I cambiamenti climatici non sono più una minaccia futura: sono una realtà concreta che stiamo vivendo ogni giorno, anche quando facciamo la spesa. Il costo degli alimenti sta infatti esplodendo a livello globale e le cause principali non sono solo le dinamiche di mercato o i conflitti geopolitici, ma sempre più spesso gli eventi climatici estremi.
Non si tratta solo di supposizioni. Questo è quanto confermato da un nuovo e allarmante report pubblicato da un consorzio di sei istituzioni di ricerca europee, tra cui la Banca Centrale Europea, alla vigilia del vertice Onu sui sistemi alimentari che si terrà tra il 27 e il 29 luglio ad Addis Abeba, co-organizzato da Italia ed Etiopia.
Il report su crisi climatica e prezzi in aumento
Secondo il rapporto, negli ultimi due anni i prezzi di alcuni alimenti chiave sono aumentati fino al 280% nel giro di pochi mesi, con un legame diretto con siccità, inondazioni e ondate di calore.
Un esempio emblematico è quello del cacao, la materia prima del cioccolato: a seguito della grave ondata di calore che ha colpito Ghana e Costa d’Avorio – i due principali produttori mondiali – i prezzi sono schizzati alle stelle nell’aprile 2024, con un incremento del 280% rispetto all’anno precedente.
E non è un caso isolato. Le lattughe australiane sono aumentate del 300% dopo le alluvioni del 2022, il cavolo coreano ha subito un rincaro del 70% dopo l’ondata di caldo del settembre 2024, il riso giapponese è cresciuto del 48%, le patate in India dell’81% e il caffè brasiliano ha registrato un +55% dopo una siccità nel 2023.
Perfino in Etiopia, nel 2022, una forte siccità ha provocato un aumento del 40% dei prezzi alimentari in soli 12 mesi.
Le conseguenze globali (e locali) per il carrello della spesa
Queste dinamiche hanno un impatto diretto anche sull’Italia. Sebbene molti dei prodotti citati non vengano coltivati direttamente nel nostro Paese, come cacao e caffè, siamo fortemente dipendenti dalle importazioni.
E se il prezzo della materia prima sale nei Paesi produttori, lo stesso accade sugli scaffali italiani. In altre parole, anche il nostro espresso quotidiano o una semplice tavoletta di cioccolato diventano beni meno accessibili.
Anche le coltivazioni italiane stanno soffrendo. L’estate 2024 è stata tra le più calde mai registrate e il 2025 si sta rivelando altrettanto problematico. Tra siccità prolungate, grandinate improvvise e temperature fuori norma, sempre più colture nostrane – dal grano duro per la pasta, all’olio d’oliva, fino alla frutta estiva – stanno vedendo crollare le rese e salire i costi di produzione.
La crisi climatica, quindi, non è più solo una questione ambientale: è anche una crisi alimentare ed economica. Colpisce tutti, ma in particolare chi ha redditi più bassi.
Come spiega Maximillian Kotz, autore principale dello studio e ricercatore del Barcelona Supercomputing Center,
le famiglie a basso reddito sono le più esposte quando il prezzo del cibo esplode.
Non sorprende che in molti Paesi – dal Giappone agli Stati Uniti, passando per il Regno Unito e l’Argentina – il caro spesa sia diventato uno dei principali temi di campagna elettorale negli ultimi anni.
L’Italia, che vanta uno dei patrimoni agroalimentari più ricchi al mondo, è a rischio. Le nostre eccellenze enogastronomiche – dai pomodori di Pachino al riso della Lomellina – sono minacciate da uno scenario in cui l’irregolarità climatica rende sempre più difficile garantire quantità, qualità e prezzi sostenibili.
Ecco perché il summit Onu di fine luglio rappresenta un’occasione chiave: serve una risposta coordinata a livello globale per mettere in sicurezza i sistemi alimentari, investendo in agricoltura resiliente, tecnologie di adattamento, tutela della biodiversità e sostegno alle comunità agricole.