Dal 1° gennaio 2026 potrebbe entrare in vigore nuove regole la pesca nel Mediterraneo. Dopo mesi di negoziati e proposte aggiornate da parte della Commissione europea, la nuova normativa, contenuta nella Proposta di regolamento per le opportunità di pesca nel Mediterraneo e nel Mar Nero prevede tagli drastici allo sforzo di pesca, limiti alle catture e nuove restrizioni che mettono a rischio l’equilibrio economico di molti pescherecci italiani.
Come potrebbero cambiare le regole per la pesca dal 2026
La proposta prevede una riduzione della pesca a a strascico del 64% rispetto ai livelli attuali nel Mediterraneo occidentale (Westmed). In particolare, si fa riferimento alla pesca demersale, cioè quella rivolta a specie che vivono sul fondo o vicino al fondale marino. Si tratta di stock molto sfruttati e a rischio.
L’altro pilastro della proposta riguarda le “catture massime ammissibili” (Tac) per alcune specie vulnerabili, fra cui i gamberi di profondità. In particolare, per l’area dello Stretto di Sicilia, del Mar Ionio e del Levante mediterraneo, zone molto battute dalla flotta italiana, sono previste misure stringenti di limitazione delle catture, oltre ai fermo pesca già in vigore.
Non sono risparmiate neppure le aree del mar Adriatico: la proposta per il 2026 prevede per questa zona una riduzione del 12% nella pesca demersale. Inoltre, viene proposta una ulteriore diminuzione del 10% per i piccoli pelagici, cioè specie che vivono in mezzo alla colonna d’acqua, aggravando la stretta sulle flotte che operano su sardine, acciughe e simili.
Secondo la Commissione europea, queste misure rispondono a una esigenza di salvaguardia degli stock ittici e puntano a garantire uno sfruttamento sostenibile nel lungo termine. In alcune aree del Mediterraneo occidentale, secondo dati scientifici citati dall’Ue, si rilevano già segnali di recupero della biomassa e una diminuzione della mortalità per pesca. Ma, ammoniscono alcuni esperti, molte popolazioni restano fortemente sovrasfruttate.
Gli impatti economici per i pescatori italiani
I pescatori che usano reti a strascico (molto diffusi soprattutto in zone come Sicilia, Sardegna e Campania) saranno fra i più penalizzati. Una riduzione del 64% dei giorni di pesca significa meno occasioni di uscita in mare, minor pescato, costi fissi da coprire comunque (carburante, manutenzione, equipaggio). Quindi, secondo le associazioni di categoria, c’è il rischio di chiusura per molte imprese.
Le restrizioni sulle catture di gamberi di profondità colpiscono zone come lo Stretto di Sicilia, il Mar Ionio e il Levante. Aree dove molti pescherecci delle regioni meridionali italiane operano. Per questi operatori, le nuove regole mettono a rischio una parte significativa del loro reddito.
Inoltre, la diminuzione delle Tac, e quindi delle possibilità di pescare queste specie, potrebbe portare a una contrazione delle vendite, a un aumento del prezzo per i consumatori.
Non solo i pescatori: dietro a ogni peschereccio c’è un’intera filiera. Una riduzione drastica delle attività mette a rischio posti di lavoro, reddito e sostenibilità economica di intere comunità costiere.
I porti di piccole e medie dimensioni, molte cooperative, i mercati del pesce, i ristoratori, i distributori e tutti gli anelli della filiera rischiano di subire forti contrazioni se non sapranno trasformarsi, adeguandosi alle nuove normative green.