Pensioni anticipate verso la stretta? Governo al bivio, ma la Lega spinge su Quota 41

Mentre la Lega invoca Quota 41, ovvero l'uscita dal lavoro con 41 anni di contribuzione senza soglia anagrafica, i conti pubblici potrebbero imporre al governo un bagno di realismo

Foto di Mauro Di Gregorio

Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

Sul nodo delle pensioni anticipate il governo Meloni è a un bivio: da una parte c’è la volontà di seguitare a garantire l’accesso all’uscita anticipata dal mondo del lavoro a una serie di cittadini che rispondano a determinate caratteristiche. Dall’altra parte ci sono i malumori dell’Europa e i dubbi dei tecnici della Ragioneria generale dello Stato.

Pensioni anticipate, governo Meloni al bivio

A spingere sulla riconferma delle pensioni anticipate è soprattutto la Lega, partito che gode più degli altri dell’appoggio elettorale di chi ha cominciato a lavorare in giovanissima età e che a 60 anni si ritrova sulle spalle già 42 o più anni di contribuzione.

Ma le casse pubbliche piangono e il deficit morde: secondo il punto di vista di Bruxelles tutto ciò non dovrebbe permettere all’Italia di proseguire ad aumentare senza sosta, tramite una scorciatoia, la quota di pensionati in rapporto alla popolazione attiva che lavora e che versa i contributi.

Negli ultimi 6 anni, tra il 2019 e il 2024, la spesa pensionistica in Italia è cresciuta di quasi 70 miliardi. Questo spiega l’antipatia dell’Europa per le “Quote” italiane, quelle mini-riforme pensionistiche, confermate e modificate di anno in anno in deroga alla legge Fornero, composte dall’incontro fra l’età anagrafica e anzianità contributiva.

L’epoca delle Quote pensionistiche

Tutto iniziò con la Quota 100 del governo Conte 1, sorretto da Movimento 5 Stelle e Lega. Quota 100 fu frutto di un patto elettorale: alla Lega venne garantita la deroga pensionistica, ma in cambio il M5S pretese l’introduzione del reddito di cittadinanza. Tra il 2019 e il 2023 oltre 435.000 persone poterono lasciare il lavoro tramite la pensione anticipata. L’ultima legge di Bilancio del governo Meloni ha licenziato una nuova formulazione della Quota 103 con un tetto all’importo dell’assegno pensionistico. Quota 103 è il risultato di almeno 62 anni anagrafici e di 41 anni di contribuzione.

Una prima frenata al trend è arrivata dal governo presieduto da Mario Draghi con Quota 102 che prevedeva 64 anni anagrafici e 38 di contribuzione previdenziale. Poi è arrivata Quota 103 senza vincoli. Tra il 2022 e 2023 hanno lasciato il lavoro usufruendo della scorciatoia pensionistica quasi 36.000 persone.

L’Inps certifica che le pensioni anticipate con decorrenza 2022 sono state oltre 260.400 e quelle con decorrenza 2023 sono scese a 227.639. Si tratta di una flessione di 32.761 uscite, pari al -12,58%.

La Lega punta a Quota 41

In base alle regole in vigore, Quota 103 cesserà il 31 dicembre 2024. Una eventuale proroga, con o senza rimodulazione, o la sostituzione di Quota 103 con una nuova deroga alla legge Fornero dovrà essere pensata a breve, per poter affrontare l’iter di approvazione e reperire le coperture. La Lega spinge su Quota 41, una pensione anticipata che prevede l’uscita dal lavoro con 41 anni di contribuzione senza soglia anagrafica e con uno storico totalmente contributivo.

Con Quota 41, ad esempio, chi avesse iniziato a lavorare a 18 anni potrebbe andare in pensione a 59 anni. Tenuto conto dell’età media della popolazione italiana (81,1 anni per gli uomini e 85,2 per le donne), Quota 41 potrebbe produrre pensionati ai quali l’assegno è garantito in media anche per 22-26 anni.