Tra il 2019 e il 2021 le domande accolte di pensionamento in “Quota 100” sono state poco meno di 380 mila, un numero ampiamente sotto le attese. E si stima che al termine della sperimentazione il totale sarà di circa 450mila. Numeri che permettono di stimare una spesa effettiva di consuntivo sino al 2021 e proiettata dal 22 al 25 – a circa 23 miliardi.
Quota 100, confermato il flop
E’ quanto emerge da un’analisi congiunta Inps e Upb presentata ieri a Roma che offre un quadro nel dettaglio della misura sperimentata per tre anni nella quale si rileva che si tratta di un importo inferiore di 10 miliardi rispetto ai 33,5 originariamente stanziati dal dl 4/2019 e di oltre 5 miliardi se si tiene conto dei finanziamenti decisi solo pochi mesi dopo nell’ambito della NaDEF 2019 e nella legge bilancio per il 2020.
Secondo l’indagine, complessivamente a ricorrere a “Quota 100” sono stati soprattutto gli uomini, il 68,8% rispetto al 31,2% di donne. Quasi l’ 81% dei pensionati con quota 100 è transitato direttamente dal lavoro, poco meno del 9% da silente, poco più del 8% da una condizione di percettore di prestazioni di sostegno al reddito, circa il 2% da prosecutori volontari di contribuzione.
I numeri
La gestione di liquidazione è stata da lavoro dipendente privato per quasi la metà dei casi, da lavoro dipendente pubblico per poco più del 30%, da lavoro autonomo per circa il 20%. Se in valore assoluto le pensioni con “Quota 100” sono state più concentrate al Nord, meno al Mezzogiorno e ancora meno al Centro, in percentuale della base occupazionale o del flusso medio delle uscite per pensione anticipata mostrano le incidenze maggiori al Mezzogiorno e minori al Nord, con il Centro in posizione intermedia.
L’anticipo ha inciso in maniera significativa sul valore dell’assegno: mediamente lo ha ridotto del 4,5% per anno di anticipo per i lavoratori autonomi, del 3,8% dei dipendenti per i dipendenti privati e del 5,2% per i dipendenti pubblici. L’età media alla decorrenza si è attestata al di sopra di 63 anni mentre l’anzianità media e del 39,6 anni.
La spesa pensionistica
La presidente dell’Upb, Lilia Cavallari ha sottolineato che nel 2022, la spesa pensionistica è prevista pari al 15,7 del PIL (dal 16,2% del 2021), a circa il 33% della spesa corrente e al 29% della spesa totale. L’incidenza della spesa è aumentata a partire dal 2019 per effetto della contrazione dell’economia, dovuta alla crisi Covid, e dei pensionamenti di Quota 100. “L’aumento dell’inflazione, unito ad un sistema di indicizzazione più generoso, precisa, contribuisce ad aumentare la spesa, con impatto significativo per adesso soprattutto sul 2023. Le regole di indicizzazione vigenti dal 2022 rendono infatti la spesa pensionistica più sensibile agli aumenti dell’inflazione con l’elasticità che passa da 81 a 97 per cento”.