Abuso d’ufficio, col Ddl Nordio addio a reato e pena

L'articolo 1 del disegno di legge firmato da Nordio abolisce il reato di abuso d'ufficio. Il testo è stato approvato in Commissione Giustizia del Senato. I numeri sembrano dare ragione al ministro

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Redazione

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L’abolizione del reato di abuso d’ufficio è (quasi) realtà. Il Ddl firmato dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, cancella reato e pena finora previsti dall’articolo 323 del Codice penale. Più in generale, il provvedimento contiene diverse modifiche al Codice penale, al Codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al Codice dell’ordinamento militare.

Il voto in commissione Giustizia è stato il primo passo verso la cancellazione definitiva dell’abuso d’ufficio: il disegno di legge dovrà infatti approdare in Parlamento ed essere approvato articolo per articolo da entrambe le Camere.

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Abolizione dell’abuso d’ufficio, cos’è e come cambia la legge

Finora un pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio andava punito “se, nell’esercizio delle sue funzioni, produce un danno o un vantaggio patrimoniale in contrasto con la legge“. La pena andava da uno a quattro anni di reclusione. Col provvedimento del ministro Nordio, invece, questo impianto viene stravolto e superato. Con abuso d’ufficio si indica il reato ascrivibile a chi commette illeciti nell’esercizio delle proprie funzioni di pubblico ufficiale. Ne sono dunque soggetti funzionari pubblici, ma anche sindaci e amministratori locali. Molti di questi ultimi hanno fortemente criticato la fattispecie di reato, sostenendo che essa scoraggia l’assunzione di responsabilità decisionali da parte dei funzionari pubblici anche su provvedimenti semplici a causa del timore di incorrere in procedimenti penali. Si tratta di quella che è stata definita “paura della firma”.

Il 9 gennaio la Commissione Giustizia del Senato ha chiuso l’esame degli emendamenti all’articolo 1 del Ddl Nordio, approvato dal Consiglio dei ministri a giugno. Come sottolineato dal Corriere della Sera, l’Italia si pone in controtendenza con l’Ue, che invece sta per rendere obbligatorio l’abuso di ufficio. Il ministro della Giustizia è intervenuto su un testo che, a dire suo e di gran parte degli amministratori locali, si presta a varie e contrastanti interpretazioni. Secondo Nordio, la cancellazione del reato e della pena sarebbe in parte giustificata dal fatto che, a fronte di molti processi avviati per abuso d’ufficio, i casi in cui si arriva a condanna sono molto limitati.

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Nell’85% dei casi di abuso d’ufficio l’accusa cade nel vuoto

I numeri sembrano dare ragione al ministro Nordio. Come riferito da Truenumbers, sono 3.623 le persone condannate definitivamente per abuso d’ufficio tra il 1997 e il 2022. Inoltre il tasso di archiviazione per questa fattispecie di reato è altissimo nel nostro Paese: 85%, contro il 65% dell’archiviazione dei reati penali.

Traducendo i numeri in fatti, nella stragrande maggioranza dei casi non si va a processo per abuso d’ufficio perché l’accusa risulta infondata. In altri casi, però, passano anni prima che l’imputato venga prosciolto, tra le altre cose appesantendo la macchina della Giustizia e dilapidando risorse pubbliche. Nel 2021 sono stati iscritte nei registri degli indagati 5.418 persone, le archiviazioni sono state 4.613, di cui 148 per prescrizione. Su 513 procedimenti, infine, sono state pronunciate solo 18 condanne.

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Il dibattito politico sul Ddl Nordio: protestano le opposizioni

Se da un lato l’approvazione del testo appare scontata per via della compattezza all’interno della maggioranza di centrodestra e del voto a favore espresso anche da Italia Viva, dall’altro il Ddl Nordio è bersaglio delle critiche dell’opposizione. Il Pd, in particolare, sostiene che resteranno inapplicate e senza sanzioni tante condanne di pubblici funzionari compiute assieme a privati cittadini.

Contro il provvedimento ha votato anche il Movimento 5 Stelle, secondo cui l’abolizione dell’abuso d’ufficio “normalizza l’abuso di potere” e non costituirà più reato “neanche la violazione dell’obbligo di astenersi in presenza di un interesse privato in conflitto con interessi pubblici”.