Tanta, ma tanta propaganda. Era inevitabile: la 42esima visita di Stato di Vladimir Putin a Pechino per incontrare Xi Jinping è una pomposa passerella. In cui Cina e Russia rilanciano la loro alleanza strategica, in senso anti-americano, che però strategica non è. I due Paesi si percepiscono imperi e per di più si toccano per svariati chilometri di confine. In poche parole: sono nemici esistenziali e non si vogliono bene.
La comune volontà di contrastare gli Usa, invischiati in un momento di difficoltà imperiale, offusca e mette però in secondo piano le divergenze strategiche. Così “l’Asse del Male”, che comprende anche l’Iran, si rivela più come “Asse del Lantanio”, con chiaro riferimento alle terre rare di cui Cina e Russia sono ricche. Terre rare che l’Ue e l’Occidente continuano a importare in maniera massiccia, nonostante i propositi e i proclami di sanzioni. Putin e Xi siglano un accordo e rilanciano un’intesa che spaventa il mondo, parlando anche del conflitto in Ucraina.
La visita di Stato di Putin in Cina da Xi Jinping
Dopo l’arrivo nella notte, Vladimir Putin ha sfilato nella cerimonia di benvenuto orchestrata dal suo anfitrione Xi Jinping in uno dei luoghi più celebri e simbolici della Cina: Piazza Tienanmen. È il primo evento di una visita di Stato che durerà due giorni e che mira a rilanciare l’asse tra Mosca e Pechino a favore di telecamere, con una calorosa stretta di mano “in faccia” al mondo, a dimostrazione della vacuità dell’isolamento occidentale. La cerimonia è stata preparata in gran pompa fuori dalla porta orientale della Grande Sala del Popolo, l’imponente sede della legislatura in cui è andata in scena una parata militare in scala ridotta, quella riservata dalla parte cinese agli ospiti illustri. La visita del leader del Cremlino è stata organizzata in occasione del 75esimo anniversario in cui l’Unione Sovietica riconobbe la Repubblica Popolare Cinese.
Durante la passerella, il presidente russo ha incontrato anche il premier Li Qiang, il numero due del Partito Comunista Cinese, che ha ribadito la disponibilità di Pechino a “continuare ad approfondire la cooperazione in vari campi”. Putin e Xi hanno quindi assistito a un concerto dedicato ai 75 anni delle relazioni diplomatiche tra Mosca e Pechino e alla cerimonia di apertura degli “Anni della Cultura tra Cina e Russia”. In seguito, il programma ha previsto una cena di gala e un bilaterale tra i due presidenti allargato a pochissimi collaboratori, considerato come la vera occasione per un confronto diretto tra leader sui temi più delicati in agenda.
L’Asse del Lantanio: cosa prevede la dichiarazione congiunta firmata da Putin e Xi
Non poteva mancare la firma dell’immancabile accordo nella Versailles cinese apparecchiata per la visita di Putin. E infatti non è mancata: i due presidenti hanno siglato una dichiarazione congiunta “sull’approfondimento del partenariato strategico globale“. Che vuol dire? Che Putin, all’alba del suo quinto mandato, è andato alla corte di Xi col cappello dietro la schiena, se non proprio in mano, in un momento in cui l’Orso è economicamente più dipendente dal Dragone da due anni a questa parte. Il rilancio dei rapporti economici e commerciali tra i due Paesi poggia sulla solida base di un volume di scambi da 240 miliardi di dollari nel 2023, aumentato del 26% dal 2022 al 2023 e per oltre il 70% operato con la moneta cinese (yuan). Le merci di Pechino (dalle automobili agli smartphone) affluiscono copiose verso Mosca, mentre nella direzione contraria viaggiano armi ed energia. Petrolio e gas a buon mercato, che la Cina si guarda però bene dall’impegnarsi ad acquistare in quantità maggiori per non fare la fine dell’Ue: dipendente dagli idrocarburi russi. In quest’ottica si inserisce anche l’opposizione a oltranza della Repubblica Popolare al grande metanodotto che la collegherebbe ai giacimenti della Siberia. Senza contare che, seppur notevole, il volume commerciale che la Cina condivide con la Russia è parecchio inferiore a quello coltivato con Stati Uniti ed Europa: l’export verso gli Usa vale 427 miliardi di dollari l’anno, mentre quello verso l’Ue ben 550 miliardi. Ok stringere la mano a Putin, dunque, ma non troppo forte.
A inizio 2022, poco prima che Mosca lanciasse l’invasione su larga scala dell’Ucraina, Putin e Xi si erano già impegnati per una partnership “senza limiti” o, meglio, dalle “prospettive illimitate”. Che dovrebbero trasformarsi in “punti di convergenza degli interessi nazionali”, secondo il presidente cinese. Fuffa, certo, ma significativa della postura che le due potenze vogliono assumere in questa fase dello sconvolgimento globale. Ben consce che un terzo fronte di guerra, Taiwan, metterebbe davvero in crisi nera gli Stati Uniti.
Per costruire le condizioni migliori per arrivare ad avere la forza sufficiente per contrastare direttamente gli Usa, le due potenze eurasiatiche puntano a espandere la loro influenza “congiunta” nel Sud Globale, cioè quella fetta di mondo in cui il sentimento anti-occidentale viene diffuso e cavalcato nel tentativo di insidiare la globalizzazione a guida americana. Sia attraverso la minaccia militare e nucleare, sia attraverso progetti intercontinentali di contro-globalizzazione, come gasdotti transnazionali e Nuove Vie della Seta. “La nostra cooperazione negli affari mondiali è oggi uno dei principali fattori di stabilizzazione dell’arena internazionale”, ha affermato a tal proposito Putin, complimentandosi con Xi proprio per la One Belt One Road. Che altro non è che il modo con cui la Cina vuole imporsi nel mondo: costruire strade, porti, centrali elettriche e altre infrastrutture per collegare il Celeste Impero ai suoi vicini e assorbire la produzione industriale cinese in un momento di calo della domanda interna. Poi è arrivata la più roboante delle excusatio non petita, accusatio manifesta, quando il presidente russo ha affermato che il sodalizio russo-cinese “non è diretto contro nessuno”. Dichiarazione che ne contraddice un’altra rilasciata sempre dal presidente russo, ma prima che si recasse a Pechino, all’agenzia Xinhua: “L’Occidente tenta di imporre un ordine basato su menzogne e ipocrisia, su alcune regole da mitologia di cui nessuno conosce gli autori”.
Cosa hanno deciso Cina e Russia sulla guerra in Ucraina
Nella dichiarazione conclusiva congiunta non poteva mancare neanche un riferimento all’Ucraina. Gli Usa si sono rivolti a Pechino in più di un’occasione per “mettere una buona parola” coi russi sul conflitto in corso. Da qui l’ennesima mossa propagandistica e retorica di Putin e Xi, che nel testo sottolineano addirittura la “necessità” di fermare “qualsiasi passo che contribuisca al prolungamento delle ostilità” nel Paese invaso, allo scopo di evitare “che il conflitto entri in una fase incontrollabile”. Sì, i russi – che in questi giorni stanno devastando di bombe gli oblast di Kharkiv e Sumy e parte del Donetsk – hanno la capacità di scrivere anche questo in un documento ufficiale. “Le parti (Russia e Cina, ndr) partono dal fatto che per una soluzione sostenibile della crisi ucraina è necessario eliminarne le cause profonde e aderire al principio della sicurezza indivisibile, tenendo conto degli interessi legittimi e delle preoccupazioni di tutti i Paesi nel campo della sicurezza”, si legge ancora nel testo.
Ora cominciamo a vederci più chiaro: “Eliminare le cause profonde”, senza nominarle (allargamento della Nato e affini), non vuol dir altro che non cambia nulla per la pratica bellica. La guerra in Ucraina continuerà e sarà ancora cruenta a lungo. Ferma restando l’intenzione reale di Mosca di sedersi al tavolo delle trattative, ma solo con i “pari” americani e solo quando avrà ottenuto il massimo vantaggio possibile sul campo di battaglia. L’offensiva su Kharkiv, avviata per ottenere un bottone strategico nel Nord-Est del Paese e per “deviare” risorse e attenzione dal Donetsk, dimostra che entrambi i frangenti non sono di immediato svolgimento. Poi la chiusa: Mosca valuta quindi “positivamente” la posizione “imparziale” di Pechino sulla questione ucraina e accoglie “con favore” la sua volontà di svolgere “un ruolo costruttivo” alla ricerca di una soluzione politica e diplomatica. Il riferimento è a quel piano di pace cinese che ogni tanto torna in auge nei negoziati e che gli Usa hanno bocciato senza appello.
I patti militari e gli affari occulti tra Russia e Cina
Tra le tante cose che non potevano mancare figura anche il rinnovo della cooperazione militare. La Cina arbitro e la Russia pacifista non esistono, e infatti promettono collaborazione nel campo delle esercitazioni congiunte. Putin e Xi si sono impegnati ad ampliarne la portata, anche dell’addestramento al combattimento. “Mosca e Pechino approfondiranno ulteriormente la fiducia e l’interazione in campo militare e intendono condurre regolarmente pattugliamenti marittimi e aerei congiunti, aumentare il coordinamento e la cooperazione su base bilaterale e nell’ambito di formati multilaterali e aumentare costantemente la capacità e il livello di risposta congiunta alle sfide e alle minacce”. La nomina al ministero della Difesa russo di Andrei Belousov, al posto di Sergei Shoigu, sembra ora decisamente più coerente: l’economista ha da anni molti e ottimi contatti con uomini d’affari e imprenditori cinesi e sa decisamente come gestire il settore commerciale, unendolo adesso a quello dell’industria militare.
Giri di parole per dire ciò che non si può dire: la Russia ordina e importa dalla Cina mezzi “dual use”, cioè a “doppio uso” civile e militare, per rinnovare l’arsenale e proseguire (e vincere) la guerra in Ucraina. Il Financial Times parla per il 2023 di oltre il 60% della importazioni russe di beni ad alta tecnologia a duplice uso provenienti dalla potenza asiatica. I dispositivi per le telecomunicazioni, compresi gli smartphone, costituiscono la quota maggiore (quasi 4 miliardi di dollari) di un flusso totale da 26 miliardi di dollari. Al secondo posto troviamo invece i computer (2,3 miliardi di dollari), e a seguire microprocessori (2 miliardi). Quasi tutta la tecnologia importata e utilizzata negli armamenti russi è tuttavia di origine occidentale, con solo il 4% prodotta direttamente da aziende cinesi. Il Cremlino ha approfittato delle “superficiali” procedure di conformità operate dalle aziende occidentali per ottenere componenti di fabbricazione europea spedite attraverso la Cina o anche da filiali occidentali e joint venture nel Paese asiatico.
Una situazione che gli Usa conoscono bene, come dimostra la minaccia di sanzioni contro imprese e banche cinesi coinvolte in questo traffico. Per rendere efficace la sua tattica, Washington dovrebbe applicare sanzioni secondarie, cioè disconnettere dal circuito Swift le entità straniere che fanno affari con Mosca. Altrimenti il sistema di aggiramento sistematico e capillare delle sanzioni, con la collaborazione di Paesi terzi dell’Asia Centrale come Kirghizistan e Kazakistan (ma anche Germania e Turchia), non verrà mai intaccato davvero. Tra le forniture, molte sono cruciali anche per l’industria militare. Un esempio sono i componenti prodotti dalla Chen, utilizzate principalmente nel settore petrolifero e minerario e che rappresentano un’alternativa a basso costo ai marchi europei che avevano utilizzato prima della guerra in Ucraina.
La Cina “è oggi il partner più importante della Russia, acquistando le sue materie prime e fornendo beni, compresi articoli bellici”, afferma Elina Ribakova, ricercatrice senior presso il Peterson Institute for International Economics. Come riporta il Financial Times, la seconda economia del mondo è il principale partner commerciale in tutto di 120 Paesi e fa affari con quasi tutte le nazioni indipendentemente dalla loro postura politica. Il Dragone prevede una concorrenza e un confronto a lungo termine con l’Occidente a guida Usa, puntando convintamente sulle relazioni economiche con i Paesi anti-occidentali. Russia in primis, per l’appunto, che tra ciò che offre “in cambio” alla Cina include soprattutto un prezioso accesso alle risorse naturali e alle rotte commerciali interne, lontano dalle rotte marittime dell’Indo-Pacifico chiuse dalla presenza delle navi statunitensi e relativi alleati. Secondo Alexander Gabuev, direttore del Carnegie Russia Eurasia Center di Berlino, Pechino ritiene che le sue relazioni con gli Stati Uniti “si deterioreranno sia se Joe Biden otterrà un secondo mandato sia se diventerà presidente Donald Trump. Il secondo non possono controllarlo, mentre col primo possono decidere la velocità con cui tali relazioni si deteriorano”.
Cosa c’è dietro il sodalizio fra Mosca e Pechino
La natura di qualunque accordo possibile non cambierà la natura geopolitica: Russia e Cina sono rivali. I russi guardano con razzismo ai cinesi, i quali contraccambiano definendo i confinanti come “europei abusivi” in Siberia e Mongolia. Non è un caso, infatti, che Xi Jinping abbia dichiarato che i due imperi “continueranno a mantenere una posizione di non alleanza e non scontro”. Come a dire: per ora non ci scanniamo a vicenda perché abbiamo nemici e problemi più grandi. Fermo restando che, nel dipanare i progetti comuni, Cina e Russia si pestano in realtà i piedi in quello che entrambi considerano il proprio cortile di casa: l’Asia Centrale, in cui da tempo è in atto una “guerra economica” che coinvolge anche gli Usa.
Dietro la fervida collaborazione fra Mosca e Pechino ci sono anche fattori culturali e antropologici, legati alla percezione dei popoli e delle élite che li rappresentano. Il minimo comune multiplo è la consapevolezza che il mondo sta cambiando, che la stabilità globale si sta dissolvendo e il caos sta aumentando. Secondo Xu Poling, ricercatore dell’Accademia Cinese delle Scienze Sociali che studia l’economia russa, “con la mancanza di coordinamento tra le grandi potenze e la fine dell’egemonia americana, le potenze regionali coglieranno l’opportunità di alzare la testa per raggiungere i propri interessi”. Il Financial Times ne cita un esempio plastico: a Jilin, provincia cinese di frontiera nord-orientale, il commercio con la Russia è cresciuto del 72% nel 2023 soprattutto perché i locali concordano sul fatto che il futuro è imprevedibile nonostante il periodo di boom odierno. Un dato significativo, che va oltre i numeri.