La crisi del lavoro è ben lungi dall’esaurirsi a breve. L’Italia registra uno dei tassi di occupazione più bassi dell’Ue (il 39% di lavoratori in rapporto alla popolazione, 23 milioni su 36 milioni di italiani in età da lavoro) che, unito ai dati sulla spesa pensionistica e sulla parabola demografica (discendente), completano il quadro di una previsione “nera” firmata INPS. È quanto emerge dal tavolo tecnico presso il Ministero del Lavoro tra Governo e parti sociali per la riforma delle pensioni (aumenti a febbraio: di quanto e per chi).
Pensioni e lavoro, cosa succederà nel 2050
Il presidente dell’INPS, Pasquale Tridico, ha dipinto uno scenario per niente roseo da qui alla fine del decennio. Il quadro al 2029 “non è positivo”, ha sottolineato, con il rapporto tra lavoratori e pensionati che passerà dall’attuale 1,4 a 1,3, per poi arrivare nel 2050 addirittura a 1:1.
In questo senso la riforma delle pensioni potrebbe rivelarsi non efficace così come è stata calibrata nelle intenzioni del Governo. Qualsiasi forma di uscita anticipata dal mondo del lavoro rispetto all’età di vecchiaia dovrà tenere conto dell’andamento dell’aspettativa di vita ed essere legata ai contributi versati. Tra le opzioni c’è tuttavia anche quella dell’anticipo per le categorie più in difficoltà sulla scia delle norme sull’Ape sociale. Insomma, c’è davvero un problema con le pensioni: cosa dicono i numeri.
Il ministro del Lavoro, Marina Elvira Calderone, ha dichiarato che “si lavorerà per trovare meccanismi di ulteriore miglioramento dell’attuale normativa vigente per quanto riguarda, in particolare, la flessibilità in uscita specialmente in riferimento alle categorie più interessate da lavori usuranti“.
Gli scenari
In ambito previdenziale, gli esperti indicano due principali scenari possibili:
- Quota 41, con riferimento alla sola anzianità contributiva;
- Quota 100 “libera”, con il parallelo riferimento all’anzianità contributiva e all’età della persona, senza vincoli.
Il Decimo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano, realizzato dal Centro Studi Itinerari Previdenziali, evidenzia con forza i rischi derivanti dallo stretto rapporto tra occupati e pensionati. La platea di pensionati è cresciuta di nuovo, sfondando quota 16 milioni di contribuenti a carico del sistema previdenziale.
Secondo gli analisti, per i prossimi 10-15 anni non dovrebbero esserci problemi di sostenibilità del comparto pensionistico, a patto però che si intervenga bene e per tempo in quattro ambiti principali:
- l’età di pensionamento, attualmente tra le più basse d’Europa (circa 63 anni);
- l’invecchiamento attivo dei lavoratori;
- la prevenzione per una vecchiaia in buona salute;
- le politiche attive del lavoro.
I dati
Secondo l’Istat, sono 22,7 milioni le prestazioni del sistema pensionistico italiano vigenti al 31 dicembre 2021, erogate a 16 milioni di persone, per una spesa complessiva di 313 miliardi di euro. Nel 2021 la spesa pensionistica è aumentata dell’1,7% rispetto all’anno precedente e rappresenta il 17,6% del Pil. A pesare sugli indicatori è soprattutto la pandemia Covid.
I dati evidenziano un fenomeno importante su altri: l’aumento dei pensionati che continuano con un’occupazione. I soggetti che percepiscono anche un reddito da lavoro sono 444mila, in decisa crescita rispetto al 2020 (+13,3%). A causa della pandemia, il 2020 aveva fatto segnare rispetto al 2019 un calo del 6,5% nel cumulo di pensione e lavoro.
L’Istituto di statistica certifica inoltre che l’età media dei pensionati che lavorano è progressivamente cresciuta: nel 2021 il 78,6% ha almeno 65 anni (77,4% nel 2019) e il 45,4% ne ha almeno 70 (41,8% nel 2019), proprio al segmento più anziano si deve buona parte dell’incremento osservato nel 2021 rispetto all’anno precedente (+15,7%).