Sostenibilità parola chiave del nostro presente, e inevitabilmente del prossimo futuro. Un tempo proiezioni visionarie e ora must imprescindibili, in qualunque azione marketing o pianificazione produttiva che si rispetti, ormai i concetti di riciclo, materiali innovativi, lotta allo spreco, recupero e trasformazione di scarti – in primis grazie all’intelligenza artificiale e al mondo digitale che si fonde con la sapienza artigiana, soprattutto del Made in Italy – hanno radicalmente trasformato il nostro modo di pensare, e di fare.
Per quanto il rischio di greenwashing sia potenzialmente infinito, è vero però che sempre più realtà, in svariati settori dell’economia, si stanno seriamente impegnando ad adottare politiche di riconversione in ottica sostenibile. Dove la circolarità non è solo un processo, ma è spesso l’anima stessa del progetto stesso di cambiamento.
Moda sostenibile, greenwashing o valore imprescindibile?
Il mondo della moda ad esempio sta vivendo una primavera di rivoluzione che non si vedeva da decenni. Brand di altissima moda, ma anche marchi della grande distribuzione, stanno concentrando i propri sforzi comunicativi su linee eco, smart, giovani, che parlano alle generazioni dei Friday’s For Future in piazza il venerdì, e che hanno cuciti addosso, ben visibili, segni di universalità che la moda, come forse pochi altri ambiti, incarna perfettamente.
Perché questo tipo di azione non può essere singola, isolata, autoreferenziale. Ma deve essere globale, ispirata dai grandi principi universali già sanciti nella Dichiarazione dei diritti umani delle Nazioni Uniti, e in tutte le Carte sovranazionali che via via sono nate nel corso degli anni.
Secondo il Report Moda e Sostenibilità 2022, addirittura il 99% delle aziende di moda italiane sta lavorando sulla sostenibilità, ma delle aziende che investono in sostenibilità, il 58% lo fa per ragioni di competitività. Gli investimenti in sostenibilità sono in aumento, ma la consapevolezza delle pratiche più rilevanti è ancora parziale: in generale il numero delle aziende collocate a un livello di sostenibilità avanzato è calato del 15,2% rispetto al 2021.
Quanto inquina la moda
Ma il tema è centrale. Stando al rapporto Fashion on Climate, l’industria della moda globale ha prodotto circa 2,1 miliardi di tonnellate di emissioni di gas serra nel 2018, pari al 4% del totale mondiale. L’equivalente delle emissioni annuali combinate di gas serra di Francia, Germania e Regno Unito.
Il 70% delle emissioni dell’industria della moda proviene da attività a monte, come la produzione di materiali, preparazione e lavorazione. Il restante 30% è associato alle operazioni di vendita al dettaglio e attività di fine utilizzo.
Se non ci saranno precise azioni nel prossimo decennio, al di là delle misure già in atto, le emissioni di gas serra solo nel settore moda saliranno a circa 2,7 miliardi di tonnellate all’anno entro il 2030, riflettendo un tasso di crescita annuo del 2,7%.
Il primo indice green per i grandi brand luxury
E’ in questo contesto che si collano diverse realtà indipendenti che valutano la sostenibilità dei grandi brand con cui abbiamo a che fare ogni giorno. Ora, anche la moda di alta gamma avrà il suo indice green.
A inizio settembre, prima dell’apertura della Womens’ Fashion Week, Standard Ethics ha annunciato il lancio di un nuovo indice europeo, la cui pubblicazione è prevista nei primi sei mesi del 2023: verrà poi rivisto semestralmente, a fine marzo e a fine settembre.
Standard Ethics è un’agenzia di valutazione della sostenibilità che dal 2004 mira a promuovere standard di sostenibilità e governance sulla base dei principi neutrali emanati dall’Unione Europea e dall’OCSE. Rilascia valutazioni di sostenibilità non finanziarie: in assenza di organi di controllo e standard legislativi internazionali per i rating ESG richiesti (ESG sta per Environmental, Social and Governance), Standard Ethics di fatto si autoregola, applicando gli stessi modelli delle agenzie di rating.
Cos’è e come funziona Standard Ethics
Ogni indice di Standard Ethics è un Open Free Sustainability Index: significa che la metodologia, i criteri di selezione e la formula di calcolo sono pubblici e sono quindi liberamente utilizzabili, senza costi, come benchmark dai decisori e dalle parti interessate.
Le condizioni di base che le società quotate devono soddisfare sono diverse: mantenere una posizione competitiva e non monopolistica e non essere legate a cartelli; godere di diritti sostanziali (trust di voto, per esempio, non sono accettabili); avere una titolarità diffusa del capitale e nessun conflitto d’interesse; indipendenza e trasparenza di tutti i membri del Consiglio dalla proprietà del capitale; adozione di procedure per la verifica del rispetto delle ultime norme sociali riconosciute a livello internazionale come standard ambientali, secondo le linee guida ONU, OCSE e UE.
E ancora: avere una selezione trasparente del personale, compresi i dirigenti; un organismo di controllo interno indipendente, di collegamento con l’assemblea degli azionisti e a livello di Consiglio; standard e principi dell’OCSE e dell’UE in materia di conflitti di interesse e Corporate governance; e un organismo di controllo interno indipendente, come l’Audit Committee.
Come funziona il nuovo SE European Fashion&Luxury Index
Il nuovo indice creato da Standard Ethics si chiama SE European Fashion&Luxury Index e punta a fornire una panoramica del livello di sostenibilità all’interno del settore e valutarne i progressi fino ad oggi. L’analisi consentirà alle aziende di confrontare le loro strategie di sostenibilità con quelle di altri attori del settore e valutare le modalità per migliorare il proprio approccio ESG.
Al momento sono 24 le società, tra le più grandi in Europa quotate nel settore della moda e del lusso, su cui Standard Ethics sta focalizzando la sua analisi, alcune di queste hanno già uno Standard Ethics Rating perché già incluse in altri indici Standard Ethics.
Da questo elenco, verranno selezionati i futuri 20 componenti dell’indice. Oltre alla dimensione, gli analisti prenderanno in considerazione l’approccio complessivo alla sostenibilità, sia per quanto riguarda il prodotto che le filiere, nonché
aspetti quali la governance della sostenibilità, inclusa la qualità dei codici etici.
Ecco l’elenco delle 24 società interessate:
- Adidas
- Brunello Cucinelli
- Burberry
- Capri Holdings
- Compagnie Financière
- Richmont
- Ermenegildo Zegna
- Geox
- Gerry Weber
- H&M
- Hermès
- Hugo Boss
- Inditex
- JD Sports Fashion
- Kering
- LVMH
- Moncler
- Next Plc
- Prada
- Puma
- Salvatore Ferragamo
- Superdry Plc
- Swatch Group
- Tod’s Group
- Van de Velde NV.