Pensioni, Meloni ci ripensa: come possono cambiare ancora. Le ipotesi

La polemica esplode e il rischio sciopero si fa sempre più concreto: ecco in che modo il governo Meloni ha deciso di aprire le porte alla discussione

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Il settore medico è in rivolta contro la norma sulle pensioni prevista dalla Manovra. Durissima la reazione del segretario Anaao-Assomed, Pierino Di Silverio che, a Fortune, spiega come di questo passo si andrà verso lo sciopero: “Da una parte si tenta di arrestare la fuga dei medici dal Ssn, dall’altra si agisce con una scure sulle pensioni future e presenti, tagliando tra il 5 e il 25% dell’assegno annuale”.

La risposta del governo

Le polemiche in merito alle pensioni dei medici non si placano, affatto. In merito si è espresso il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, che a Radio24 è andato dritto al punto: “La norma spinge i medici ad andare in pensione subito”.

Ha spiegato come ci sia la possibilità di correggerla, con il governo disposto a trovare un punto d’incontro per gestire questa situazione problematica, a dir poco: “Se c’è la necessità di correggere alcune cose, faremo un maxi-emendamento, come sempre accade”.

Porte aperte da parte dell’esecutivo di Giorgia Meloni, ma neanche tanto. Tutto ciò non basta e la reazione dei medici non si è fatta attendere. Contro la misura si procederà allo sciopero. Per quanto si possa apprezzare l’apertura giunta, ha spiegato Filippo Anelli, presidente della Fnomceo, Federazione nazionale degli Ordini dei Medici, “lo sciopero è giusto e inevitabile, in assenza di risposte reali ai professionisti in temi di diritti acquisiti”. In pratica il settore non ci sta ad accettare un rinvio della discussione, sulla base di presunte modifiche da effettuare in seguito. La vicenda va fronteggiata ora, nell’immediato, dando voce ai diretti interessati e ai loro bisogni. Nello specifico, la prospettiva è devastante.

Nel caso in cui la norma non dovesse subire modifiche sostanziali, “la conseguenza sarà l’abbandono del Servizio sanitario nazionale da parte dei medici ospedalieri, che Anaao-Assomed stima essere almeno 6mila, che hanno maturato i requisiti per andare in pensione, che invece prevedono ad oggi la permanenza ancora per qualche anno”. Una reazione a catena facilmente preventivabile, che avrà effetti devastanti su quelle che sono le già lunghissime e criticate liste d’attesa. Tutto ciò appare come un gravoso controsenso, considerando come il governo prometta di impegnarsi per ridurle, grazie alla Finanziaria.

Infermieri e liste d’attesa

I medici ottengono i titoli di giornale ma la problematica riguarda anche il settore degli infermieri. Si rischia infatti di perdere circa 13mila professionisti già a partire dal 2024. Ciò se la norma che modifica il rendimento della quota retributiva delle pensioni liquidate dal prossimo anno non verrà rivista.

La stima è proposta da Fnopi, Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche. Si sottolinea un serio rischio da “effetto fuga”. Le parole di Durigon sono dunque ben accolte, ma occorre agire in fretta e garantire rassicurazioni concrete.

Passando infine all’annoso problema delle liste d’attesa, il piano del governo di Giorgia Meloni per ridurle, come previsto dalla Manovra, rischia d’essere un vero e proprio flop. Un sondaggio lanciato dal sindacato dei medici, Federazione Cimo-Fesmed, ha evidenziato come il 58,8% dei professionisti non è disponibile a lavorare di più al fine di abbattere i tempi d’attesa dei pazienti.

Il 29% degli intervistati dichiara di lavorare già svariate ore oltre l’orario di lavoro canonico. Un ulteriore sacrificio della vita privata non può rappresentare la soluzione ragionata dell’esecutivo alla guida del Paese. A ciò si aggiunge il 21,5% che non vede in ciò un’alternativa valida, il 3,5% che preferisce ore extra in privato o in intramoenia, mentre il 4,6% ritiene siano insufficienti gli aumenti delle tariffe previsti.