Quella del 2025 è un’estate che non esce indenne dall’inflazione che, pur non essendo esplosiva, mostra segnali di risalita, soprattutto in alcuni settori chiave per i consumi stagionali come l’alimentare e i trasporti. La conseguenza è il ritorno delle pressioni sui prezzi di beni e servizi legati alla spesa quotidiana e alle vacanze. Un fenomeno, questo, che rischia di influenzare i consumi estivi, pur in un contesto macroeconomico in cui la domanda interna è già in fase di raffreddamento.
I dati diffusi dall’Istat relativi al mese di giugno 2025 parlano chiaro: l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (Nic) è aumentato dello 0,2% rispetto a maggio e dell’1,7% su base annua, confermando la stima preliminare.
Indice
I rincari sulla spesa alimentare
Tra le componenti che più contribuiscono all’incremento dell’indice generale dei prezzi, spiccano i beni alimentari non lavorati, che vedono una crescita tendenziale del 4,2% rispetto al +3,5% del mese precedente. In parole povere, la frutta, la verdura e gli altri prodotti freschi – quelli che più frequentemente compongono la spesa settimanale – sono diventati sensibilmente più cari.
A ciò si aggiunge un incremento anche nei beni alimentari lavorati (+0,3% congiunturale), portando a un aumento complessivo dell’inflazione nel comparto beni alimentari, cura della casa e della persona pari a +2,8% tendenziale.
Questo significa che una famiglia media si trova oggi a spendere mediamente quasi il 3% in più rispetto a un anno fa solo per alimentarsi e provvedere alle esigenze quotidiane di base.
Le cause vanno ricercate sia in dinamiche stagionali (l’estate storicamente registra una spinta sui prezzi dei prodotti freschi), sia nelle persistenti difficoltà delle filiere agricole, ancora colpite dai rincari di energia, trasporti e condizioni climatiche avverse, tra cui la siccità.
Vacanze più care: trasporti e servizi estivi in aumento
Un altro comparto dove l’inflazione estiva si fa sentire con decisione è quello dei servizi relativi ai trasporti, in aumento del 2,9% su base annua e 1,1% su base mensile.
Chi si muove per andare in vacanza – in treno, aereo o auto – ha già percepito questo incremento: dai biglietti ferroviari ai voli low cost, passando per il noleggio auto, ogni voce legata alla mobilità è diventata più onerosa.
Anche i servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona, tipicamente estivi (stabilimenti balneari, ingressi a eventi, centri estetici, ecc.) registrano un incremento congiunturale dello 0,9%, segnalando come il pacchetto vacanza “all’italiana” sia più costoso rispetto al 2024.
Sommando queste voci, l’impatto su una famiglia che organizza una vacanza estiva può facilmente superare i 200 euro in più rispetto allo scorso anno, soprattutto se si scelgono mete nazionali molto richieste o si prenota all’ultimo momento.
Più colpite le famiglie con redditi bassi
Un elemento importante messo in luce dall’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) è la diversità dell’impatto inflattivo tra le diverse fasce di spesa. Nel secondo trimestre 2025, l’aumento dei prezzi è stato del +2,0% per le famiglie con bassi livelli di spesa, rispetto a un +1,8% per quelle con spesa elevata.
Questo differenziale, apparentemente modesto, nasconde una realtà molto più profonda: le famiglie meno abbienti dedicano una quota maggiore del proprio reddito a beni essenziali e ad alta frequenza d’acquisto, come cibo, energia, trasporti. Non a caso, l’indice specifico per i prodotti ad alta frequenza di acquisto è salito dal +1,5% al +2,0%.
L’inflazione, dunque, si conferma regressiva, cioè colpisce di più chi ha meno possibilità di ristrutturare i consumi o rinviare gli acquisti. Mentre le famiglie benestanti possono rimandare il cambio dell’auto o l’acquisto di beni durevoli (che tra l’altro segnano una flessione di -0,8%), quelle meno abbienti non possono certo evitare di comprare pane, latte o pagare l’autobus.
Energia in discesa, ma scendono i prezzi
Un parziale sollievo arriva dai beni energetici regolamentati, i cui prezzi, sebbene ancora molto alti rispetto al passato, decelerano passando da un +29,3% a un comunque elevato +22,6% su base annua. Anche su base mensile si registra un calo del -3,0%, a cui si aggiunge il -0,7% dei beni energetici non regolamentati.
Tuttavia, questa riduzione non è sufficiente a compensare gli aumenti dei prezzi negli altri settori, soprattutto perché il calo dei prezzi di energia elettrica e gas si riflette più lentamente su beni e servizi che ne dipendono indirettamente (produzione, logistica, refrigerazione, ecc.).
Un dato che preoccupa gli economisti è l’inflazione di fondo, ovvero l’indice depurato dalle componenti più volatili (energia e alimentari freschi), che sale dal +1,9% al +2,0%. Un valore che segnala come l’inflazione non sia solo frutto di fattori esterni o contingenti, ma stia diventando strutturale, radicandosi nei meccanismi di formazione dei prezzi.
L’inflazione acquisita – cioè quella che si avrebbe anche in assenza di ulteriori rincari fino a fine anno – è già +1,4% per l’indice generale e +1,8% per la componente di fondo. Questo indica che il 2025, salvo inversioni di tendenza, sarà segnato da una crescita dei prezzi ben superiore all’obiettivo del 2% fissato dalla Bce come target di stabilità.
L’estate si conferma, dunque, un periodo caldo anche per l’inflazione, ma il rischio che si profila all’orizzonte è che, con il ritorno dell’autunno e l’eventuale riaccensione delle tensioni energetiche o geopolitiche, si possa assistere a una nuova fiammata inflattiva.