlare solo con gli statunitensi, da pari a pari escludendo di fatto la controparte ucraina, e i canali di dialogo sono già stati battuti in entrambe le direzioni. Il Cremlino ha affermato che la posizione di Trump contro il lancio di missili americani in territorio russo da parte delle forze ucraine “coincide completamente con la posizione” di Mosca, ma ha anche aggiunto che al momento non è possibile sapere se il tycoon annullerà il permesso a Kiev di colpire con missili a lungo raggio forniti dagli Usa. “Abbiamo ripetutamente affermato che una tregua di per sé non è ciò che vogliamo. Vogliamo la pace a lungo termine e completa, che arriverà dopo che le nostre condizioni saranno soddisfatte e tutti gli obiettivi che ci siamo prefissati saranno raggiunti”, ha chiosato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. Il punto fondamentale riguarda la neutralità dell’Ucraina, più che le cessioni territoriali. Per Mosca, il Paese dovrà restare obbligatoriamente fuori dalla Nato. Su questo punto si giocherà l’intero negoziato.