Nel 2025 la produzione di olio registra un balzo del 30% rispetto al 2024, pari cioè a circa 300mila tonnellate di olio d’oliva. Dopo un anno segnato dalla siccità e da raccolti ridotti al minimo, il comparto sembra tornare a respirare. Ma dietro questa crescita si celano non solo dati incoraggianti, bensì anche sfide cruciali per il futuro della food economy nazionale.
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Il Sud traina la produzione di olio in Italia
A spingere la campagna olivicola del 2025 è soprattutto il Mezzogiorno, che si conferma il cuore pulsante dell’olivicoltura italiana e dove si prevede un incremento produttivo tra il 30% e il 40% grazie alle piogge estive che hanno salvato la fioritura compromessa in primavera.
In particolare, Puglia e Calabria, da sole, coprono oltre il 60% della produzione nazionale, confermando che questo settore, se supportato da infrastrutture e innovazione, può diventare uno dei motori più solidi del rilancio del Mezzogiorno.
Le regioni del Sud vedono nell’olio extravergine un asset strategico di sviluppo, capace di generare reddito, occupazione e valore aggiunto lungo tutta la filiera.
Nord e Centro in difficoltà per il cambiamento climatico
La fotografia, però, non è uniforme.
Al Nord Italia il maltempo e gli eventi climatici estremi hanno causato un crollo produttivo stimato intorno al -40%, confermando quanto l’olivicoltura sia vulnerabile alla crisi ambientale.
Al Centro, invece, il quadro è più eterogeneo: alcune aree resistono, altre registrano cali medi del 10-15%.
Questa polarizzazione geografica solleva una questione chiave, ovvero quella secondo cui l’Italia olivicola non può affidarsi solo alla forza del Sud.
Anche perché i problemi di produzione si inseriscono in un contesto più ampio di sfide che il settore deve affrontare, dato che è in grado di dare una spinta all’economia nazionale e all’occupazione.
E in questo senso, al momento, uno dei primi passi che è stato fatto è quello di definire una nuova normativa sulla tracciabilità.
Mentre da un lato l’olivicoltura è vulnerabile e deve adattarsi a un clima che ne riduce la produzione in alcune aree, dall’altro lato il settore si rafforza con un’arma potente contro le frodi alimentari, con un decreto che impone la registrazione dei movimenti delle olive entro 6 ore dall’acquisto.
Un comparto strategico del Made in Italy
Il settore olivicolo italiano non è una nicchia, ma un pilastro del Made in Italy agroalimentare. Con circa 400mila aziende agricole attive e 250 milioni di piante con 533 varietà autoctone, l’Italia vanta il patrimonio di biodiversità più ampio al mondo.
Che si riflette in quella che è a tutti gli effetti una leadership europea con 43 oli Dop e 7 Igp, il numero più alto di oli extravergini certificati.
Questi numeri di fatto raccontano un tesoro da custodire. Non solo perché rappresentano tradizione e identità, ma perché incarnano un potenziale economico enorme.
L’olio extravergine italiano è un brand globale, capace di attrarre consumatori in tutto il mondo grazie alla sua qualità certificata.
Le sfide aperte: infrastrutture, ricerca e mercati
I numeri della campagna 2025 devono però essere letti bene e non devono illudere, perché concentrarsi sul solo aumento produttivo sarebbe un errore.
Guardando e osservando con attenzione tutto il contesto nazionale, il settore resta esposto a una doppia vulnerabilità: quella climatica e quella competitiva.
Pertanto, le sfide dei prossimi anni sono tre:
- servono nuove tecniche di irrigazione, varietà più resistenti e strumenti di difesa fitosanitaria innovativi;
- occorre rafforzare la comunicazione internazionale del marchio olio extravergine italiano, puntando su Dop e Igp;
- bisogna difendere i margini di redditività di fronte alla concorrenza di Paesi come Spagna, Grecia e Tunisia, che spesso giocano la carta dei prezzi bassi.
Il 2025 si annuncia come un anno positivo per l’olio italiano, ma non bisogna abbassare la guardia.
La vera partita si gioca sulla capacità di trasformare questa crescita in un progetto strutturale, che metta al riparo i produttori dalla crisi climatica e dalle varie dinamiche di mercato, più o meno corrette.