I prezzi degli immobili crescono ancora meno dei redditi

Contrariamente a quello che molti pensano nel mercato immobiliare il potere d’acquisto di stipendi e pensioni e degli italiani sono aumentati è aumentato

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Gianni Balduzzi

Data journalist

Di formazione economica, da più di 10 anni utilizza numeri e statistiche per interpretare e cercare di raccontare la realtà come data journalist.

I redditi degli italiani sono cresciuti molto poco negli ultimi anni ma i prezzi degli immobili sono cresciuti ancora meno. Lo dicono i numeri dell’Ocse, che confronta l’andamento delle due grandezze nel tempo. Per l’acquirente è una bella notizia, ma è pessima, invece, per chi ha comprato una casa come forma di investimento e invece sta perdendo soldi.

L’indice che confronta le due grandezze si chiama Price to income ratio e misura proprio il rapporto aritmetico tra i prezzi degli immobili e quello dei redditi00 disponibili (dopo tasse e sussidi). In sostanza se i prezzi degli immobili, che stanno a numeratore, crescono più dei redditi, che stanno a denominatore, questo indice cresce, mentre se i redditi aumentano di più dei prezzi degli immobili, l’indice è più basso.

Ebbene, il Price to income ratio è quasi costantemente sceso in Italia negli ultimi 15 anni, crollando nel complesso del 25,2%. Significa, appunto, che in gran parte degli anni le entrate degli italiani ( che siano salari, pensioni, utili d’impresa o rendite) sono salite più del valore delle case.

L’andamento del Price to income ratio nel tempo

Nel corso di questo inizio di secolo solo nel 2000 e nel 2001 il rapporto tra prezzi delle case e i redditi è stato inferiore a quello attuale. Se poniamo il valore del 2015 uguale a 100, il Price to income ratio di questi due anni è stato di 85 e 87,8, contro l’89,3 di metà 2023. È poi salito, in occasione della bolla immobiliare, quando il valore delle abitazioni è cresciuto più dell’inflazione e anche degli stipendi e dei guadagni degli italiani, fino a quota 119,4 nel 2008. Era il momento della febbre del mattone, quando si acquistavano case nella speranza che si rivalutassero. Qualcuno aveva sperato che questa fase durasse all’infinito ma invece è cominciata la discesa.

È una discesa che almeno in Italia non si è ancora fermata, tranne un piccolo rimbalzo del 2020 a causa della pandemia, quando i redditi sono diminuiti più dei prezzi degli immobili. Dall’anno della comparsa del Covid al secondo semestre del 2023 il Price to income ratio è diminuito del 6,8%, perché la ripresa del mercato immobiliare è stata comunque più lieve di quella dell’economia e dei redditi.

Naturalmente avremmo bisogno dei dati locali per affermare che oggi le famiglie italiane hanno realmente maggiori possibilità di permettersi di comprare una casa rispetto a ieri. Come sappiamo gli acquisti non sono spalmati sul territorio come le abitazioni e si concentrano soprattutto in poche aree molto ambite, in primis Milano e altre grandi città, come Roma, Bologna, Firenze. Certo, è proprio qui che anche salari e redditi sono aumentati di più negli ultimi anni, ma probabilmente non così tanto da pareggiare la crescita dei prezzi degli immobili. Il discorso è molto diverso per quanto riguarda la provincia e, soprattutto, l’estero.

Negli altri Paesi occidentali mediamente i prezzi degli immobili sono cresciuti più dei redditi

In alcuni Paesi il rapporto tra prezzi degli immobili e redditi è cresciuto molto, a differenza che in Italia, aumentando tra 2008 e 2023 anche di più del 30%. È il caso dell’Austria, +77,7%, del Canada, +50,1%, della Svizzera, +46,8%, del Portogallo, del Cile, dell’Australia e della Nuova Zelanda. In Germania è cresciuto del 24,4%. Significa che qui è diventato progressivamente più costoso comprare casa, perché il valore delle abitazioni è salito più dei salari e delle altre entrate.

Negli Usa, che pure hanno visto un incremento degli stipendi molto maggiore del nostro, il Price to income ratio è comunque aumentato del 16,7% in questi 15 anni perché il mercato immobiliare è stato ancora più vivace e non ha vissuto la crisi italiana. In Francia, invece, non si sono visti grandi cambiamenti: c’è stato un calo del 3,2% mentre in Spagna uno del 17,2%.